Il pelo sull'occhio
Addio linee sottili e sguardi nudi. Folte, spesse, curate: sono tornate le sopracciglia. E forse aiutano anche a misurare la curva del pil
E all’improvviso, quando non ci avevamo mai fatto troppo caso nonostante i decenni di militanza personale e professionale nel settore vanità e affini, scopriamo che il mondo giovane, ambosessi, si occupa molto delle proprie sopracciglia e che le nostre sono irrimediabilmente fuori moda. Non abbastanza folte per la tendenza del momento, come lascia intuire la figlia in visita che le scruta aggrottando le sue: “Ma te le sei pettinate, almeno?”. In tema di manutenzione ci eravamo fermate al Lato B, dandoci dentro con tutte le nostre forze nelle sessioni trisettimanali di pilates e danza nell’obiettivo di rimandare il più possibile il suo viaggio di sola andata verso il centro della Terra; era invece (o anche) arrivato il tempo di rigirarci su noi stesse e di guardarci meglio allo specchio.
Il settore delle cosiddette “cure estetiche” cresce del 5 per cento all’anno, secondo stime prudenti del Centro studi di Cosmetica Italia
Fra i 2.822 espositori della nuova edizione di Cosmoprof, il salone mondiale della cosmetica a Bologna in mezzo a treni affollatissimi di buyer, estetiste, parrucchieri e manicure impossibilitati a trovare ricetto in città, la star indiscussa e molto attesa è una sottile cinquantenne di origine rumena e carica di perle come la regina Elena del Montenegro (la perla dev’essere una fissa della fascia balcanica), tale Anastasia Soare, al secolo Anastasia Beverly Hills: il suo sito trabocca di fanciulle dalle sopracciglia nero-Pavarotti e lo sguardo torbido di prammatica, come definito da Pierre de Brantome ancora alla metà del Cinquecento: conoscete la formula delle trenta “belle condizioni” che una donna deve avere per sedurre: tre bianche (pelle, denti, mani); tre rosse (labbra, guance, unghie); tre nere (occhi, sopracciglia, palpebre: immagino truccate). Mezzo millennio più tardi, il mondo occidentale va riscoprendo l’esuberanza tricologica e i poteri seduttivi della cheratina; controllata, certo, ma evidente.
Chiedendo in giro, si scopre che anche la celeberrima “brasiliana”, mito della depilazione inguinale per decenni, è in via di progressivo abbandono, mentre la categoria “hairy” e “bush” sta affiancando quella delle “milf” nelle ricerche sui siti porno. Tardone irsute, per così dire, o anche pubescenti dall’attività ormonale effervescente e immediatamente verificabile, letteralmente al primo sguardo. Fino all’altro ieri le riviste di moda irridevano l’attrice Lily Collins e il suo monociglio modello Elio delle Storie Tese; ora perfino le decenni che leggono le “Favole della buonanotte per bambine ribelli” (titolo antitetico rispetto agli scopi della normalizzazione culturale femminile che il libro vorrebbe perseguire, ma è un altro discorso), iniziano a confrontarsi con le sopracciglia poderose e i baffi en pendant di Frida Kahlo prima ancora di aver intuito le modalità d’uso delle pinzette. Folte, spesse, curate, oliate con certi mix di lino e ricino di cui i saloni di bellezza conservano il segreto, distillandone poche gocce sulla fronte delle clienti come elisir, le sopracciglia sono il nuovo colore preferito delle instagrammer da dieci milioni di likes, #myfavoritecolorisbrows.
Chi negli anni se le è strappate senza pietà, convinto, secondo l’espressione più in voga del momento, che non vi fosse un domani, ha scoperto a proprie spese che il domani è arrivato lasciandogli il volto nudo e inerme o, all’opposto, rado e imperscrutabile.
Al Cosmoprof, la star è una cinquantenne di origine rumena: il suo sito trabocca di fanciulle dalle sopracciglia nero-Pavarotti
Nonostante la nostra raffinata cultura della bellezza e il nostro amore per la simmetria, in tema di sopracciglia noi europei siamo sempre stati un po’ carenti, a differenza del medio oriente dove lo sguardo rappresenta il punto focale, e talvolta unico, della seduzione femminile, o l’estremo oriente, dove bellezza e teatralità del gesto si sono codificate nel corso della storia in un unico linguaggio di cui è massima espressione il mito femminile della maiko e della geisha. Di solito così ricchi nel nostro lessico, noi popoli di lingue romanze siamo invece e infatti sorprendentemente poveri nella verbalità legata alle sopracciglia e ai suoi movimenti: aggrottiamo, stendiamo, ed è finita lì. Nei romanzi dell’Ottocento c’è qualcuno che se le liscia pensieroso (“nell’animo del re doveva accadere qualcosa di strano, ché più e più volte si lisciava le sopracciglia”, scrive Bertolt Auerbach, verso il 1870, narrando però e più probabilmente il gesto di un intellettuale e di un rabbino, forse del suo stesso padre), ma si tratta di casi sporadici. Le sopracciglia, per lunghi secoli, pare non ci siano servite mai. Grave errore, ci dicono oggi e con un fondo di verità. Al di là della moda, le sopracciglia sono infatti una segnaletica piuttosto evidente della direzione che si è scelto di prendere, perfino in termini di genere: “La curvatura ad ala di gabbiano su un volto maschile mai”, dichiara Milia decisa: “Un maschio deve continuare a sembrare tale anche se si cura lo sguardo”.
Di Maio possiede un arco dritto, spesso e forse, per gli esperti, un po’ corto. Calenda un esempio educato: né troppo né troppo poco
Pur senza poter essere sovrapposto al famigerato e celeberrimo lipstick index, l’indice di misurazione, solitamente anticiclica, delle vendite di cosmetici in periodi di crisi, lo spessore dell’arco sopracciliare nell’ultimo secolo sembra procedere in via contraria alla congiuntura: più sostanzioso il pil, più delicato, arcuato e quasi o del tutto finto il sopracciglio. Guardate i primi anni Venti di Clara Bow, con quella sottile linea curva, e la loro ripresa negli anni Settanta di Walter Albini, grandioso stilista che le università e le scuole di moda studiano meno di quanto meriterebbe; osservate i Cinquanta di Ava Gardner e di Sophia Loren con quegli archi lunghi come ali di un albatro, e altrettanto vitali, tesi nello sforzo della ricostruzione di un’identità e di un mondo di sogni e di bellezza, come oggi.
Gli anni Cinquanta di Ava Gardner e Sophia Loren con quegli archi lunghi come ali di un albatro. I Novanta arruffati e sottili
I Novanta arruffati e sottili degli anni grunge, iniziati con la guerra del Kuwait e il primo crollo dei consumi e chiusi con l’attacco alle Torri Gemelle. Curva del pil e dell’arco sopracciliare. Una perdita di tempo possibile come un’altra, e non priva di una certa soddisfazione. Dopotutto, anche il fascismo che sembrava avere così tanto da fare, costruire e bonificare, spese fiumi di denaro e di inchiostro per stigmatizzare nei cinegiornali e sulla stampa femminile la cosiddetta “donna pagliaccio”, che altro non era se non una sfaccendata usa a tirare boccate di fumo fin dal primo mattino, vestita di pigiami di seta, dunque di peccaminosi e “infertili” pantaloni, truccata anzi “bistrata” e con le sopracciglia interamente depilate e ridisegnate, secondo un modello che si può verificare nelle bambole Lenci vendute alle aste o in certe testine in ceramica dipinta che le stesse oziose femmine, contrapposte alla sana donna fascista, generatrice di figli e di fortune familiari, usavano appendere nei boudoir o in camera da letto.
Se ne ritrovano ancora, di queste testine, nei mercatini di bric à brac, smaltate su basi dai colori fascinosi e desueti: verde primavera, celadon, giallo chartreuse che è rimasto quasi esclusivo appannaggio di Giorgio Armani, rosa sorbetto, rosso geranio e blu cielo; un bouquet di tinte che, queste ultime soprattutto, Elsa Schiaparelli ricorda, nella sua autobiografia “Shocking Life”, come molto amate da una diva hollywoodiana della quale faticò parecchio a vestire le forme esuberanti e che sfoggiava un paio di sopracciglia quasi verticali, due lampi, due zot olimpici destinati ovviamente a simboleggiarne lo spirito indomabile: Mae West. Nessuna, oggi, oserebbe sfoggiarne un paio simili, a dispetto di chi ritiene che le sopracciglia, essendo specchio e/o cornice dell’anima, dovrebbero per l’appunto valorizzarne una sola e non subire le mode. Nessuna epoca, tanto meno in quella attuale, dove chiunque può informarsi sul traffico dei saloni di bellezza di Omotesando, a Tokyo, semplicemente aprendo l’app Google Maps sul proprio cellulare, può sottrarsi al diktat o almeno alle tendenze adottate in massa e per la massa. Adesso, la tendenza vira alla linea definita. E l’olio di ricino ha trovato una nuova applicazione.