Sopracciglia. Kaia Gerber, 16 anni, modella e attrice, figlia di Cindy Crawford (foto via Facebook)

Il pelo sull'occhio

Fabiana Giacomotti

Addio linee sottili e sguardi nudi. Folte, spesse, curate: sono tornate le sopracciglia. E forse aiutano anche a misurare la curva del pil

E all’improvviso, quando non ci avevamo mai fatto troppo caso nonostante i decenni di militanza personale e professionale nel settore vanità e affini, scopriamo che il mondo giovane, ambosessi, si occupa molto delle proprie sopracciglia e che le nostre sono irrimediabilmente fuori moda. Non abbastanza folte per la tendenza del momento, come lascia intuire la figlia in visita che le scruta aggrottando le sue: “Ma te le sei pettinate, almeno?”. In tema di manutenzione ci eravamo fermate al Lato B, dandoci dentro con tutte le nostre forze nelle sessioni trisettimanali di pilates e danza nell’obiettivo di rimandare il più possibile il suo viaggio di sola andata verso il centro della Terra; era invece (o anche) arrivato il tempo di rigirarci su noi stesse e di guardarci meglio allo specchio.

Il settore delle cosiddette “cure estetiche” cresce del 5 per cento all’anno, secondo stime prudenti del Centro studi di Cosmetica Italia

Possediamo sopracciglia che denunciano irrimediabilmente la nostra età dell’oro, i primi anni Novanta arcuati e sottili, quando la tendenza attuale vira sugli anni Ottanta di Brooke Shields o, per stare fra le sue epigoni, Cara Delevingne, idolo delle passerelle di quattro anni fa e già quasi dimenticata, Gigi Hadid e Kaia Gerber, figlia e versione contemporanea di Cindy Crawford anche nello slancio dell’arcata sopracciliare, scura e ben definita. Il settore delle cosiddette “cure estetiche” cresce del 5 per cento all’anno, secondo stime prudenti del Centro studi di Cosmetica Italia, e va sostituendo quello delle unghie nell’interesse delle più giovani. Due anni fa, in visita ai padiglioni del Cosmoprof di Bologna nell’obiettivo di trarne qualche indicazione sulla cosmetica halal, acquistata non solo dalle islamiche ma anche dalle italiane vegane in quanto totalmente priva di componenti animali, venni travolta da un’orda di ragazzette che si strappava di mano kit di unghie finte decorate con arabeschi iridescenti o indimenticabili effetti matelassé comprensivi di microperle in uno stand colossale e dominato da una tutor che, da una consolle, insegnava come trasformarsi in una panterona in tre minuti. Adesso vanno per la maggiore certe eleganti scatoline di sopracciglia in pizzo macramé o programmi di rinfoltimento, pettinatura e tatuaggio semi-permanente fai da te, sul genere che, molti decenni fa, contribuirono a consolidare la fortuna del marchio Usa Maybelline.

 

Fra i 2.822 espositori della nuova edizione di Cosmoprof, il salone mondiale della cosmetica a Bologna in mezzo a treni affollatissimi di buyer, estetiste, parrucchieri e manicure impossibilitati a trovare ricetto in città, la star indiscussa e molto attesa è una sottile cinquantenne di origine rumena e carica di perle come la regina Elena del Montenegro (la perla dev’essere una fissa della fascia balcanica), tale Anastasia Soare, al secolo Anastasia Beverly Hills: il suo sito trabocca di fanciulle dalle sopracciglia nero-Pavarotti e lo sguardo torbido di prammatica, come definito da Pierre de Brantome ancora alla metà del Cinquecento: conoscete la formula delle trenta “belle condizioni” che una donna deve avere per sedurre: tre bianche (pelle, denti, mani); tre rosse (labbra, guance, unghie); tre nere (occhi, sopracciglia, palpebre: immagino truccate). Mezzo millennio più tardi, il mondo occidentale va riscoprendo l’esuberanza tricologica e i poteri seduttivi della cheratina; controllata, certo, ma evidente.

 

Chiedendo in giro, si scopre che anche la celeberrima “brasiliana”, mito della depilazione inguinale per decenni, è in via di progressivo abbandono, mentre la categoria “hairy” e “bush” sta affiancando quella delle “milf” nelle ricerche sui siti porno. Tardone irsute, per così dire, o anche pubescenti dall’attività ormonale effervescente e immediatamente verificabile, letteralmente al primo sguardo. Fino all’altro ieri le riviste di moda irridevano l’attrice Lily Collins e il suo monociglio modello Elio delle Storie Tese; ora perfino le decenni che leggono le “Favole della buonanotte per bambine ribelli” (titolo antitetico rispetto agli scopi della normalizzazione culturale femminile che il libro vorrebbe perseguire, ma è un altro discorso), iniziano a confrontarsi con le sopracciglia poderose e i baffi en pendant di Frida Kahlo prima ancora di aver intuito le modalità d’uso delle pinzette. Folte, spesse, curate, oliate con certi mix di lino e ricino di cui i saloni di bellezza conservano il segreto, distillandone poche gocce sulla fronte delle clienti come elisir, le sopracciglia sono il nuovo colore preferito delle instagrammer da dieci milioni di likes, #myfavoritecolorisbrows.

 

Chi negli anni se le è strappate senza pietà, convinto, secondo l’espressione più in voga del momento, che non vi fosse un domani, ha scoperto a proprie spese che il domani è arrivato lasciandogli il volto nudo e inerme o, all’opposto, rado e imperscrutabile.

Al Cosmoprof, la star è una cinquantenne di origine rumena: il suo sito trabocca di fanciulle dalle sopracciglia nero-Pavarotti

I tempi di Achille Occhetto, di Leonid Breznev e del premier laburista lord Denis Healey sono finiti, e non solo per la scomparsa, antica o recente, degli ultimi due (nel necrologio per il politico della sinistra illuminata di Westminster, un paio di anni fa, il Telegraph scrisse che “le sue sopracciglia a cespuglio e il suo spirito caustico” sarebbero stati molto rimpianti da caricaturisti e osservatori politici equamente). Scomposti e nature sono rimasti ormai solo i politici della generazione baby boom, come Beppe Grillo, o chi probabilmente ritiene che troppa cura darebbe un’impressione distonica del proprio credo politico, ed è il caso delle sopracciglia di Matteo Salvini, però e inspiegabilmente interrotte: folte e arruffate alla base del naso, inesistenti ai lati. Una linea spezzata a libera interpretazione, benché pare che in questo improvviso interesse per la pratica e la sua applicazione fra centri estetici e specializzati, kit fai da te e impacchi serali, gli psicologi vengano chiamati sempre più spesso per un consulto. Dopotutto, come osserva da Milano Claudia Milia, fondatrice di una catena di saloni specializzati in “plumes”, cioè ciglia e sopracciglia, con ovvia succursale pariolina, “le sopracciglia sono uno dei segni più forti della nostra personalità, un simbolo del nostro carattere”; dunque, sottintende, un tratto fisiognomico meritevole di riflessione e investimento. Nelle stanze che governa con un team di una ventina di persone, brancola qualche uomo in cerca di un tratto identitario deciso, ma soprattutto giovanissime incerte sulla direzione da imprimere al proprio futuro e signore che, all’opposto, iniziano a sentirsi impressa in faccia la data di fabbricazione. Delle proprie sopracciglia, dice questa trentenne cagliaritana con laurea in management alla Bocconi si è sempre curata molto, ma è stato solo vivendo a contatto diretto con i maggior produttori mondiali di cosmetica che la loro potenzialità commerciale le è risultata evidente.

 

Nonostante la nostra raffinata cultura della bellezza e il nostro amore per la simmetria, in tema di sopracciglia noi europei siamo sempre stati un po’ carenti, a differenza del medio oriente dove lo sguardo rappresenta il punto focale, e talvolta unico, della seduzione femminile, o l’estremo oriente, dove bellezza e teatralità del gesto si sono codificate nel corso della storia in un unico linguaggio di cui è massima espressione il mito femminile della maiko e della geisha. Di solito così ricchi nel nostro lessico, noi popoli di lingue romanze siamo invece e infatti sorprendentemente poveri nella verbalità legata alle sopracciglia e ai suoi movimenti: aggrottiamo, stendiamo, ed è finita lì. Nei romanzi dell’Ottocento c’è qualcuno che se le liscia pensieroso (“nell’animo del re doveva accadere qualcosa di strano, ché più e più volte si lisciava le sopracciglia”, scrive Bertolt Auerbach, verso il 1870, narrando però e più probabilmente il gesto di un intellettuale e di un rabbino, forse del suo stesso padre), ma si tratta di casi sporadici. Le sopracciglia, per lunghi secoli, pare non ci siano servite mai. Grave errore, ci dicono oggi e con un fondo di verità. Al di là della moda, le sopracciglia sono infatti una segnaletica piuttosto evidente della direzione che si è scelto di prendere, perfino in termini di genere: “La curvatura ad ala di gabbiano su un volto maschile mai”, dichiara Milia decisa: “Un maschio deve continuare a sembrare tale anche se si cura lo sguardo”.

 

Di Maio possiede un arco dritto, spesso e forse, per gli esperti, un po’ corto. Calenda un esempio educato: né troppo né troppo poco

L’espressione inglese in uso sul tema, il grooming, cioè lo strigliare o anche l’attività di pulizia autogena dei mammiferi a colpi di lingua, rende bene l’idea e soprattutto l’effetto ricercato: un arco perfettamente lustro, capace in inquadrare, letteralmente, espressione e pensieri. Il leader pentastellato Luigi Di Maio, per esempio, ne possiede uno dritto, spesso e forse, per gli esperti, un po’ corto (l’ideale sarebbe infatti che seguisse la lunghezza dell’occhio); il ministro dello Sviluppo economico uscente e forse leader entrante di una sinistra combattiva Carlo Calenda ne possiede un esempio educato: né troppo né troppo poco. Quelle di Marianna Madia sembrano dipinte, quelle di Mara Carfagna ritoccate. Ad abbinare sopracciglia e caratteri in un gioco di società si potrebbero ravvivare certe serate oziose, dimmi che arcata hai eccetera, e avremmo comunque sentito di peggio. Come dire, “avevo tanti impegni, ma ho deciso di restare a casa a tingermi le sopracciglia”, secondo quanto scrive Andy Warhol, snob dittatoriale, nel “Diario” del 1989, sublime aforisma che permea di un’aura snob ed élitaria la locuzione romanesca del “pettinare le bambole”.

 

Pur senza poter essere sovrapposto al famigerato e celeberrimo lipstick index, l’indice di misurazione, solitamente anticiclica, delle vendite di cosmetici in periodi di crisi, lo spessore dell’arco sopracciliare nell’ultimo secolo sembra procedere in via contraria alla congiuntura: più sostanzioso il pil, più delicato, arcuato e quasi o del tutto finto il sopracciglio. Guardate i primi anni Venti di Clara Bow, con quella sottile linea curva, e la loro ripresa negli anni Settanta di Walter Albini, grandioso stilista che le università e le scuole di moda studiano meno di quanto meriterebbe; osservate i Cinquanta di Ava Gardner e di Sophia Loren con quegli archi lunghi come ali di un albatro, e altrettanto vitali, tesi nello sforzo della ricostruzione di un’identità e di un mondo di sogni e di bellezza, come oggi.

 

Gli anni Cinquanta di Ava Gardner e Sophia Loren con quegli archi lunghi come ali di un albatro. I Novanta arruffati e sottili

 

I Novanta arruffati e sottili degli anni grunge, iniziati con la guerra del Kuwait e il primo crollo dei consumi e chiusi con l’attacco alle Torri Gemelle. Curva del pil e dell’arco sopracciliare. Una perdita di tempo possibile come un’altra, e non priva di una certa soddisfazione. Dopotutto, anche il fascismo che sembrava avere così tanto da fare, costruire e bonificare, spese fiumi di denaro e di inchiostro per stigmatizzare nei cinegiornali e sulla stampa femminile la cosiddetta “donna pagliaccio”, che altro non era se non una sfaccendata usa a tirare boccate di fumo fin dal primo mattino, vestita di pigiami di seta, dunque di peccaminosi e “infertili” pantaloni, truccata anzi “bistrata” e con le sopracciglia interamente depilate e ridisegnate, secondo un modello che si può verificare nelle bambole Lenci vendute alle aste o in certe testine in ceramica dipinta che le stesse oziose femmine, contrapposte alla sana donna fascista, generatrice di figli e di fortune familiari, usavano appendere nei boudoir o in camera da letto.

 

Se ne ritrovano ancora, di queste testine, nei mercatini di bric à brac, smaltate su basi dai colori fascinosi e desueti: verde primavera, celadon, giallo chartreuse che è rimasto quasi esclusivo appannaggio di Giorgio Armani, rosa sorbetto, rosso geranio e blu cielo; un bouquet di tinte che, queste ultime soprattutto, Elsa Schiaparelli ricorda, nella sua autobiografia “Shocking Life”, come molto amate da una diva hollywoodiana della quale faticò parecchio a vestire le forme esuberanti e che sfoggiava un paio di sopracciglia quasi verticali, due lampi, due zot olimpici destinati ovviamente a simboleggiarne lo spirito indomabile: Mae West. Nessuna, oggi, oserebbe sfoggiarne un paio simili, a dispetto di chi ritiene che le sopracciglia, essendo specchio e/o cornice dell’anima, dovrebbero per l’appunto valorizzarne una sola e non subire le mode. Nessuna epoca, tanto meno in quella attuale, dove chiunque può informarsi sul traffico dei saloni di bellezza di Omotesando, a Tokyo, semplicemente aprendo l’app Google Maps sul proprio cellulare, può sottrarsi al diktat o almeno alle tendenze adottate in massa e per la massa. Adesso, la tendenza vira alla linea definita. E l’olio di ricino ha trovato una nuova applicazione.