Donald Trump (foto LaPresse)

Insicuro, egoriferito, vittimista. Trump è una parodia millennial

Il presidente americano ci somiglia molto più di quanto siamo disposti ad ammettere

Se Bill Clinton è stato “il primo presidente nero”, non c’è ragione di pensare che Donald Trump non possa essere il primo presidente millennial. Inutile specificare che non si tratta dell’anagrafe, ma di un atteggiamento, di una postura culturale. I millennial attirano volentieri l’odio di chiunque altro per l’infantilismo, la retorica vittimista, l’incapacità di essere indipendenti, l’ossessione per l’autenticità e le continue lamentele, tutte caratteristiche che il presidente degli Stati Uniti esibisce in grande abbondanza.

 

L’intuizione di Catherine Rampell, opinionista del Washington Post che si occupa di politica con uno sguardo generazionale, è che il modello di comportamento di Trump sia la caricatura che abbiamo fatto dei millennial, preadolescenti che fanno i troll riparati dagli schermi ma non sanno calcolare le conseguenze delle loro azioni e si sgretolano di fronte alle responsabilità. L’accostamento generazionale diventa di una perfezione quasi inquietante se si considera la forza centripeta che domina i millennial e l’ipertrofica concezione del self che è attribuita a questa generazione. Trump non parla che delle sue conquiste, delle sue idee brillanti, della sue verità, delle sue capacità esclusive di far fronte alle emergenze che il mondo ignora. Non esiste gioco di squadra nelle retorica trumpiana: il governo è uno sport individuale.

 

“I millennial – scrive Rampell – sono spesso accusati di credere che tutti dovrebbero ricevere un premio per aver partecipato alla gara. Eppure nessuna figura pubblica chiede più premi di partecipazione di Trump, che la settimana scorsa si è attribuito il voto dieci soltanto per essere andato a Puerto Rico”, e poco importa se quattro quinti dell’isola sono ancora senza elettricità. L’abilità nel presentarsi come vittime, oppressi da forze irresistibili che spesso si saldano in una invincibile instersectionality di soprusi sovrapposti è una qualità che i millennial si ritrovano addosso e che le università sviluppano con metodo. Trump è un maestro indiscusso della vittimizzazione. Ogni vittima o difficoltà rivela l’esistenza di un nemico che opera nell’ombra. Le voci sul suo conto sono opera dei fake media, nelle inchieste c’è la mano del deep state, gli avversari rispondono agli ordini dell’establishment, i critici sono esponenti dell’ideologia globalista che dirama i suoi protocolli: “Attraverso il suo codazzo vociante, Trump si presenta come la vittima perpetua, il vincitore senza storia delle olimpiadi dell’oppressione”, scrive l’editorialista. Non si tratta appena di un colpo di genio di marketing. I millennial sono il bacino generazionale più vasto fra gli elettori, e con il suo istinto da artista del deal Trump potrebbe aver trovato la formula ultrasemplificata che sfugge a tutti gli esperti di brand del mondo, quelli che rincorrono invano il prototipo del consumatore millennial. C’è però una verità più profonda e indicibile nell’osservazione di Rampell: Trump ci somiglia molto più di quanto siamo disposti ad ammettere.

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