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Manifesto americano contro il servizio di porcellana della nonna

Liberarsi del passato brutto. Le cose di cattivo gusto meritano di essere buttate

New York. Tom Verde sul New York Times ha spiegato la “varietà di ragioni sociali, culturali ed economiche” di un fenomeno generazionale spesso ingiustamente trascurato: il rifiuto delle porcellane. Il problema è il seguente. Nella loro bulimia da affastellamento di suppellettili, i baby boomers hanno accumulato un sacco di servizi da tè, suppellettili, ninnoli e acchiappapolvere vari che per tutta la vita hanno riverito come simboli tangibili dei fasti della classe media. Il loro desiderio nobile è che questo valore totemico venisse trasmesso alle generazioni successive, e quindi insistono perché i figli e i nipoti si impossessino di questi amuleti e ne facciano bella mostra nelle loro abitazioni. Il downsizing e il decluttering che definiscono questa epoca hanno reso più urgente la necessità di sbarazzarsi di queste cianfrusaglia affettivamente imprescindibili, e hanno contestualmente reso più difficile per i giovani dire la verità: il tuo servizio di porcellana con i bordi dorati consumati dal tempo non lo darei nemmeno alla Caritas. Mentre i pensionati passano dalle case in stile coloniale delle periferie che hanno definito il loro successo agli appartamenti suburbani che custodiscono il loro declino, i millennial s’oppongono come possono al passaggio generazionale. Cercano di spiegare che la loro è una generazione usa e getta, concepisce l’Ikea alla stregua di un fenomeno atmosferico, disprezza profondamente tutto ciò che è stabile e che si tramenda. Lo shabby chic deve’essere chic per essere accettabile, altrimenti è soltanto un mobile della casa della nonna.

 

Il New York Times conduce la sua portentosa indagine sotto la severa guida dei dati. Le donazioni di vecchi servizi di piatti e altri ammennicoli demodé sono aumentate a dismisura negli ultimi anni, le agenzie caritatevoli non sanno che farsene, la rottamazione di tutti i regali di nozze che i baby boomers veneravano come pegni intoccabili della loro unione e delle loro conquiste sociali è nella sua fase avanzata. E’ l’età dell’oro per gli svuotatori di cantine. I quotidiano snocciola anche le ragioni pisco-sociologiche di questo trauma generazionale. I baby boomers avevano fatto coincidere la felicità con la conquista di uno status sociale che andava in qualche modo certificato. Non bastava la villetta indipendente con il backyard e la cucina unita al soggiorno, dal vangelo dell’architettura urbana secondo Frank Lloyd Wright, ma serviva anche la credenza piena di servizi prestigiosi per il pranza della domenica o anche soltanto per sfoggio. Erano elementi di stabilità per una generazione che si stava radicando in una nuova classe sociale. Non c’è bisogno di spiegare che dei significati reconditi delle porcellane della nonna i millennial tendono a sbattersene con una certa leggerezza.

 

Qualche studente di humanities potrebbe esercitarsi con la teoria critica per interpretare il servizio di porcellana come simbolo dell’oppressione familista che si oppone all’emancipazione dell’individuo così com’è o come vorrebbe essere, e così il rifiuto di prendersi in carico la vetusta oggettistica diventa una forma di ribellione al materialismo piccino che innervava il sogno americano dei padri. Ma forse il problema è ancora più semplice: i giovani non vogliono l’eredità polverosa chiusa nelle credenze di genitori e nonni perché è composta da oggetti brutti. Le porcellane Lenox non sono vintage, sono improponibili, i cristalli vecchi non sono chic, sono soltanto vecchi, i soprammobili sono, appunto, soprammobili, non hanno bisogno di aggettivi per essere scartati. Il grande cambiamento sociale nel rapporto con la materia e il benessere di cui parla in New York Times non è che la scoperta che le cose di cattivo gusto meritano di essere buttate. Il valore affettivo lo si cercherà all’Ikea.

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