Foto LaPresse/XinHua

C'è chi considera Uber preistoria

Google ha condotto uno studio sulla generazione Z (quelli nati dopo il 1993) che fa sentire tutti vecchi, millennial compresi 

New York. I millennial che si sentono cool hanno diversi modi per comprendere che sono vecchi dentro e fuori. Uno è fare tardi per due sere di fila e poi sorprendersi, all’happy hour della settimana successiva, a ordinare la birra piccola. L’altro è leggere lo studio di marketing condotto da Google sui gusti della generazione Z, quella dei ragazzi nati dopo il 1993. E’ criptico già a partire dal titolo: “It’s Lit: A Definitive Guide to What Teens Think Is Cool”, dove “it’s lit” è una di quelle espressioni che sono sempre esistite e nello slang di una generazione hanno cambiato di significato, quindi chi le usa con il loro senso vecchio compie un’ammissione di senilità. “It’s lit” per la generazione Z significa più o meno “figata”.

 

Dallo studio di Google si scoprono molte cose inaspettate e alcune largamente attese, tipo che anche i ventenni amano e si affidano totalmente a Google. Addirittura Google+ è leader incontrastato dell’esperienza generazionale, e YouTube e bellissimo e senza rivali. Che il dizionario dei sinonimi dei giovanissimi sia breve all’incirca quanto quello di Donald Trump e del suo “jerkish” (copyrigt Philip Roth) si poteva dedurre già dai comportamenti linguistici dei millennial, che sono cresciuti nell’impoverimento lessicale. I teenager definiscono “cool” le cose che sono “unique, impressive, interesting, amazing” oppure l’immancabile “awesome”. Una differenza chiave fra le due generazioni è che “al contrario dei millennial, questo gruppo è ambizioso, impegnato e sente di poter cambiare il mondo”, mentre i loro fratelli maggiori affogavano nell’ironia hipster, una simpatica forma di cinismo”. Sui brand, i ragazzini danno delusioni brucianti ai loro immediati predecessori. Vice, il magazine generazionale che sembrava il punto di non ritorno della coolnes, ha un coefficiente di figaggine irrisorio, ed è seppellito nella coscienza dei giovani consumatori perfino dalle Doritos, patatine per tutte le stagioni. Vanno male anche Facebook e WhatsApp, mentre Instagram è altissima nella classifica del posizionamento commerciale.

 

Uber agli occhi della generazione Z è una compagnia per vecchi, e che si stia dando tanto da fare per i taxi che si guidano da soli non cambia di molto la valutazione. Grande indecisione, invece, sulla scelta dello smartphone, ché non c’è un vincitore chiaro nell’eterna sfida fra Android e Apple. Uno degli aspetti interessanti di questo studio su una generazione che promette di essere anche più inafferrabile, in termini di marketing, di quella precedente, è che nel mare agitato delle variabili ci sono costanti intergenerazionali. Ad esempio gli Oreo, l’iconico biscotto con la crema in mezzo, la pizza a basso costo, i gelati con i gusti impronunciabili. Queste cose non sono soltanto consumate dai ragazzini, ma pensano che siano cool, anzi “lit”, cosa che non era necessariamente vera per i millennial. Spesso non è facile afferrare la logica di certe scelte: quelli della generazione Z, ad esempio, pensano che che la cosa più figa dello skateboard sia portarlo in giro a mano senza mai andarci sopra. La scoperta più poetica e di difficile interpretazione è questa: “La generazione Z è la più informata, evoluta ed empatica del suo genere”, dove “del suo genere” non si capisce esattamente a cosa alluda. Anche questo serve per aprire uno scrigno di mercato da 200 miliardi di dollari.

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