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Il manifesto della Reuters contro la trumpificazione come manuale di vita, non solo di giornalismo

La campagna fatta a raffiche di ordini esecutivi è disegnata per produrre un’opposizione oltraggiata e reattiva, incline a usare lo stomaco più che la ragione, cosa che ricalca il profilo di Trump

New York. Il destino beffardo prepara una sorte paradossale per gli oppositori permanenti di Donald Trump: la trumpificazione. Trump ha escogitato un modo scaltro per neutralizzare l’avversario, renderlo simile a sé, portarlo sul suo terreno, contagiarlo per poi renderlo innocuo. La campagna “shock and awe” fatta di una raffica di ordini esecutivi oltraggiosi (di più: anche quelli poco oltraggiosi nella sostanza sono stati presentati come tali) è disegnata per produrre un’opposizione oltraggiata e reattiva, incline a usare lo stomaco più che la ragione, cosa che ricalca il profilo di Trump. Il fatto è che Trump è un maestro dell’isteria e del rovesciamento, vince quando finalmente il suo avversario depone le armi dell’intelletto e arriva a dire quel che ha detto Whoopi Goldberg: “I valori del presidente sono diversi da quelli dei talebani?”. Quando Steve Bannon dice al New York Times che i media “devono stare zitti” vuole suscitare lo sdegno e indurre travasi di bile, ché con i soggetti incolleriti lui ci sa fare. Difficile non cadere nella trappola. La guerra fra Trump e i media è iniziata con l’Huffington Post che sprezzante dava conto delle sue gesta nella sezione degli spettacoli ed è finita con i giornalisti che marciano in piazza. In mezzo c’è un memorandum interno del direttore della Reuters, un testo di inusuale equilibrio che fornisce la testimonianza che qualcuno sta provando a contrastare Trump senza giocare nel suo campo. Che fare? si domanda il direttore, Steve Adler. Boicottare? Denigrare? Querelare? Manifestare? No. “Sappiamo già cosa fare perché lo facciamo tutti i giorni, e lo facciamo in tutto il mondo”. Segue un’analisi un filo compiaciuta del giornalismo a schiena dritta che però contiene un invito a guardare i fatti, a fare un bel respiro, a esercitare la capacità di analisi contro la dittatura dei tweet e delle urla. Roba forte, di questi tempi. Adler suggerisce ai giornalisti di passare più tempo con la gente per capire “come il governo appare loro, non come appare a noi”, di non “avere scontri che non sono necessari”, di evitare che “gli articoli parlino di noi stessi”, finendo così nella crescente metanarrativa dei giornalisti che raccontano di giornalisti oppressi da Trump. Adler parla di questo periodo come di una “opportunità” per lavorare di più, meglio e magari con un po’ più di allegria: un manifesto contro la trumpificazione.

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