Basta auto di proprietà, solo Uber e Lyft. La profezia della sharing economy nega il sogno americano

John Zimmer, uno dei cofondatori di Lyft, è certo che fra cinque anni la maggior parte dei millennial americani non sarà proprietario di un’automobile

    New York. John Zimmer, uno dei cofondatori di Lyft, è certo che fra cinque anni la maggior parte dei millennial americani non sarà proprietario di un’automobile. E’ una speculazione che Zimmer esibisce pro domo sua, un wishful thinking che giova a chi, come lui, ha trovato una vena d’oro dalla parti della sharing economy, creando un Uber più informale e a buon mercato che tenderà a rendere superflua e spuria l’idea dell’acquisto di una macchina per le giovani generazioni. Il calo del numero di americani che prendono la patente di guida corrobora la tesi dell’imprenditore. Quello che era “un simbolo del sogno americano” si è trasformato in “una palla la piede da 9.000 dollari l’anno”, dice, riferendosi al prezzo medio che gli americani pagano fra rate, assicurazione, benzina, pedaggi, balzelli e manutenzione. Questione di portafogli e “bottom line”, niente di più.

     

    Al pragmatico Zimmer – che come tutti gli imprenditori tech lascia che siano gli inoppugnabili dati a guidare i ragionamenti – non sfugge tuttavia il valore simbolico e culturale di un paese costruito sulla pietra angolare dell’indipendenza e della libertà personale, e che potrebbe gettarsi fra le braccia della dipendenza da un servizio gestito da altri, per quanto rapido e funzionante possa essere. Altro che disintermediazione. Possedere un’automobile è il gesto più disintermediato che si possa fare. Costruirsela da sé lo è ancora di più, e non è un caso se in molti stati, specialmente nel sud, ci sono regole estremamente lasche in materia di immatricolazione di veicoli. Basta che abbiano quattro ruote, due fanali e poco più e si possono mettere sulla strada.

     

    In quel complesso coacervo di promesse che è il sogno americano la mobilità autonoma e indipendente è un concetto fondamentale. Il paese è diventato grande grazie alla wanderlust dei suoi abitanti, dalla capacità di movimento, dalla voglia insopprimibile di spingersi oltre la prossima frontiera. L’epica del pick up e dell’auto spropositatamente grande non ha a che fare soltanto con le necessità del lavoro, è il racconto di un simbolo di capacità trasformativa e di affermazione rigorosamente individuale. Ci provano da decenni nelle grandi città a fare le corsie preferenziali per le automobili che viaggiano con più di due persone a bordo, ma se cercate di attraversare New York o Los Angeles alle 8 di mattina di un giorno feriale vi renderete conto che la trovata non rende granché. La macchina continua a essere un invincibile simbolo dell’indipendenza, non ha bisogno di app né di attese, non deve affidarsi ad altri guidatori se non al suo proprietario, che dispone unicamente del mezzo che permette di raggiungere uno dei beni più ambiti, specialmente in un paese-continente con vasti spazi ancora da conquistare, la capacità di movimento. La sharing economy funziona a meraviglia e fa girare il mercato, ma nega un pezzo non insignificante dell’epica americana.