Bangkok al tempo del virus

Massimo Morello

Non solo il Covid-19, ma soprattutto i suoi avatar economici, sociali, politici, culturali. E’ come se l’epidemia che sta colpendo l’Asia moltiplicasse gli agenti patogeni. Segnando un nuovo passaggio storico

“Bladerunneresque”. Il termine è stato coniato nel 1998 dal thailandese SP Somtow, compositore, direttore d’orchestra, scrittore di fantascienza, fantasy, horror. Una vittima predestinata, dunque, di quella sindrome provocata dalla visione di Blade Runner, che si manifesta come una perversa seduzione per tutto ciò che è ambiguo, sordido, in penombra. E’ scatenata dalle scene in cui si viene catapultati in una metropoli postmoderna, divisa in un sopra di grattacieli e occulti centri di potere e in un sotto di sterminati bassifondi al neon, disseminati da banchetti di street-food, l’immagine matrice di un mondo globalizzato, dominato da multinazionali che agiscono come spettri creatori di zombi.


Nel film, uscito nel 1982, quella metropoli era la Los Angeles del 2019. Ma col passaggio del millennio e il trascorrere dei decenni del nuovo secolo, nell’immaginario collettivo la scena si è spostata a Occidente (curioso relativismo delle coordinate geografiche), ossia in Asia.  “Ciò che gli occidentali chiamano una visione fatalistica della vita, in Asia si trasforma spesso nell’idea del karma. Tutte le buone e le cattive azioni di una vita passata si pagano per le strade, nei bar e nei vicoli di questa vita: non resta molto spazio per il libero arbitrio all’interno del concetto di un universo in cui i debiti si saldano in una prossima incarnazione” scrive Christopher G. Moore, autore di thriller ambientati soprattutto a Bangkok. La sua è un’interessante interpretazione metafisica di questo spostamento spaziale da Los Angeles a Krung Thep (parte dell'originale toponimo di Bangkok), ossia la Città degli Angeli (curiosa coincidenza tra i nomi delle metropoli in cui si materializza Blade Runner), “la figlia bastarda di feudalesimo e futurismo” come la definisce lo stesso Somtow. Secondo lo scrittore inglese Lawrence Osborne, la cui Bangkok è l’epitome del Bladerunneresque, questa città è “il protocollo di una caduta”. A Bangkok si materializzano le scene biopunk descritte da Paolo Bacigalupi (autore italoamericano) nel suo "La ragazza meccanica". E qui, secondo Moore (affermazione che ho cominciato a sentire profondamente mia), “la possibilità di un pericolo, come un battito cardiaco irregolare, è imprevedibile”. Moore azzarda il paragone con la “Morte a Venezia” di Thomas Mann, nell’estetica dell’altrove esotico che sotto la superficie del sogno nasconde gli incubi della decadenza, dell’ambiguità e di un’epidemia che non purifica.  

Chris Coles: One Night in Bangkok


Sono trame e scene che echeggiano come profezie di sciagura nella Thailandia del 2020. Per l’epidemia di coronavirus, innanzitutto. Non per il morbo in sé che qui, almeno per ora, appare miracolosamente contenuto. Per i suoi effetti collaterali e le sue mutazioni il virus si sta rivelando un’incubatrice di crisi. Quella sanitaria amplifica quella economica e finanziaria, alimenta le tensioni sociali.
Ad alcuni, in un paese così pervaso dal senso del magico, la strage dell’8 febbraio a Korat, una città del nord-est thailandese, dove un militare ha ucciso 29 persone e ne ha ferite altre dozzine in una giornata di ordinaria follia non è apparsa una pura coincidenza bensì un ulteriore segno del destino, un maleficio. C’è chi l’ha spiegata con il cattivo feng shui dello shopping mall dove il soldato ha sparato sulla folla, altri come la nemesi di una mostra giudicata blasfema.
La magia può rivelarsi un modo per giustificare ed esorcizzare eventi che altrimenti potrebbero destabilizzare il sak sit,  quei poteri soprannaturali che esigono riverenza, impongono totale sottomissione e sono alla base della cultura gerarchica thailandese, di un sistema per molti aspetti ancora feudale. Negli ultimi anni il sistema si è rafforzato con un regime patogeno, che ha declinato l’autocrazia in diverse forme (dal golpe alla democrazia sotto controllo). Lo scioglimento del Future Forward, il nuovo partito d’opposizione che più spaventa il regime, ne è l’ultima manifestazione, che rischia di creare una profondissima frattura nel regno. L’accusa formale è pretestuosa, quella più diffusa è anche la più significativa: il leader del partito Thanathorn, si ispirerebbe all’antica e misteriosa setta degli Illuminati che trama per istituire un nuovo ordine mondiale.
In realtà, come per la diffusione del coronavirus in Cina, tutte le crisi che in Thailandia appaiono casi, malefici o coincidenze non sono cigni neri. Derivano, sintetizza Sanitsuda Ekachai in un profondo articolo del Bangkok Post, da una serie di fattori endemici (viene da dire genetici): corruzione, abuso di potere, violenza. Per la strage di Korat, ad esempio, la ragione profonda va ricercata nelle malsane commistioni d’interessi tra ufficiali e soldati.
Bangkok al tempo del virus appare sempre più Bladerunnerseque. E’ come se il Sud-Est Asiatico, l’Asia in generale stessero subendo l’ennesima mutazione. Come se l’evocato secolo asiatico stesse già concludendosi. Solo per qualche vecchio, nostalgico expat potrebbe avere un aspetto positivo: il ritorno dei bei vecchi tempi andati, tra crisi, magie, collassi. Un po’ come diceva il tenente Willard nella prima scena di Apocalypse Now: “Io volevo una missione, e per scontare i miei peccati, me ne assegnarono una”.