Il sonno della ragione genera mostri

Il pensiero magico e i milioni di vite degli stupidi

Massimo Morello

In Thailandia e in Italia, paesi con similitudini sorprendenti e inquietanti, il pensiero magico diviene modello di comprensione e detonatore di caos. Una trappola cognitiva.

«Come italiano puoi capire meglio la Thailandia» mi disse un giornalista inglese, uno di quegli Old Asian Hands, quelli che hanno seguito gli ultimi decenni di guerre, traffici, rivoluzioni e intrighi di questa parte di mondo. Una specie ormai in estinzione.
Mi ero rivolto a lui proprio per questo: per chiedergli consiglio quando avevo deciso di fissare la mia base a Bangkok (ormai comincio pericolosamente ad assomigliargli).
La sua risposta, con una sottile vena d’ironia, mi aveva un po’ indispettito: mi sembrò quasi offensiva, tipica dell’arroganza anglosassone. In seguito, pensandoci bene e soprattutto vivendo le vicende politiche thai, mi resi conto che aveva ragione: la Thailandia è l’Italia del Sud-est asiatico, come l’Italia è la Thailandia dell’Europa (per concludere il paragone si potrebbe aggiungere che il Vietnam è la Germania di questa parte di mondo). Nel bene e nel male, nello stile di vita e nella politica.
È così, per un po’, ho pensato che potevo cavarmela ragionando da italiano. Anzi, me ne vantavo: «Da italiano capisco meglio la Thailandia» dicevo. Senza ironia. Sottintendendo un’antica cultura, radici in Machiavelli, nella Venezia di Marco Polo, nell’Impero romano d’Oriente. Ma anche, più pragmaticamente, pensando alle stranezze, ai bizantinismi, alle oscure contaminazioni della politica italiana.
Poi, cercando sincronie e sintonie culturali, ho capito che non potevo capire. In questo mi ha aiutato un altro Old Asian Hands, un italiano, Luca Invernizzi Tettoni, profondo conoscitore del Sud-est asiatico, dove si era stabilito negli anni Settanta. «Ho studiato di tutto per capire, da Jung a Lin Yutang. Poi ho capito che non potevo capire. E adesso mi sento molto meglio» mi disse con quell’aria un po’ così, da cinico disincantato e irridente che ancora rivedo come il sorriso del gatto di Alice.  
Negli ultimi tempi ho avuto una nuova illuminazione. Ho capito che la Thailandia mi serviva a capire l’Italia. E’ proprio come ha scritto Bob Shacochis, narratore, giornalista giramondo americano di cui condivido la passione per Joseph Conrad, Graham Greene, Ernest Hemingway: “Se vuoi conoscere un uomo viaggia con lui. Se vuoi conoscere te stesso viaggia da solo. Se vuoi capire il tuo paese metti casa in un altro paese. Ma non in un paese del mondo occidentale. Fermati là dove nulla è familiare, dove la luce è surreale, gli odori sono quelli di spezie sconosciute e s’avvertono vibrazioni aliene. Immergiti in un altrove che rifletta un’immagine rovesciata”.
Così, dopo anni che sono concentrato su cultura e politica del Sud-est asiatico, ironicamente, ho capito che questa è una chiave per comprendere meglio quella italiana. Anzi: per capirne l’incomprensibilità. Ad accettarla come una manifestazione magica. Tanto che spesso gli amici (le amiche, in realtà) del Foglio mi prendono un po’ in giro per questa fissazione su magia, indovini, Spiriti. Hanno ragione. In una parte di mondo dove spiritualità, magia, filosofia, superstizione, miti e riti sono inestricabili, l’idea di una dimensione popolata da Spiriti, da entità immanenti la natura, di qualche cosa che manifesti il sacro (le ierofanie del  “Trattato di storia delle religioni” di Mircea Eliade) diviene reale. Si rischia di cadere nella trappola culturale da cui ci mette in guardia Carl Gustav Jung. “Non si possono mescolare acqua e fuoco. Se l’occidentale si comportasse come un orientale diventerebbe ridicolo, e viceversa…Costruire ponti falsi o illusori sopra abissi vaneggianti è cosa inutile”. In realtà, il rischio maggiore non è nella contaminazione ma nella confusione. Così come, per i monaci thai bisogna distinguere tra i “preta”, i fantasmi (che forse Jung collocherebbe nell’inconscio collettivo) e i “nimitti”, le allucinazioni (gli “abissi vaneggianti”).
Sembra che i “nimitti” stiano prendendo il sopravvento. Sono apparsi anche in un articolo del Wall Street Journal di pochi giorni fa. Il titolo, Magical Thingking in Italy, era una sarcastica definizione del guazzabuglio della politica italiana. Il termine di pensiero magico non aveva una connotazione filosofica, voleva evocare una situazione tanto pittoresca quanto astrusa, misteriosa, anche un po’ cialtrona. Insomma riprendeva l’idea che in Occidente si ha della magia, un po’ com’è rappresentata ne “L’Apprendista Stregone” versione Disney.

Nonostante ciò, quel titolo è molto più preciso e profondo delle sue intenzioni. Almeno da un punto di vista orientale. Qui il pensiero magico costituisce un tipo di percorso cognitivo in cui manca una relazione causale tra soggetto e oggetto, mentre la realtà può essere influenzata dai pensieri e i desideri personali, agendo sull’emotività, più che sulla razionalità. A questo, ad esempio, serve il tatuaggio magico thai, il sak yant: è un medium, un collegamento tra il mondo fisico e quello degli Spiriti che serve a determinare o modificare il corso dell’esistenza.

Tutto ciò può davvero apparire ridicolo e spesso viene confuso con mode mistiche, neo-orientaliste, post-new age. In alcuni casi è assimilabile alla diffusione del Buddismo versione lounge. A ben pensarci, però, si possono trovare ponti sull’abisso: basta non aver paura di guardarci dentro o di esserne guardati.
Il buddismo, ad esempio, può essere interpretato quale filosofia che riconduce a un approfondimento del processo cognitivo che aiuta a superare “il crescente tribalismo delle società contemporanee” (tema su cui riflette un articolo del New York Times: Assessing the Value of Buddhism, for Individuals and for the World). E il pensiero magico potrebbe essere ricondotto all’idea di Ludwig Boltzmann (fisico, matematico e filosofo del XIX secolo). Nota come “il cervello di Boltzmann” ipotizza un’entità consapevole di sé, secondo cui tutto ciò che pensate di sapere, di ricordare, di sperimentare, potrebbe essere nient'altro che un'illusione elaborata da un network cognitivo sbucato spontaneamente dal disordine.


Sono concetti talmente complessi che, almeno per me, sono difficilmente distinguibili dalla magia (in proposito è da leggere un altro interessante articolo del WSJ: When Einstein Walked With Gödel’ Review: Plato, Physics and Brains in Space). Insomma, per l’ennesima volta, capisco di non capire. Il trucco sta tutto nella complessità che cela il segreto della non-comprensione della politica thai e italiana.
In Thailandia (fenomeno che comincia a manifestarsi anche in Cina) l’applicazione del pensiero magico sta diventando una forma di de-occidentalizzazione, di ritorno alle tradizioni (come il revival del “chut thai”, l’abito indossato sino a un centinaio d’anni fa).

In Italia, invece, il pensiero magico appare come un mezzo di ritorno a uno stato di natura, all’ideale società del buon selvaggio. In entrambi i casi si rivela una trappola cognitiva.
«Ci vorranno milioni di vite prima che gli stupidi rinascano intelligenti» mi ha detto un vecchio monaco della foresta col quale ho trascorso uno strano, breve periodo ragionando proprio su questi paradossi.
«Non ho tanto tempo» gli ho risposto.
«Smettila di pensare al tempo».
Quella notte, in una specie di kuti, di cella monacale che quel vecchio aveva costruito accanto al suo, ho continuato a pensare. Al tempo e agli stupidi. Il tempo che trascorre e che sembra essere divenuto il tempo degli stupidi.
Ho concluso che aveva ragione il vecchio monaco: lasciar trascorrere il tempo senza pensarci. E senza preoccuparmi degli stupidi.
Il che si sta rivelando più difficile.

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