La calciatrice Sue Smith (a sinistra) e Marzena Bogdanowicz, responsabile marketing della federazione femminile di calcio inglese, giocano con il primo set tutto femminile di Subbuteo

La retorica da marketing del Subbuteo femminile

Simonetta Sciandivasci

Grandi festeggiamenti per l'arrivo del primo set con statuine donne. Ma era solo un'operazione per portare persone allo stadio a vedere la finale della FA Woman’s Cup

Fino ad aprile, più o meno per tutte noi, peggio delle bocce c’era solo il biliardino geriatrico, più comunemente noto come Subbuteo. I primi di maggio, però, è stata diffusa la notizia dell’arrivo in commercio di quello femminile e, in onore delle pari opportunità, ci siamo repente tramutate in subbuteatrici, unendoci ai finally delle inglesi, che giubilavano per questo nuovo, imprescindibile traguardo dell’inclusione calcistica, e nascondendo lo sgomento per la possibilità che, durante una cena qualunque, a casa di amici illuminati, d’estate, a qualcuno sarebbe potuto venire in mente di proporci, tra il dolce e l’amaro, una partitella a Subbuteo (che avremmo dovuto, per coerenza femminista, essere felici di giocare). Le inglesi e gli inglesi, però, si sono precipitati su Amazon per comprare il Subbuteo delle donne, non lo hanno trovato e hanno scoperto l’amara verità: ne erano state prodotte solo poche scatole, in edizione limitata, da vendere all’ingresso della finale della FA Woman’s Cup (vinta dal Chelsea, la scorsa settimana). Grande è stata la furia delle genti che, allora, hanno chiesto, presso l’hashtag #itsourgametoo (è anche il nostro gioco), di allargare la produzione per equità di genere. La manovra della FA (Football Association) è stata, quindi, semplice retorica da marketing (tokenism, dicono gli anglosassoni, intendendo “sforzi meramente simbolici per mostrarsi inclusivi verso le minoranze”). In Inghilterra, d’altronde, la FA femminile è impegnata nella elaborazione di strategie per portare pubblico allo stadio, essendoci quasi più calciatrici che tifosi: vendere qualche Subbuteo dipinto a mano all’ingresso dello stadio ha fatto parte del piano. Son paradossi che capitano, quando niente si fa per gusto e tutto, invece, per ravvedimento operoso.

 

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