Foto tratta dal profilo Facebook di Zelaya Ricardo

Meglio un arbitro donna

Simonetta Sciandivasci

Certi arbitri non sono solo stronzi, ma pure verbosi. Fischiano e cianciano e dicono cose da giurato di un talent show condominiale, come per esempio “smettila di piangerti addosso, sei solo una femmina” (è successo di recente alle ragazze del Senna Gloria, nel lodigiano, ma capita da sempre, lo sanno pure i fili d’erba, quelli che – diceva Rocco Scotellaro – fanno patria dove la terra trema). Però poi ci sono gli arbitri che non parlano e solitamente sono donne (non c’è solo quello che le donne non dicono: ci sono pure le donne che, sapientemente, non dicono niente, mai). “Quando i giocatori provano a intimidirmi, smetto di parlare con loro ed è il mio modo per dire: non discuto più con te, tu sei un cafone ma io no”, ha detto Melissa Borjas, prima donna ad arbitrare nella Liga Nacional de Futbol Profesional de Honduras, il più importante campionato del paese, non proprio ridente per le donne e – per dire – da pochissimo indicato come il più mortale al mondo per gli ambientalisti. Che succede quando i maschi in campo la insultano e la canzonano con quei ritornelli da fessi e lei (cercatela su Google immagini: troverete un’implacabile Na’vi; una bellissima, severissima, giustissima regina inca), col cavolo che cede alle provocazioni? “Stranamente, quando smetto di parlare, iniziano a capire come devono comportarsi”, ha detto. Breve parte recente della sua bio: per fare l’arbitro bene come meritava, è andata via dall’Honduras, dopodiché è diventata così famosa che gli onduregni hanno cominciato a chiedere insistentemente, sui social network – i noti “usi buoni del mezzo” – come mai non ce la si andasse a riprendere. E hanno vinto loro. E lei zitta e contenta – “non mi piace stare al centro dell’attenzione”. Certe volte, gli hashtag toccano solo agli altri.

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