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Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

I cocktail

Andrea Ballarini

Salgono le temperature, la fame a volte diminuisce, ma la sete aumenta sempre. Non fatevi sfuggire allora l’occasione di dire quel che sapete e, soprattutto, quel che non sapete

• Saperne preparare almeno uno alla perfezione è un must. Parlare di alfabetizzazione del potus.

 

• Per quanto buono sia il cocktail che si sta bevendo, trovarlo sempre mediocre, a suggerire grande uso di mondo.

 

• Parlare di mixology. Non serve sapere esattamente cosa sia, è sufficiente averne una nozione superficiale.

 

• Lo spritz è ormai irrimediabilmente datato. Del tutto out quello con l’Aperol; tollerabile quello con il Select, ancorché solo in area veneta.

 

• Chiamarli coda di gallo. Se qualcuno si stupisce ribattere che i francesi traducono computer, file e mail e nessuno dice niente.

 

• Si porta molto il Moscow Mule. Convenirne. Ordinare un London Mule (gin al posto della vodka) è molto avanti.

 

• Avere avuto un impriting fatale in anni giovanili, allorché si vide al cinema “Cocktail” con Tom Cruise. L’impossibilità di emularne le performance ha comportato una grave ferita narcisistica rinnovatasi, Negroni dopo Negroni, per anni.

 

• Vantarsi di saper preparare il miglior (inserire il nome di un cocktail famoso) d’Europa. Non prepararlo mai adducendo la mancanza dell’attrezzatura personalizzata da bartender.

 

• È molto cool dire di essersi mantenuto per anni lavorando come bartender in un bordello asiatico. Porre attenzione a evitare l’effetto Manuel Fantoni*.

 

• Mai ordinare “un Vodka Martini, skakerato, non mescolato” a meno di non essere James Bond. Velleitario e patetico.

 

• Avere ridotto i cocktail perché sono una bomba calorica. Dolersene. Ma non saper resistere al Mojito di (...). Aggiungere il nome di un famoso cocktail artist per far capire che la si sa lunga.

 

• Andare all’Avana per bere un Mojito alla Bodeguita del medio: usurato, ovvio. Preferire Cesenatico e la piadina col crudo con un calice di Sangiovese: meno snob e più di tendenza.

 

• Aborrire gli ombrellini di carta infilati nei bicchieri. Parlare di estetica borsello.

 

• In compagnia di venti-trentenni, vantarsi di avere inventato un cocktail a base di birra bionda e gazzosa che ha goduto di un notevole successo nelle bocciofile della bassa padana degli anni Cinquanta e Sessanta.

 

• Spiegare con abbondanza di dettagli tecnici perché si shakerano certi cocktail posiziona come raffinati conoscitori della materia. Vale inventare, tanto lo sanno in pochi, forse pochissimi.

 

• Avere avuto la sensazione di avercela fatta nella vita il giorno in cui si è acquistato il frigorifero con il distributore di ghiaccio automatico.

 

• Se l’anagrafe lo consente, rievocare la prima volta che si è sentita l’espressione “on the rocks” in un antico Carosello della Vecchia Romagna Etichetta Nera con Gino Cervi e Sorbolik. Très chic.

 

 

• Conservare un articolo pubblicato da un importante quotidiano nazionale in occasione della morte di Zygmunt Bauman, nel quale il noto sociologo veniva chiamato per ben due volte Zygmunt Barman. Lamentare la scomparsa della figura del correttore di bozze.

 

• Purtroppo è difficile dimenticare qualcuno bevendo un’orzata. (Hugo Pratt)

 

(*) Vedi “Borotalco”, Carlo Verdone, 1982.

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