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Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

Le cene natalizie aziendali

Andrea Ballarini

Più inesorabili di una cambiale, più temibili di in un’epidemia, più implacabili di un killer della mafia, sono tornate. Non andateci senza esservi armati di concetti di pronto impiego con cui gestire la conversazione. Ecco la nostra selezione

• Cominciare a temerne l’approssimarsi sin dal ritorno dalle vacanze estive.

 

• Notare con piglio sociologico che le donne anche se si sono messe solo un rossetto diverso sembrano sempre elegantissime, mentre gli uomini, anche se indossano lo smoking, spesso sembrano non essere neppure passati da casa a cambiarsi. Trarne deduzioni aberranti sui rispettivi approcci esistenziali.

 

• Ci sono due tipi fondamentali di commensali: quelli che cercano di sedersi il più lontano possibile dal tavolo dei dirigenti e quelli che tramano subdolamente per esservi ammessi e che se non vi riescono rosicano da morire. Convenirne.

 

• Individuare il collega che ride di più alle battute d’antan di un superiore gerarchico, non dire nulla, ma nel segreto del proprio cuore etichettarlo come spregevole leccaculo. Nota bene: tale qualifica non è più suscettibile di essere rivista, neppure qualora il collega guidasse una rivoluzione contro il board.

 

• Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, tenere un profilo bassissimo e cercare di non essere intercettato nei corridoi da qualsivoglia dirigente, a scongiurare la funesta eventualità di vedersi assegnare il compito di scegliere il ristorante per la cena sociale di Natale.

 

• Qualunque sia il ristorante in cui si tiene la cena di Natale, e indipendentemente dal fatto che si tratti di una bettola maleolente o di un principesco tre stelle Michelin, stroncarlo aspramente, proiettando su di esso tutti i rancori della quotidianità d’ufficio.

 

• Sono il vituperio delle genti, poiché alla velleità di divertirsi a qualunque costo, tipica delle feste di fine anno, si aggiunge l’incresciosa necessità di farlo con persone che non sono amici e con cui, in mancanza di obblighi d’ufficio, difficilmente si uscirebbe a cena.

 

• Gli imprenditori più intrepidi non organizzano alcuna cena di Natale e affrontano le inevitabili critiche di spilorceria a fronte alta. Plaudire al coraggio.

 

• Ricordarsi sempre di lamentarsi per la vessazione di dover partecipare; con disincanto al limite del cinismo dire si preferirebbe ricevere un bonus in denaro corrispondente al valore della cena stessa.

 

• Dal punto di vista delle relazioni aziendali sono la tipica lose-lose situation: organizzandole ci si attira un mare di critiche; non organizzandole, anche.

 

• Sostenere che abbiano una loro consistenza ontologica: nessuno le vuole, ma tutti le fanno, a nessuno piacciono, ma se non ci sono ce ne si lamenta aspramente. Arabescare sulla presenza del mistero nella vita umana.

 

• Le più temibili sono quelle destrutturate, dove non esistono posti fissi e si vaga come lemuri con i piatti in mano da una fila all’altra, dove camerieri dallo sguardo di Mohai dell’Isola di Pasqua versano svogliate mestolate di cibo a una turba inutilmente famelica. Individuare chi si mette in fila più volte per ottenere cibi esotici cui non riesce a dare un nome.

 

• “Nun è che se magna male; manca un po’ er giro de polso.” Commento colto dall’autore in una cena aziendale a base di finger food in un prestigioso locale della Capitale.

 

• Commiserare lo squallore morale del collega che dopo aver proclamato urbi et orbi di non partecipare alla cena “dei padroni”, come presa di posizione polemica, passa verso le undici solo per fare un salutino ai colleghi. Deplorare.

 

• Le peggiori sono le cene di Natale con pretese di team building. Ricordarne una particolarmente sinistra in cui si trattava di condurre un’indagine per scoprire chi avesse pugnalato lo chef. Rabbrividire.

 

• Provare un atavico orrore per il momento in cui una collega comincerà a dimenarsi con movenze velatamente sensuali su un vecchio hit di Gloria Gaynor, nel tentativo di coinvolgere gli altri nelle danze. Dopo qualche minuto notare che a ballare sono solo le donne e alcuni colleghi gay. Se l’uditorio apprezza l’ironia (verificare preventivamente), rievocare la celebre scena di “In & Out” in cui Kevin Kline per verificare la propria mascolinità ascolta un’audiocassetta che recita: “I veri maschi non ballano. In nessuna circostanza.”

 

• Non esiste un pasto gratis. Convenirne.

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