Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

The post-truth

Andrea Ballarini

È l’argomento più "in" del momento. Bisogna parlarne e sparlarne senza paura. Non è necessario sapere esattamente di cosa si tratti. E noi non vi chiariremo le idee

- Non aver capito bene in che cosa differisca da una balla pura e semplice. Valutare se tuonare contro l'importazione acritica delle espressioni anglosassoni.

 

- Mai tradurre il termine inglese per lasciare intendere che vi muovete in un ambito internazionale.

 

- Sfoggiare competenza indicando lo scrittore americano Steve Tesich, come autore dell'espressione "post-truth", coniata durante la prima guerra del Golfo nel 1990. Se qualcuno vi batte su tempo e lo fa prima di voi, chiosare che però quella era l'accezione primeva del termine, che sottintendeva una menzogna calata dall'alto a beneficio del popolo, mentre l'attuale è da attribuire al blogger David Roberts, che la usò nel 2010, anche se si diffuse nel 2016 in occasione delle elezioni presidenziali americane e del referendum sulla brexit. Se vi fregano anche questa cambiare discorso.

 

- Non appena possibile ricordare che l'Oxford Dictionary l'ha eletta parola dell’anno, definendola come «relativa a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nel formare l’opinione pubblica, del ricorso alle emozioni e alle credenze personali». Possibilmente modificare un po' la definizione, per non rivelare di averla imparata a memoria su Wikipedia.

 

- Postare su Facebook sul tema qualifica come vigili intellettuali contemporanei. Se il post è intollerabilmente lungo e si scaglia contro l'effettiva capacità della post-verità di influenzare l'opinione pubblica, ci si posiziona anche come coscienza critica.

 

- Si dice post-verità, ma più precisamente si dovrebbe dire verità del post. Lasciarlo cadere con nonchalance lascia intuire un atteggiamento disincantato nei confronti del potere dei social network e qualifica come brillanti conversatori.

 

- Ricordare che da ragazzini le si è sparate grosse per anni con i compagni di classe, fino al punto da credere alle proprie stesse balle, senza sapere di stare diffondendo delle post-verità. Compiacersene o rammaricarsene, secondo il proprio carattere.

 

- Scagliarsi contro i social network: sopra i quarant'anni attenti al misoneismo; se ne si ha meno di trenta è chic.

 

- Sostenere di conoscere uno che di mestiere inventa le bufale da diffondere attraverso i social network. Valutare se dissertare a casaccio sull'etimologia di bufala.

 

- Tuonare contro chiunque proponga una qualsivoglia forma di controllo di quanto viene diffuso via internet, senza passare da filocinquestelle, non è impresa da poco. Convenirne.

 

- Raccontare versioni migliorative delle proprie performance sessuali non può essere considerata in alcun modo una forma di post-verità. Dolersene.

 

- Se la versione è più divertente del fatto, si racconti la versione. (Benjamin Disraeli)

 

- Non è altro che la balla dell’altro, mentre la tua, di balla, passa come una considerazione. (Enrico Mentana)

 

- Una volta abbandonata la necessità di dover dire cose vere, in politica si aprono delle insospettabili prospettive per qualunque romanziere con un minimo di talento. Affermarlo con un sorriso ironico rivela il pensatore irriverente e il caustico osservatore del costume.

 

- Affermare provocatoriamente che il push-up è post-truth nella sua forma più pura, giacché l'aspetto emotivo surclassa di gran lunga quello razionale nel formare l'opinione pubblica. Dibattere pro e contro. Sorvegliare la deriva misogina.

 

- La post-truth è il nuovo storytelling. Non è necessario sapere esattamente cosa siano entrambi.

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