Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

La poesia

Andrea Ballarini

Inutile fare finta di no: qualcuna l’abbiamo scritta tutti. E qualcuno le scrive ancora.

- Citare alcuni versi a memoria, lascia intendere delicata sensibilità e gusti sofisticati. Periodicamente, ricordarsi di sostituirli.

 

- Affermare che la poesia non si spiega. In questo modo si è autorizzati a citarne brani a casaccio in qualunque occasione.

 

- L'arte di andare a capo prima che sia finita la riga. Da dire per attestare disinibita irriverenza nei confronti della cultura.

 

- Dire di leggerne spesso. Non specificare quando.

 

- Avere scoperto in seconda media che le poesie di Prévert acchiappavano di brutto. Ammetterlo solo in contesti amichevoli.

 

- Impossibile tradurla.

 

- Essersi strenuamente impegnati a dimenticare tutte quelle che si conoscevano a memoria, da quando le catene di Sant'Antonio tra i loro precetti per vivere una vita appagante hanno incluso: "Impara almeno una poesia a memoria".

 

- Ricordare quando a scuola, richiesti di recitare una poesia italiana a scelta, si è declamato "M'illumino d'immenso" di Giuseppe Ungaretti. Aneddoto un po' usurato, ma sempre valido. Comunque utilizzabile, a patto di ricordare il vero titolo della poesia e di raccontare spiritosamente come ci si è incasinati con la parafrasi.

 

- Recitare intere pagine a memoria del poema osceno goliardico "Ifigonia in Culide". Très chic.

 

- Rammaricarsi che negli anni Settanta non si insegnassero più le poesie a memoria, suggerisce una sensibilità umanistica sopravvissuta all'ideologia.

 

- Recitare alcuni versi delle più famose poesie italiane con esasperati accenti regionali è di sicuro effetto comico e – è provato – fonte di consenso sociale. "Salta il camoscio, tuona la valanga" con forte accento piemontese è esilarante; "I ginepri folti di coccole aulenti" con spiccata inflessione foggiana fa sganasciare; "Silvia, rimembri ancora quel tempo della tua vita mortale" in milanese: insuperabile.

 

- Che si tratti di una cover di Richard Clyderman o di una ritrascrittura da Bach, qualunque tappetino musicale a base di piano sotto le poesie, è la vetta suprema del cattivo gusto di ogni tempo. Convenirne.

 

- Avere rivalutato la rima ben prima del rap.

 

- Sostenere che le canzoni non sono poesia. Tesi provocatoria che può rivitalizzare qualunque serata stanca. Tenere pronti solidi argomenti per evitare di venire alle mani ed essere pronti a cedere su Dylan, Brassens e una ristrettissima pepinière di cantautori.

 

- Raccontare aneddoti scolastici sul grottesco fraintendimento delle poesie: consentito, ma evitare incresciose gare alla rincorsa del peggio. Un evergreen: "Pianto antico" di Giosuè Carducci; dire che sfortunatamente i versi "Sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra" furono maldestramente interpretati da un compagno di classe come il cordoglio del poeta per la scomparsa dei suoi dodici figli.

 

- Essersi guadagnati da vivere in gioventù scrivendo i bigliettini dei Baci Perugina attesta uno smagato cinismo assai apprezzato in società.

 

- Avere imparato a proprie spese in tenera età che regalare un libro di poesia – specialmente i sonetti di Shakespeare - a una ragazza che vi piace, è una mossa infallibile affinché lei si metta con un compagno di classe che gioca a pallanuoto.

 

- Tenere sempre un libro di poesia sui sedili posteriori dell'auto o sulla scrivania posiziona come animi sensibili e dalle sofisticate letture. Di tanto in tanto spostare il segnalibro.

 

- Averne scritta una tanti anni fa, ma poterlo spiegare.

Di più su questi argomenti: