I Mondiali di calcio

Andrea Ballarini

Fra meno di un mese ci risiamo. Per alcuni sarà un'apoetosi di sport, per altri un colossale business, per altri ancora una di quelle tasse morali che  ci tocca pagare per essere dei contemporanei. Comunque la pensiate, eccovi alcune idee da ripassare in padella in società.

- Avere già i sintomi dell’orchite all’idea di quante volte ci faranno rivedere Italia-Germania 4 a 3 dei mondiali di Messico ’70. Chiosare che, ciononostante, quando Riva abbraccia Rivera l’occhio si inumidisce ancora. Arabescare variazioni a soggetto.

- Attendere con ansia la marea degli spot per i televisori a colori.

- La vittoria ai mondiali di calcio è il vero momento fondativo dell’identità nazionale. Sfortunatamente si ripete solo a scadenze variabili  e, di solito, quando meno ce lo si aspetta. Riflettere con pensosità.

- Prepararsi mentalmente allo spettacolo del compagno che per un mese seguirà con spasmodica attenzione le registrazioni di partite di assurde nazionali africane, da cui sarà impossibile distrarlo anche solo fuggevolmente, come se qualcuno lo pagasse. Fare seguire considerazioni sulle differenze di genere.

- La cosa peggiore non sono gli adulti che regrediscono a uno stadio adolescenziale schiamazzando, ruttando e rendendo inutilizzabile il soggiorno per ore, quanto dover portare fuori la mattina dopo sacchi di cartoni da pizza e decine di bottiglie di birra vuote, sperando che nella notte le formiche non abbiano già colonizzato il vostro appartamento.

- Rimpiangere i tempi in cui le donne erano escluse da questo rito viriloide. Ora, in nome della parità, possono parteciparvi e perfino fingere di interessarsene. Se donne: sostenerlo provocatoriamente denota acume e profondità; se uomini: gestire il sospetto di veteromaschilismo.

- Dopo l’arrivo di un figlio, l’esperienza potenzialmente più capace di scuotere un ménage.

- Fare zapping compulsivo sperando di imbattersi nel servizio giornalistico con ambizioni sociologiche in cui sia citato il rito della frittatona di cipolle in canottiera davanti al televisore e rutto libero di Fantozzi. Il primo che lo incontra può segnalarlo, corredato di canale e ora di trasmissione, agli amici.

- Avere sempre amato Pertini, ma col tempo persino la scena di lui che saluta e dice “Non ci prendono più” al Bernabeu ha un po’ rotto le balle. Convenirne.

- Sostenere che dalla vittoriosa spedizione in Spagna dell’82 (quella dell’accoppiata Bearzot-Pertini), in occasione di ogni campionato del mondo di calcio, la vendita delle pipe aumenta del 20%. Non è vero, ma in società ottiene sempre grande successo. Impegnarsi a fondo per far nascere una leggenda urbana.

- Attendere solo che qualcuno rievochi le immortali telecronache di Martellini che si sgolava ripetendo “Campioni del mondo! Campioni del mondo!”, per rinverdire la tesi secondo la quale il pur impeccabile Pizzul portasse lievemente sfiga.

- Dibattere se si provi maggior disinteresse per i Mondiali di calcio o per le Olimpiadi.

- Ma i tifosi che si dipingono la faccia dei colori della nazionale, poi che cosa fanno se perdono? Si struccano di nascosto con delle salviettine umidificate? E perché gli italiani non si dipingono mai la faccia di azzurro? Forse per non sembrare dei puffi affetti da gigantismo? Chiederlo, magari mescolando alla discussione eleganti nonsense – Forse le rondini amano Proust! – attesta un animo incapace di adeguarsi al comportamento della massa. Non esagerare con i nonsense.

- Ma perché i brasiliani rompono così tanto i coglioni se perdono?

- Quelli che dicono “In fondo è solo una partita di calcio” e poi vanno a casa e picchiano i figli. Oh, yes. (Enzo Jannacci e Beppe Viola)

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