Seguaci di Hieronymus Bosch, “Cristo scende nel Limbo”, 1550 circa (Wikipedia) 

Giganti

E la terra diventò un altoforno. Gli incubi fantascientifici di Alfred Döblin

Siegmund Ginzberg

Niente di quello che immagina si svolgerà esattamente come previsto nella sua fiction. Al tempo stesso riesce a evocare con l’immaginazione anche quello che la ragione non avrebbe potuto immaginare.  L'autore di “Berlin Alexanderplatz”, parla al nostro presente

Le guerre uraliche avevano incendiato e ridotto in macerie la Russia e l’Ucraina. “Fuoco e fumo chiudevano l’orizzonte, senza lasciar lacune; un cilindro di fuoco, una muraglia in movimento. […] Da ultimo videro il fuoco sollevarsi da terra insieme alla terra, sprizzar fuori dal suolo, salire il dorso di colline montagne, correre alto per il piano e per il monte. Era esso la barriera di cui avevano parlato gli Asiatici. […] Gli Occidentali si rigettarono indietro, a volo e con veicoli abbandonarono la linea del Volga. Si distesero da Cherson sino alle alture del Valdai a Nord. Conoscevano i milioni di uomini che abitavano nelle ricche pianure bene irrigate, coltivate a campo, e coloro che correvano innanzi alla parete del fuoco. Avevano volato su Mohilev, Smolensk, Cernikov, Poltava, Chiev. Jekaterinoslav, Orel, Cursk, Caluga. Tula, Tver, Novgorod, Tambov. Dall’Oriente il fuoco muoveva verso di essi. Saliva dagli Urali: gli Asiatici sacrificavano il Paese dinanzi a loro. Pensavano che gli Occidentali avrebbero accolto con pietà quella fiumana di uomini, e che la parete di fuoco si sarebbe volta verso l’Europa, i Balcani, la Polonia. Così pensavano gli Asiatici. Pensiero errato […]”.

 

Il lettore avrà riconosciuto, sotto la bizzarra grafia fonetica della traduzione apparsa nel 1934 nella Medusa Mondadori, nomi di località della cronaca quotidiana dei nostri giorni. L’originale tedesco di Berge Meere und Giganten (Monti, mari e giganti) di Alfred Döblin risale al 1924. La versione italiana, intitolata I giganti è basata su una versione accorciata e rimaneggiata dall’autore quasi un decennio dopo la prima edizione, alla vigilia della presa del potere da parte di Hitler. Guerra, incendi che devastano il pianeta da un capo all’altro, ghiacciai che si sciolgono, la natura violentata che si vendica sugli uomini, vulcani bombardati che eruttano e spaccano i continenti, mostri primordiali creati da esperimenti folli, giganti simili a quelli mitologici creati per combattere i mostri, potere dei mostri e mostruosità del potere. Mancano solo i virus. E’ un romanzo, un fantasy sfrenato, quasi allucinato, degli anni 20 che evoca immagini potenti, inquietanti dell’attualità. 

 

Molti conoscono Döblin per Berlin Alexanderplatz e magari anche per Novembre 1918. Una rivoluzione tedesca: borghesi e soldati, il romanzo in cui, post factum, cerca di spiegare ai suoi lettori il perché Hitler. Quasi nessuno conosce invece I giganti. Me l’aveva segnalato l’amico Guido Martinotti, l’anno che con lui ed Eva facemmo la sua ultima vacanza in barca, tra un’isola dell’arcipelago pontino e l’altra. Era l’anno dei grandi incendi in Siberia e in California. Riletto oggi, nell’anno della guerra in Ucraina, delle nubi nere di altre possibili e peggiori guerre e tempeste perfette che si affollano all’orizzonte, al terzo anno di Covid, ora accompagnato pure dall’inflazione, e di suicidi a catena della politica, nell’anno della grande calura, e della tremenda vendetta della natura maltrattata, mantiene, anzi moltiplica la capacità di evocazione.

 

“Era la guerra delle miniere vaganti. Delle miniere di fuoco. La terra fu trasformata in un altoforno”. Ma la Grande guerra degli Urali, il grande scontro tra l’occidente e l’oriente, è solo l’inizio di mutamenti e sconvolgimenti epocali, che durano molti secoli. “A quel tempo le Potenze mondiali erano ridotte a due: la Lega dei popoli occidentali, e quella degli orientali: India, Giappone, Cina”. Poi si passa alla frammentazione assoluta, ciascuno per sé e contro tutti gli altri. Nel mezzo millennio in cui si dipana la vicenda del romanzo, c’è e succede di tutto. In economia e in politica. Ma anche su un piano assai più largo, che coinvolge e sconvolge le viscere, le fondamenta geografiche, chimiche biologiche del pianeta sul quale viviamo. Ci sono grandi epocali migrazioni, dall’Africa e dall’Asia verso l’Europa, e poi dalle città verso le campagne, e poi di nuovo dalle campagne verso le città. Ci sono la morte della democrazia, il ritorno al Medioevo, gli intrighi dei Senati assetati di potere, i colpi di mano di capipopolo carismatici e senza scrupoli (la Germania di Weimar era il Colosseo della politica, visse la saga delle elezioni che si susseguivano a ruota, delle campagne elettorali interminabili, degli spezzatini di partiti, finché arrivò Hitler e non ci fu più bisogno di votare). C’è persino una strana epidemia di servilismo, una fuga in massa dalla libertà, che spinge masse di uomini e donne a offrirsi volontariamente come schiavi. C’è la Macchina che prende il sopravvento sull’Umanità (era anche questa un’ossessione di Weimar, si pensi a Metropolis). C’è in reazione, un “movimento retrogrado di natura barbarica”, una sorta di movimento per la decrescita. Un leader di nome Marduk (a ogni passo ci si imbatte in riferimenti biblici o alla mitologia classica o orientale) “fa saltare le centrali elettriche e caccia la gente nelle campagne”. Si susseguono, in serie, le Apocalissi.  

 

Mancano è vero, i virus (Döblin è medico, ma della mente, la sua specialità sono i virus e i batteri che mangiano l’anima). Ma c’è (e tutta, in forza) la manipolazione genetica. Manca, è vero, l’atomica. C’erano quasi arrivati, proprio in quegli anni, gli scienziati tedeschi, come spiega La brigata dei bastardi. La vera storia degli scienziati e delle spie che sabotarono la bomba atomica nazista di Sam Kean (appena tradotto da Adelphi). Ma in compenso ci sono altre forze misteriose, dagli effetti altrettanto, se non ancora più devastanti. Manca la fisica delle particelle, ma in compenso dominano da protagonisti i mutamenti climatici, i ghiacciai, il magma che ribolle sotto la crosta terrestre, i vulcani, gli oceani, i fiumi, la geografia fisica, le geologia, la paleontologia…

 

Impressionanti pezzi di bravura si trovano nei libri quinto e sesto, in cui si parla della grande spedizione in Islanda e poi in Groenlandia. “I tecnici si proponevano di far lavorare a loro profitto la forza immensa dei ghiacciai in fusione. Avevano grandi idee. Non intendevano d’arrestarsi al disgelo della Groenlandia, ma volevano provocare un cambiamento climatico di tutto l’emisfero settentrionale […]”. Un consulente fisico e idrografico, grande esperto di profondità oceaniche, aveva studiato il percorso della corrente del Golfo presso la costa inglese e la scandinava. Fece una proposta: “La corrente calda del Golfo è più ricca di sale dell’acqua del mare attraverso cui passa […] La forza motrice della corrente del Golfo è l’alternarsi delle stagioni […] Bastava – egli diceva – aumentare la quantità d’acqua calda che fluisce dall’equatore verso il nord, arricchendo di sale, preso dal fondo, il grande letto del fiume oceanico. In vicinanza della grande corrente il fondo del mare verrà fatto saltare, le rocce saranno frantumate […] cominciando dalle coste di Cuba, della Florida, di Terranova. L’afflusso estivo, il traboccare di acqua calda ricca di sali, trascina l’acqua salsa più prossima, sicché il volume di questa risulterà decuplicato e arriverà fino ai lontano mari polari […]”. 

 

C’era chi aveva pensato progetti ancora più grandiosi: rendere fertile e lussureggiante la Groenlandia, ricavarne un intero nuovo continente, grazie al fuoco dei vulcani d’Islanda. Una flotta immensa circonda l’Islanda, stermina, con nuovi “raggi di luce che penetrava attraverso la pelle degli uomini e li avvolgeva e li chiudeva come fosse ceralacca” le popolazioni locali che si oppongono al progetto, fa saltare i vulcani, squarcia l’isola, ne trasporta fino ai ghiacciai della Groenlandia l’energia infuocata, avvolgendola in reti di tormalina, una specie di mastodontiche “ragnatele di cristalli”. “Tormalina si chiamava la pietra che venava il granito […] In qualche caso si trovava raccolta nella roccia in forma di radiante, in altri stava sciolta, accanto ai topazi e ai quarzi”. Non è l’energia nucleare, ma qualcosa che gli somiglia in potenza. Anche per molto tempo dopo questa trovata di Döblin la fantascienza ha continuato ad essere incantata dal mistero e dai poteri attribuiti ai cristalli. Con risultati a volte sublimi, come in Cristalli sognanti e altri romanzi di Theodore Sturgeon. 

 

“La Groenlandia, il massiccio di gneis e granito, si spingeva come un cuneo dal Polo nell’Oceano Atlantico.  Copriva una superficie di due milioni di chilometri quadrati. Portava uno scudo di ghiaccio dello spessore di mille piedi. Ghiacciai immensi si spingevano dai monti fino alle coste, si torcevano giù nei meandri delle valli, montavano lacerati su per ripidi gradini. Lenti come lumache scorrevano giù, nella cavità dove si accumulavano le nevi eterne, si muovevano verso il mare, bloccavano le insenature […] La pianura di ghiaccio, ondeggiante, smisurata, si stendeva dal sessantesimo all’ottantesimo grado di latitudine, tra il ventesimo e il sessantesimo di longitudine”. 

 

C’è un limite anche alla più “alta fantasia”. Döblin non poteva immaginare che per far sciogliere i ghiacci polari e i ghiacciai non c’era nemmeno bisogno di tirare in ballo i vulcani e il fuoco delle viscere della terra. Sarebbe bastato far finta di nulla, non fare assolutamente niente per fermare la catastrofe climatica prodotta dall’industrializzazione, insomma fare quello che abbiamo fatto per un paio di secoli…

Il costo della violenza esercitata contro la natura è spaventoso: “Avevano fatto saltare il Krabla, il Leirhukr, il Herdubreid, il Katla, l’Hekla. Avevano squarciato l’Islanda, aperto il fuoco della terra. Dai ponti mobili molte centinaia d’uomini, uomini com’essi, come quelli che stavano sulle coperte delle navi, erano stati inceneriti, soffiati via, precipitati sui ghiacciai […]”. Ma è ancora niente in confronto a quel che segue. L’energia misteriosa scaturita dalle viscere della terra produce schiere sterminate di terribili mostri, come sputati dall’era dei dinosauri. Dragoni volanti, “rettili dal ventre nero, alcuni coperti di squame, altri pezzati, col muso largo e ottuso, altri corazzati come coccodrilli. E uccelli dai lunghi denti acuminati disposti in doppia fila. Arrivavano a frotte, alcuni grandi come fortezze e come navi […]”. 

 

Poi si accorgono che un rimedio c’è. Ma come succede spesso, è anche peggio del male. Il segreto potere scatenato dagli uomini produce altri mostri, cyborg da incubo nati dalla crescita abnorme di membra umane, dalla simbiosi di tratti umani e tratti di animali, di piante o anche minerali. “Anzitutto bisognava dominare coi raggi germinativi le sostanze matrici, risolverle nei loro elementi […]. A Mentusi, che stava sopra Tel-el-Habs, s’erano attaccati i polipi, Le pareti del suo ventre erano traforate. Aveva mandato i suoi aiutanti nei boschi abbandonati. Gli portarono volpi e vipere […]”. Ecco i giganti, con cui si pensa di combattere i mostri antidiluviani. La fantasia di Döblin non ha limiti, è influenzata dalle Apocalissi sumeriche, dalle gigantomachie classiche della mitologia greca, persino dal Shahnameh di Firdusi, coi suoi personaggi malvagi (gli arabi, odiati dall’iraniano Firdusi) cui crescono sulle spalle serpenti in aggiunta agli arti. 

 

“S’erano potuti fare i giganti, le torri umane. Non era ancora tutto. Bisognava arrivare ad ottenere la concrescenza naturale di parecchi esseri viventi, d’un essere padrone con un essere servo. Il fine non era più lo Stato delle termiti umane […] ma un vero Stato d’uomini con province d’animali; uomini in carne ed ossa, come bestie ed uomini ausiliari al loro servizio. Signoria visibile dell’uomo sulla natura!”.

No, Giganti non è un libro di profezie. Semmai è un libro di incubi. Alfred Döblin di profezie, previsioni del futuro nel senso in cui le intendiamo comunemente, non ne aveva imbroccata quasi nessuna. Figurarsi quelle a breve. Lui, ebreo, oltre che uomo di sinistra (simpatizzava per i socialdemocratici, ma c’è anche chi lo accusa di essersi fatto irretire un po’ troppo dalle ideologie naziste circa la superiorità dell’uomo bianco e sulle razze africane) si sarebbe deciso solo nel 1933 a lasciare in extremis la Germania. Come molti altri intellettuali tedeschi dell’epoca di Weimar, non si era accorto delle conseguenze della nomina a cancelliere di Hitler. Diciamocelo: in quanto profeta era una frana. In quanto medico dei pazzi e psicanalista, non sappiamo. In quanto scrittore era sublime. Non si può sapere cosa sarebbe riuscito a produrre in quanto autore di sceneggiature per il cinema. Nel suo esilio americano si era dato molto da fare per proporre una traduzione filmica dei Giganti. Hollywood gli aveva risposto picche. Non avevano bisogno di science fiction, e neanche di fantasy più o meno dark, tipo quella di Tolkien, tanto meno di incubi. Con una spaventosa recessione alle spalle, e una nuova guerra mondiale di fronte, avevano deciso che il pubblico americano non voleva sentir parlare di mostri o di catastrofi ecologiche. Voleva piuttosto sogni nostalgici e romantici tipo Via col vento. 

 

Niente di quello che Döblin immagina si svolgerà esattamente come previsto nella sua fiction. Al tempo stesso riesce a evocare con l’immaginazione anche quello che la ragione non avrebbe potuto immaginare. Era uno scrittore, uno dei più grandi del Novecento e della sua generazione. Glie lo riconoscono i suoi pari, da Robert Musil a Thomas Mann, a Bertolt Brecht e Günter Grass. E al tempo stesso è uno scienziato, un medico, uno psichiatra, che esercitava nei quartieri operai della Berlino di Weimar. Conosceva bene gli incubi, le allucinazioni, la pazzia del suo tempo.

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