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Le cattive zanzare

Maurizio Stefanini

Non se ne sentiva parlare così tanto da quando c’erano le paludi e la malaria. Vittime illustri, altre malattie e la guerra con il Ddt

“Come la mosca cede a la zanzara” annota a un certo punto Dante durante il suo cammino per l’Inferno, giusto subito prima di incontrare Ulisse nella bolgia dei consiglieri fraudolenti. Nel momento in cui in Italia sta diventando addirittura tema di polemica politica una invasione di zanzare portatrici di morbi dai nomi esotici e minacciosi come zika, dengue e chikungunya, è forse giusto ripartire da qui. Il Sommo Poeta all’origine della nostra lingua e della nostra identità nazionale col molesto insetto era talmente familiarizzato da utilizzarlo come orologio segnalatore per il calar della sera. D’altronde in esilio era finito a Ravenna, in mezzo a paludi che gli ispirarono quelle dell’Inferno, E, per la puntura di una zanzara, di malaria Dante morì, a soli 56 anni. Più precisamente la malaria la porta l’anofele: genere della famiglia delle Culiciadae ulteriormente diviso in una novantina di specie, nelle cui ghiandole salivari vive un protozoo chiamato plasmodium, a sua volta esistente in quattro varianti. Il plasmodium falciparum agisce su un ciclo di 48 ore e provoca la febbre terzana maligna; l’ovale e il vivax lavorano anch’essi sulle 48 ore ma innescando la terzana benigna; il malariae colpisce in 72 ore con la febbre quartana; ma tutti quanti se inoculati nel sangue umano si nutrono dell’emoglobina, facendo esplodere i globuli rossi. 

 

In esilio a Ravenna, Dante era in tale familiarità con l'insetto da utilizzarlo come orologio segnalatore per il calar della sera

Ma l’anofele ammazzò anche due dei Padri unificatori politici della Patria che Dante aveva intuito e preparato: Cavour e Vittorio Emanuele II. E di malaria morì anche la moglie di un terzo Padre della Patria, Anita Garibaldi. Non è sicuro che di malaria sia morto pure Alessandro Magno, ma la lista dei vip fatti fuori dal plasmodium è comunque lunga: da Carlo V a Fausto Coppi passando per Hegel, Cromwell, Giacomo I, David Livingstone, il Parmigianino, Lord Byron. La malaria stroncava particolarmente i nordici che per ragioni professionali o di diporto si trovavano a trasferirsi in zone mediterranee, o per lo meno a transitarvi. E Roma era una della destinazioni più micidiali. Morì ad esempio di malaria poco dopo averla saccheggiata il re visigoto Alarico. Vi contrassero il contagio mortale gli imperatori Lotario II, Ottone III, Enrico VIII di Lussemburgo. Soprattutto, morì di malaria il 14 settembre 1523 dopo neanche 13 mesi dall’elezione al Soglio Pontificio l’olandese Adriaan Florenszoon Boeyens d’Edel. Cioè, quell’Adriano VI che fu l’ultimo papa non italiano prima dell’elezione di Giovanni Paolo II, oltre quattro secoli e mezzo dopo.

 

“Roma divoratrice d’uomini, spezza la più forte natura umana”, avvertiva nell’XI secolo San Pier Damiani, allora vescovo di Ostia. Nel 1240 il cancelliere dell’imperatore Federico II avverte i prelati che “troveranno a Roma l’afa di un’insopportabile canicola, acqua putrida, vivande grossolane e malsane, un’aria pesante, un numero incommensurabile di zanzare e di scorpioni”. “Salimbene de Adam deplora la scomparsa di ventiquattro vescovi o abati mitrati, fra la Pasqua e l’Assunzione dell’anno 1284; la cosa si ripete nel 1387”, ricorda Robert Delort nel capitolo sulla zanzara del suo classico “L’uomo e gli animali dall’età della pietra a oggi”. “Nel 1623, fra le vittime si contano sedici cardinali e trenta membri del clero regolare. Naturalmente anche le ondate di pellegrini che si riversavano su Roma s’infrangevano tragicamente sugli scogli della malaria. Agli eserciti invasori non toccava una sorte migliore”.

 

La "tigre", che può portare la chikungunya e punge dal primo pomeriggio alla prima mattinata. Gli esperimenti con i maschi ogm

Appunto per evitare la destabilizzante moria di papi appena eletti, oltre che per sottrarre il Papato alle altrettanto micidiali faide tra le famiglie nobiliari romane, a un certo punto si ebbe l’idea di spostare la sede del Pontefice ad Avignone. Un rimedio peggiore del male, nel ridurre il capo della chiesa a cappellano del re di Francia. Si tornò allora a Roma, ma a quel punto le zanzare ripresero a far morire i papi non italiani come mosche, finché non si decise di mandare al Soglio solo gente che fosse già abituata al clima romano. Appunto, fino a Wojtyla. Sottolineiamolo, dunque. Come ci ricorda sempre Delort, “nella storia dell’umanità, la malaria è la malattia che ha probabilmente mietuto il maggior numero di giovani vite”. Ancora nel 2015 l’Organizzazione mondiale della sanità ha registrato 200 milioni di nuovi casi clinici e 438.000 decessi all’anno, avvertendo che ogni anno tra i 10.000 e i 30.000 viaggiatori europei e nord-americani si ammalano di malaria. Il falciparum colpisce l’umanità da almeno 50.000 anni, descrizioni antiche della malaria le troviamo nei Veda indiani, e l’antica Cina ci dà la raffigurazione famosa dei tre draghi col martello, il secchio d’acqua ghiacciata e la fronte in fiamme: il “colpo di maglio”, i sudori freddi e la febbre della terzana. Ma la parola oggi usata per indicarla in tutte le lingue del mondo è italiana: “mala aria”, aria cattiva.

 

Prima che si scoprisse il ruolo dell’anofole, infatti, fino all’800 il contagio era genericamente attribuito all’atmosfera sulle aree paludose. “Chi va in Maremma e lascia l’acqua fresca / perde la dama e più non la ripesca / chi va in Maremma e lascia l’acqua bona / perde la dama e più non la ritrova”, ricordava la canzone toscana. E in Italia l’anofele ha influenzato nel profondo non solo la storia del Papato ma anche la civiltà, la cultura, perfino la genetica. Se in aree a antica diffusione malarica come il Delta del Po, la Ciociaria, la Sicilia o la Sardegna tra il 9 e il 15 per cento della popolazione soffre di talassemia ereditaria, è perché i globuli rossi a forma di falce permettevano di resistere meglio al protozoo, pur al rischio di anemia. Per scampare alla malaria gli etruschi inventarono un sofisticato know-how idraulico poi infatti ereditato e portato in tutto il mondo allora conosciuto dai romani, che non a caso avevano costruito la loro città sui sette colli: al riparo dai miasmi del Tevere. Le evidenze archeologiche sugli scheletri dimostrano che la malaria in Italia tende a scomparire verso il I secolo a.C., ma ricompare quando le invasioni barbariche favoriscono la riformazione delle paludi. Delort si chiede “se, nel Lazio medievale, la diffusione della malaria sia stata una causa (fra le altre) oppure, al contrario, una delle conseguenze dell’incastellamento, cioè del raggruppamento dei contadini attorno al castello, in una zona elevata a difesa”.

 

Fu l’italiano Giovanni Maria Lancisi tra 1712 e 1717 il primo medico a intuire che la malaria era dovuta alle zanzare. Dopo la scoperta nel 1880 del protozoo da parte del francese Alphonse Laveran, Nobel per la Medicna nel 1907, sono poi nel 1881 gli italiani Ettore Marchiafava e Angelo Celli a ribattezzarlo Plasmodium, ed è tra 1885 e 1899 l’italiano Camillo Golgi a fare gli altri importanti studi sul male che gli varranno il Nobel del 1906. All’epoca in Italia di malaria morivano almeno 15.000 persone all’anno, ma già dal ’600 si era scoperto il potente effetto anti plasmodium di una corteccia sudamericana, e già dal 1895 in Italia il monopolio di Stato aveva iniziato a distribuire chinino a prezzi politici. Il sapore era però pessimo, e qualcuno pensò di migliorarlo col vino o con l’alcol: avete presente il barolo chinato e la Ferro-china Bisleri? Gli inglesi nelle colonie preferirono invece mescolare il chinino all’acqua gassata: quell’acqua tonica che mescolata al gin dà il Gin Tonic. Ovviamente, un sistema più radicale era quello di togliere alle uova di anofele l’acqua, attraverso la bonifica.

 

Figlio di coloni delle Paludi pontine, nel suo “Canale Mussolini” Antonio Pennacchi descrive in dettaglio le varie strategie della lotta anti-anofele. Innanzitutto, nelle case, il “tirabasso”: “una tettoia coperta anch’essa con le tegole e tutta richiusa da zanzariere, con un sistema interno di filo, carrucola e contrappeso che faceva richiudere al volo la porta, appena veniva aperta. Dopo questo antingresso c’era il portoncino vero e serviva appunto – l’antingresso – a tenere lontane le zanzare e a non farle entrare in casa. Dovevano al massimo fermarsi lì, davanti la tettoia, e le poche volte che qualcuna riusciva pure ad infilarsi, subito c’era l’ordine di gridare ‘Zanzara!’ e tutti accorrevano a darle la caccia”. E poi c’erano il chinino, le palette e i pipistrelli. “Grandi torrette di legno piene di buchi rotondi, messe un po’ qua e un po’ là per tutta la palude in via di bonificazione – in cui i pipistrelli facevano il nido. Ce li avevano portati da tutt’Italia perché il pipistrello è ghiotto di zanzare e le prende al volo meglio di un caccia intercettore”. “Le donne mancava poco gli portassero il latte coi biscotti”: “è un animale sacro in Agro pontino e guai ancora adesso a fargli torto”.

 

La malaria, però, in Italia la debellarono veramente gli americani a colpi di nuvole di Ddt: prima per precedere il passaggio delle truppe durante la guerra; poi con le campagne degli anni Cinquanta – finanziate dalla Rockefeller Foundation. A fine decennio i medici italiani avevano già dimenticato a tal punto l’antico flagello che quando Fausto Coppi lo contrasse in un safari africano non lo riconobbero, e lo trattarono con antibiotici, ammazzandolo: 2 gennaio 1960. Tanto si era dimenticato in fretta l’incubo, che nel 1963 una zanzara poteva addirittura essere coccolata da una canzone dello Zecchino d’Oro. “Era una zanzara in abito da sera, / Se l’era messo per far bella figura, / E se ne volava intorno ad una culla, / Una culla bella con un fiocco rosa… / Così volando, però, ve lo assicuro, / Aveva in mente un tenero pensiero: / Voleva fare la serenata / Ad una bimba che s’era addormentata”. E via il coretto “zin zin zin zin – zin zin zin zin”, eccetera. Certo, ricordava la canzoncina, le “povere zanzare, non sono mai gradite, / Anche se sono in abito da sera! / E sul muro bianco, ecco all’improvviso / L’ombra di una mano… una grande mano…! / Ma la zanzara, più furba e più spedita, / Riuscì a sfuggire da quelle cinque dita, / E dopo un poco, indovinate, / La serenata la volle fare a me”. Un’altra trentina d’anni, e le zanzare sarebbero addirittura diventate eroine della fantascienza! Da zanzare finite nell’ambra dopo aver morso i dinosauri la saga di Jurassic Park immagina infatti che si possa ricavare il dna per clonare i grandi rettili estinti.

 

"L'afa di un'insopportabile canicola, acqua putrida, un numero incommensurabile di zanzare e scorpioni" (a Roma nel 1240)

Intendiamoci: non è che è tutto anofele quel che ronza e punge. Le specie della famiglia cucilicidae sono infatti ben 3.540, e quella zanzara dantesca così educata nel fare i turni con la mosca è una culex pipiens: la vecchia, buona zanzara nostrana non malarica. Adesso, certo, c’è il caso misterioso della bambina trentina di quattro anni morta di malaria in un ospedale di Brescia, dove erano stati ricoverati anche bambini africani. Ma non solo la malaria è portata dalle zanzare. Delort nel suo libro ricordava come pericolosa soprattutto la Aedes Aegypti, per la febbre gialla. Ma tra le malattie da puntura di cuclicidae ci sono anche la filaria e, appunto, quelle altre che in questo momento stanno irrompendo nel nostro paese. In particolare la chikungunya, ormai classificata al livello di epidemia: 64 casi nel Lazio, uno in Emilia Romagna, uno in Lombardia, uno nelle Marche. Ma anche la zika, appena ritrovata in una turista di ritorno da Cuba. E il dengue, che ha invece contagiato un viareggino di ritorno dall’estremo oriente. Come la febbre gialla, anche chikungunya, zika e dengue sono veicolate da zanzare della famiglia Aedes, che in Italia normalmente non sopravvivono. Fa però eccezione la aedes albopictus: la famigerata zanzara tigre, che può portare la chikungunya, e che a differenza delle zanzare nostrane punge dal primo pomeriggio alla prima mattinata. Caratterizzata da vistose strisce bianche e nere, appunto a pelle di tigre, sbarcò in Albania negli anni Settanta all’epoca dell’alleanza tra Mao e Enver Hoxha, a bordo di qualche nave cinese. E di lì si diffuse in tutta Europa: in Italia apparve la prima volta nel 1990 a Genova, in un deposito di pneumatici usati importati dagli Stati Uniti. Originaria del sud-est asiatico, riesce a viaggiare infatti via nave nell’acqua che si deposita in carichi di copertoni, bambù portafortuna e fiori. Ma più ancora che per mare le zanzare si vanno globalizzando per cielo. Medici e ricercatori hanno dovuto creare una rete appunto per sorvegliare la diffusione di quella che viene ormai definita “malaria da aeroporto”, e che in realtà non è solo malaria.

 

Chinino, palette e pipistrelli ghiotti di zanzare, un animale sacro in Agro pontino e guai ancora adesso a fargli del male

Insomma, tecnologia contro tecnologia, anche perché nel frattempo il Ddt è passato di moda, Nel 1948 il chimico svizzero Paul Hermann Müller ebbe il Nobel della Medicina “per la scoperta della grande efficacia del Ddt come veleno da contatto contro molti artropodi”, ma nel 1962 l’ambientalista Rachel Carson nel pamphlet “Primavera silenziosa” denunciò che provocava il cancro e riduceva lo spessore delle uova degli uccelli, nel 1972 venne proibito negli Stati Uniti, nel 1978 anche in Italia, e ha voglia nel 2006 l’Organizzazione mondiale della sanità a spiegare che il Ddt se usato correttamente non comporterebbe rischi per la salute umana e che l’insetticida dovrebbe comparire accanto alle zanzariere e ai medicinali come strumento di lotta alla malaria! Specie in paesi di Africa e Asia dove comunque, statistiche alla mano, i tumori attribuibili all’uso del Ddt ammazzano molto di meno delle malattie da zanzara attribuibili al suo non uso.

 

A ogni modo, da un po’ di tempo si sta lavorando a zanzare ogm, in grado di resistere al contaggio del falciparum. Basterebbe spargere un po’ di maschi modificati, e questi accoppiandosi diffonderebbero l’immunità, in modo da ridurre la puntura dell’anofele a un semplice fastidio. Anche aedes ogm stanno venendo sperimentate, con un principio diverso: lì i maschi generano prole che muore prima di arrivare alla maturità, abbassando la popolazione spargitrice di zika. Ma si sa che c’è gente che di fronte all’acronimo Ogm mette subito mano alla pistola, in Brasile ha imperversato sui social una campagna stile No Vax secondo cui sarebbero proprio le zanzare geneticamente modificate a spargere contagi nell’interesse delle multinazionali, e non manca chi obietta che così “si distrugge la biodiversità”. Problema per il quale una soluzione radicale l’avrebbe in effetti proposta il già citato Pennacchi nel già citato “Canale Mussolini”: “Perché non se le alleva dentro casa sua le zanzare?”.

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