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Startup France

Francesco Maselli

Investimenti da record, università che formano talenti e all’Eliseo un presidente 2.0. Ecco il paese ideale per l’innovazione digitale

La nazione startup. E’ questa l’immagine che nel 2017 la Francia cerca di pubblicizzare nel mondo. L’elezione di Emmanuel Macron, un presidente giovane, dinamico e perfettamente a suo agio nel mondo dell’economia digitale, è solo l’ultimo segnale di un paese che ha deciso di legare la propria immagine all’innovazione. Secondo Ernst & Young, nel 2016 gli investimenti francesi nel settore delle startup hanno fatto registrare un record di 2,2 miliardi di euro per oltre 570 progetti di fundraising; la Francia è uno dei paesi europei più attrattivi per l’economia digitale: assorbe oltre il 20 per cento degli investimenti del settore, una crescita “impressionante” secondo gli operatori del mercato, visto che solo nel 2015 la quota francese in Europa era del 13 per cento. Quest’anno, scrive il Financial Times, la cifra continua a salire e potrebbe raddoppiare grazie a un aumento degli accordi di oltre il 40 per cento.

Tra gli artefici di questa crescita c’è anche lo stato francese, che nel 2013 ha lanciato French Tech, il programma governativo di promozione internazionale e sviluppo delle startup voluto dal presidente Hollande e dal sottosegretario all’Innovazione Axelle Lemaire. Lo scopo dell’iniziativa è mettere in relazione tutti gli attori presenti nelle città francesi (imprenditori, investitori, clienti) e cercare di creare un ambiente più favorevole agli investimenti e allo scambio di idee. Finanziato da più di 200 milioni di euro grazie alla partnership con la Banque publique d’investissement, il programma è stato capace di accelerare la crescita del settore incoraggiando i talenti già presenti nelle aree urbane; e infatti French Tech è anche un brand che le imprese affiliate possono utilizzare. Nicolas Bouzou, economista e fondatore di Asterès, società di analisi economica per le imprese e i governi, spiega al Foglio che French Tech “è un tassello importante nel panorama dell’economia startup francese, ma non è il solo”. La crescita delle imprese digitali, dice Bouzou, è stata certo aiutata dalla creazione del programma governativo anche se questo, da solo, non sarebbe bastato: “E’ un bene, perché vuol dire che il paese era pronto. In questo momento la Francia è il luogo ideale per lanciare una startup: abbiamo degli istituti universitari che formano talenti in grado di competerea livello internazionale, un regime fiscale molto favorevole alle imprese che investono in ricerca e sviluppo e un sistema burocratico ormai estremamente semplificato. Se si aggiungono anche programmi come French Tech, il quadro è completo”.

Uno dei primi problemi che incontrano le startup nella fase di lancio è capire qual è il loro pubblico di riferimento, il loro mercato, senza disperdere energie preziose con tentativi infruttuosi. Paris&co, l’agenzia di sviluppo e innovazione che agisce nella regione parigina, si occupa di guidare le startup in una prima fase: nove hub, ognuno specializzato in un settore, sono a disposizione di chi intende aprire la propria impresa. L’agenzia si pone come tramite tra lo stato e le startup per indirizzare gli investimenti dove servono e promuovere l’immagine di Parigi nel mondo attraverso l’organizzazione di eventi e cooperazioni tra startup e multinazionali. Karine Bidart, direttrice generale dell’agenzia, spiega al Foglio chi può rivolgersi a Paris&co: “Il nostro ruolo è aiutare le imprese al momento del ‘decollo’, quando una società è già creata, ha un’idea interessante ma non ha ancora trovato un mercato. Noi troviamo gli investitori giusti e realmente interessati, cerchiamo di far crescere la startup e di indirizzarla al pubblico giusto”. L’imprenditore Xavier Niel, uno dei padrini di French Tech e delle startup in Francia, ha spiegato al Financial Times perché un ambiente solido che aiuti la crescita delle imprese digitali è necessario per essere competitivi a livello internazionale. L’obiettivo è creare più “unicorni” possibile, cioè startup in grado, nel medio periodo, di superare la quotazione di un miliardo di dollari come Uber o Facebook. “Riuscire a creare grandi compagnie è un problema statistico”, ha detto: “Se aumentano le startup aumenta anche la probabilità che nascano unicorni. Il nostro lavoro oggi è assicurarci che i numeri aumentino costantemente; non ne abbiamo ancora create abbastanza”.

Niel è un personaggio abbastanza sui generis nell’ambiente degli affari parigino: figlio della media borghesia di Maisons-Alfort, una tranquilla banlieue a sud della capitale, ha costruito le sue imprese intuendo il potenziale delle infrastrutture digitali prima degli altri. Negli anni Ottanta, a nemmeno vent’anni, lasciò l’università per lanciare la sua prima startup: attraverso Minitel (l’antenato di internet), il giovane imprenditore creò una chat erotica legata a una serie di sexshop a Parigi e Strasburgo, per poi vendere la società una volta cresciuta. Nel 2002 lanciò Free, la compagnia di telecomunicazioni che rivoluzionò il mercato di internet dell’epoca grazie ad abbonamenti a basso costo, connessione ad alta velocità e servizi integrati: internet, tv via cavo e telefono fisso in una sola “freebox”. Con più di 13 milioni di abbonati, 2.000 dipendenti e un giro d’affari di oltre 4,5 miliardi di euro, Free è oggi la seconda compagnia telefonica francese dopo Orange. Proprio grazie alla sua esperienza nell’economia digitale Niel ha deciso di lanciare un nuovo progetto per aumentare la competitività dell’economia francese: la Station F, un enorme hub nel tredicesimo arrondissement della capitale. Aperto nel giugno di quest’anno, il centro è pensato per accogliere oltre 1.000 startup, spazi per eventi, un auditorium, ristoranti, bar e 100 appartamenti. L’idea è far incontrare chi decide di lanciare un progetto innovativo con società più grandi come Facebook, Ubisoft o Amazon e università come Hec o Edhec, tutti partner della stazione. “Un solo campus che riunisce un intero ecosistema imprenditoriale sotto uno stesso tetto”, si legge nella descrizione online.

Parigi sta dimostrando di essere una città ideale per il mondo delle startup, anche perché il comune investe da anni e con decisione nell’innovazione: secondo l’Agence parisienne d’urbanisme oggi sono oltre 250 gli incubatori presenti in città, ognuno con una sua specificità in grado di rispondere ai bisogni di chi vuole fondare la propria impresa. Bidart ci spiega che un ecosistema come quello parigino è quasi unico al mondo: “L’Ile de France è una delle regioni più ricche d’Europa, l’economia è molto diversificata, sono presenti i gruppi finanziari ma anche le grandi industrie, e le università sono perfettamente integrate con il tessuto produttivo. Tutta questa diversità si concentra in un territorio molto piccolo: Parigi è dieci volte meno estesa di Londra, un imprenditore può organizzare la sua giornata e passare da un appuntamento all’altro senza perdere tempo, in pochi chilometri trova tutto ciò di cui ha bisogno”. La città può fare concorrenza a Londra? In molti si chiedono cosa faranno le imprese basate nella capitale britannica ora che il paese ha scelto di abbandonare l’Unione europea, e se non sia il momento favorevole per sostituire la city nel settore dei servizi finanziari e dell’economia innovativa. Bidart non la vede esattamente in questo modo: “La Brexit ha avuto un impatto, ma noi non siamo in un’ottica di competizione con Londra: confrontiamo le due città con Shanghai o con le coste degli Stati Uniti, agglomerazioni urbane di oltre trenta milioni di abitanti, che senso ha dividersi? Londra e Parigi sono molto vicine, a meno di tre ore di treno, la vera sfida non è rimpiazzare la capitale inglese, ma capire come integrare i nostri tessuti produttivi. In un certo senso siamo l’una la periferia dell’altra”.

E’ in questo ambiente favorevole che ha visto la luce Cityscoot, la startup di scootersharing che opera nel mercato parigino. L’azienda funziona in modo simile a Car2Go e Enjoy, i servizi di carsharing più popolari in Italia. Attraverso la app sul proprio cellulare si trova lo scooter più vicino e lo si prenota; il costo è di 28 centesimi al minuto, molto meno di un taxi. Cityscoot ha però una grande differenza con i servizi di sharing tradizionali: i 1.500 mezzi sparsi per la capitale francese sono completamente elettrici e possono essere ricaricati dall’azienda grazie alle batterie portatili che vengono sostituite di volta in volta. Un modo di risolvere il problema del costo e della logistica di infrastrutture fisse altrimenti necessarie al rifornimento dei veicoli elettrici. Vincent Bustarret, direttore marketing della startup, ci dice che l’ecosistema pubblico ha avuto un ruolo importante nella prima fase di lancio dell’azienda: “Ci siamo sviluppati grazie alla sinergia tra investitori privati e pubblici, la Banque public d’investissement ha capito che la nostra impresa aveva potenziale e ci ha aiutato nelle prime fasi”. In ogni caso gli inizi non sono stati facili, continua: “Abbiamo dovuto rischiare: abbiamo comprato 50 scooter con i primi finanziamenti per metterli su strada e dimostrare che la nostra idea poteva funzionare. L’importante per le startup non è solo mostrare che il modello economico sia sostenibile, ma che l’idea funzioni, che abbia una domanda già esistente o che possa crearla. Noi siamo riusciti a dimostrarlo, e i finanziamenti sono arrivati di conseguenza”. Oggi Cityscoot ha oltre 50.000 clienti, 100 dipendenti ed è riuscita a raccogliere oltre 15 milioni di euro di fondi, principalmente dalla Caisse des dépôts, la banca pubblica assimilabile alla Cassa depositi e prestiti. “Per ora puntiamo a consolidare la nostra presenza a Parigi”, dice Bustarret, “ma Milano e Torino sono due città che ci interessano molto”.

Il settore dell’innovazione ha tratto vantaggio dal sistema di istruzione universitaria del paese. Non c’è dubbio che la qualità delle scuole di ingegneria e di economia, le grandes écoles parigine come l’Essec, L’Hec, la Escp Europe e l’Ecole polytechnique, abbia contribuito a formare i profili adatti per competere nel mercato delle startup. “Le nostre grandes écoles di economia e la Polytechnique sono tra le migliori al mondo”, dice Bouzou, “e spesso lanciano il proprio Hub. In un contesto del genere uno studente ha la possibilità di mettere in pratica le proprie idee già durante gli anni universitari”. La qualità del capitale umano conta, ma negli ultimi anni ha inciso anche una piccola rivoluzione culturale: “I giovani non studiano più per entrare in una multinazionale, com’era costume anni fa” nota Bidart, “spesso preferiscono fondare la propria impresa, sono capaci di sopportare anche i rischi che un’attività imprenditoriale gestita in prima persona comporta.Tra l’altro gli ingegneri francesi costano meno rispetto ai californiani, chi viene a investire in Francia ha a disposizione figure professionali molto qualificate e meno care. Se si aggiunge la produttività per ora lavorata, tra le più alte al mondo, si capisce che investire qui conviene, c’è una grande disponibilità di talento”.

L’elezione di Emmanuel Macron sembra perfetta per un paese che si è scoperto così dinamico: già da ministro dell’Economia il giovane presidente si era molto impegnato per pubblicizzare l’innovazione tecnologica in Francia, ed è stato lui a portare French Tech a Los Angeles, con un grande evento vetrina per le imprese francesi. “Bisogna dire la verità”, spiega Bouzou, “un presidente come Macron ha aiutato il settore, basti pensare che la sua prima uscita pubblica ufficiale è stata alla Viva Tech, l’evento Hi-Tech più importante dell’anno in Francia. Il settore dell’innovazione vive anche di marketing e fiducia percepita, la retorica startup ha contribuito a cambiare l’immagine del paese, in passato percepito come pieno di regole insopportabili e contrarie agli investimenti”. Il passo successivo, secondo Bouzou, è colmare il gap con l’Asia e gli Stati Uniti. L’Europa raccoglie solo 4,4 miliardi di investimenti nel settore, contro i quasi 20 miliardi di dollari l’anno del sistema asiatico e americano. Un problema prima di tutto fiscale: “In Francia moltissimi soldi sono spesi nella prima fase della crescita delle startup, crearne una è molto facile ed è un bene che sia così”, spiega l’economista, “ma quando c’è bisogno di più fondi, quando una startup intende diventare un unicorno, allora è spesso costretta ad andare fuori. Il nostro sistema di tassazione penalizza il capitale, va riequilibrato”. Dopotutto l’obiettivo ambizioso l’ha fissato proprio il nuovo presidente, parlando alla Viva Tech: trasformare la Francia da paese startup a paese unicorno. Vaste programme.

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