Pin-up da scoprire

Angiolo Bandinelli

L’accattivante, e un poco urtante, interpretazione del corpo femminile di Milo Manara in mostra al Macro, a Roma. Un’evoluzione dell’erotismo della Signorina Grandi Firme di Gino Boccasile

Al Museo di arte contemporanea di Roma (Macro) è in corso fino al 9 luglio un’ampia antologica di Milo Manara, disegnatore, illustratore ma, innanzitutto, celebre fumettista. Mi stava per scappare “fumettaro”, che meglio avrebbe espresso i miei sentimenti e (pre)giudizi, ma mi sono ripreso in tempo: “fumettaro” ha connotazione negativa. Manara è tra i fumettisti più quotati, viene apprezzato non solo per le tavole ma anche quale autore dei testi; insomma, è un po’ anche romanziere o narratore o, meglio ancora, sceneggiatore. Il romanzo contemporaneo è tutto nell’intreccio, nel “plot”, diciamo nella sceneggiatura, sostenere che il fumetto è il romanzo degli illetterati può suonare offensivo ma qualcosa di vero, bisogna ammetterlo, c’è.

 

Manara osserva: "Devo alle mie pin-up il fatto di poter ancora divertire, di essere vicino alla gente: militari, camionisti, carcerati…"

Da tempo l’immagine ha superato e soppiantato la parola, non solo nel fumetto; non è sicuro che si tratti del trionfo della democrazia con l’accesso universale alla comunicazione o non, invece, del declino e morte populista della civiltà. Quella che trionfa è – infatti – un’immagine non più da contemplare nella sua distaccata “aura” artistica, ma ridotta a “segno”, a oggetto d’uso, anzi usa e getta. Dell’immagine d’arte si occupava il critico, con i “segni” entra in scena il semiologo. Eco ha scritto sul tema impervi saggi, c’è chi ha detto cose molto profonde sulla segnaletica stradale. Credo sia proprio in considerazione della diffusione sociale del fumetto che si discetta tanto, oggi, sul rapporto tra arte “alta” e arte “bassa”. Le vecchie barriere e divisioni sono cadute, diremo allora che tra Manzoni e, appunto, Manara non c’è differenza? La risposta ce l’ha fornita Dino Buzzati, autore di un grande romanzo di atmosfere kafkiane, “Il deserto dei tartari”, ma anche di fumetti raffinati, che traggono ispirazione dal mito classico di Orfeo ed Euridice, e sono densi di colti richiami a Salvador Dalí e ad Andy Warhol.


Un disegno di Milo Manara esposto al Macro


Eppure proprio su questo fronte, della popolarità, Manara ha ricevuto una critica inaspettata. In occasione della mostra, l’azienda trasporti romana aveva pensato bene di commissionare all’artista quattro vignette, per vivacizzare i biglietti di viaggio. Magari pensando di invogliare gli utenti ad acquistarli, una pratica civica che a Roma è da sempre snobbata. Manara ha spiritosamente reinterpretato opere di artisti famosi, Klimt e Mucha, ma con l’accentuazione erotica di figure femminili nude e provocanti, lontane eredi della mitica Brigitte Bardot o della Barbarella interpretata da Jane Fonda. L’ultima dirigenza dell’Azienda, fresca di nomina, ha trovato inopportuna la scelta del tema e la sua realizzazione. Troppo tardi, i provocanti (o provocatori?) biglietti arriveranno anche in mano ai pellegrini che si recano a San Pietro per l’Angelus del Papa.

 

Grafico, pubblicitario e pittore, ha lasciato un'impronta nel panorama del disegno e della illustrazione italiana del secolo scorso

Dovendo salire sull’autobus, comprerò – solo per senso etico, il disservizio dei trasporti urbani è tale, a Roma, che mi suggerirebbe di non farlo – questi inconsueti biglietti d’arte, e magari me li terrò in tasca come souvenir, ma non amo la esibita chiave porno di Manara, come anche il sottile e un po’ perverso erotismo di Guido Crepax, non meno abile e famoso disegnatore e fumettista. Trovo che l’interpretazione del corpo femminile e della sensualità sia, nell’uno come nell’altro, tendente al volgare, tanto accattivante quanto urtante. La volgarità non è necessariamente un dato negativo, né sul piano etico né su quello artistico, il nostro tempo può considerarla semplicemente un ingrediente dell’immaginario sociologico: anche in politica, la volgarità è un comportamento diffuso e necessario, con le sue regole quasi codificate, la sua specifica grammatica. Manara osserva: “Il camionista non si attacca sul camion un quadro di Rauschenberg o di Jasper Johns, si attacca una bella pin-up. Devo alle mie pin-up il fatto di poter ancora divertire, di essere vicino alla gente: militari, camionisti, carcerati…” . L’ impegno è lodevole, ma non riesco a convincermi che la secolare storia dell’arte debba accogliere tra i suoi capolavori le pin-up del camionista. La faccenda può appartenere alle problematiche della sociologia, ma poco più. La storia dell’arte è anche, in buona parte, storia delle committenze, cioè delle classi dirigenti (Gramsci avrebbe parlato di “egemonia”). Qualcuno ha sostenuto che anche i cicli di affreschi di Giotto non erano, in fondo, che fumetti, raccontavano le storie sacre agli illetterati e analfabeti; vero, ma il loro era un linguaggio comunque alto – le sue norme erano dettate dai potenti, frati o laici che fossero – e rientrava negli interessi del coltissimo ma sprezzante Dante. Oddio: ma allora Keith Haring dove lo inseriamo, cosa ne facciamo? La sua è arte “alta” o “bassa”? Stando a certe astronomiche quotazioni di mercato la risposta sembra facile… E i cinquecento metri di William Kentridge sui muraglioni del Tevere? Vedi un po’ che succede, a evocare i “murales” di Giotto… 

La storia della volgarità sessuale contemporanea – esercitata, naturalmente, sul corpo della donna – ha tappe precise. Difficile che qualcuno oggi ricordi il nome di Luigi – detto Gino – Boccasile (1901-1952). Anche lui è stato un grafico, un pubblicitario e pittore che ha lasciato un’impronta, a suo modo geniale, nel panorama del disegno e della illustrazione italiana del secolo scorso. Non può essere qualificato come fumettista, il fumetto era ancora confinato agli album per ragazzi. Nativo di Bari, Boccasile si trasferisce giovanissimo a Milano, per sopravvivere allestisce piccole vetrine dove espone con discreto successo statuine di figure contadine da lui modellate e dipinte a mano: presto scopre e si dedica all’arte pubblicitaria e subito impone uno stile personale e accattivante: le vetrine che espongono i suoi lavori sono affollate dalle signore che ne decretano il successo. Dopo un breve soggiorno in Argentina, rientra in Europa, a Parigi espone due quadri al Salon des Indépendants del 1932, quindi si sistema definitivamente a Milano. Fonda una agenzia di pubblicità e collabora alla realizzazione grafica di riviste in voga, tra cui l’Illustrazione e La Signorina Sette, di periodici come La Donna, La Lettura, Bertoldo, Il Milione, Illustra collane di libri per ragazzi, molte delle copertine dei famosi Romanzi della palma, dei Romanzi di cappa e spada o del Canzoniere della radio hanno la sua firma.

 

L'erotismo liberty proponeva una donna sensuale ma sofisticata, senza pesanti curve. Con Boccasile sarà florida e popolaresca

Boccasile si inserisce nella schiera dei grandi cartellonisti italiani del primo Novecento, da Cappiello a Dudovich a Metlicovitz, tra liberty e déco. L’erotismo liberty proponeva un tipo di donna sensuale però sofisticata, senza pesanti curve, quello déco lanciò addirittura una silhouette senza seno e con il taglio dei capelli alla “maschietta”, nato per le donne chiamate, durante la guerra, a sostituire gli uomini al lavoro: le spigliate telefoniste di tanti film hollywoodiani ora erano anche operaie in fabbrica. Boccasile compirà una vera rivoluzione anche stilistica quando, tra il 1937 e il 1938, sulle copertine della rivista Le Grandi Firme fondata e diretta dal famigerato Pitigrilli (Dino Segre) quindi trasformata in rotocalco settimanale da Cesare Zavattini, lancerà la “Signorina Grandi Firme”. Proporrà un tipo di donna disinvolta e popolaresca, florida e procace, dai vestiti aderenti e con un lato B degno di Pippa Middleton, la sorella della principessa Kate salita a notorietà mondiale per le eccezionali curve sfacciatamente esibite al matrimonio della sorella.

 

La donna di Boccasile non è un’invenzione estemporanea, è l’immagine che il fascismo – con qualche attardata remora dal moralismo ruralista e/o cattolico – vuole promuovere come modello nazionale. Va controcorrente in una società ancora contadina, aperta alla modernità solo presso le ancora esigue minoranze cittadine che frequentano la Rinascente, i grandi magazzini dal nome straordinario inventato da D’Annunzio. Alle Olimpiadi di Berlino, un anno prima, le atlete indossavano calzoncini a mezza coscia, da educande. La fresca immagine che esce dalla matita di Boccasile trasuda un erotismo collettivo vago e inconscio ma potente, le sue forme procaci sono innovative, pur se ancora un po’ vittime di un controllo sociale nel quale hanno peso anche le massaie popolari che accompagnano i figli a ritirare la “befana fascista”. E’ maliziosa, certo, però anche ingenua, figlia di mamma.

 

La Signorina Grandi Firme ci dice che il totalitarismo fascista era pieno di crepe: l'America restava per gli italiani un miraggio segreto

In qualche modo la Signorina Grandi Firme è una interpretazione del “nazionalpopolare” che il regime cerca di costruire. Il fascismo sta cambiando volto, siamo nella stagione dell’Impero e del “consenso”, solo pochi avvertono il dramma che si sa consumando nella guerra spagnola, e quei pochi languono nelle carceri del regime o sono espatriati. Nel 1937, in Francia, vengono ammazzati da sicari Carlo e Nello Rosselli, le ignare “masse” italiche impazziscono per le procaci gonnelle di Boccasile. E l’artista aderisce convintamente al regime. Significativamente, nel 1938 è tra i firmatari del Manifesto della razza. Scoppiata la guerra, disegna alcuni dei manifesti più famosi ed efficaci a sostegno della politica e dell’ideologia fascista, con caricature ferocemente antiinglesi o antiamericane, o motti divenuti subito famosi, come il “tacete, il nemico vi ascolta” che incornicia il volto del militare inglese con la mano tesa dietro l’orecchio a carpire le chiacchiere dello “stratega da caffé” cui il manifesto si rivolge, o il crocifisso devastato dal militare, sempre inglese, ma stavolta un “negro” dal volto bestiale. Quando il Duca d’Aosta, in Etiopia, deve arrendersi, Boccasile gli dedica un manifesto , “Ritorneremo”. Nel 1942 pubblica una serie di dodici cartoline che illustrano le presunte atrocità dei bolscevichi e le sofferenze del popolo russo oppresso dal regime comunista. Dopo l’8 settembre 1943 aderisce alla Repubblica Sociale Italiana di cui cura i manifesti di propaganda, esaltando fino all’ultimo la fedeltà all’alleanza con la Germania: “nessuna pietà per traditori e ribelli”, “resistenza armata all’invasore anglo-americano, unico mezzo per riscattare l’onore dell’Italia infangato dal tradimento”.

 

Sembra che sia lo stesso Mussolini a volerlo al suo fianco. Si racconta che il disegnatore abbia lavorato fino all’ultimo, con i militi della SS italiana che montano la guardia alla stanza dove lui elabora i suoi poster. Alla Liberazione, è incarcerato per collaborazionismo. Assolto per non aver commesso reati, resta emarginato per qualche tempo. Ma la mano è sempre ferma e la sensibilità sempre infallibile, riprende presto la sua attività soprattutto con la grafica pubblicitaria, cambiando un po’ lo stile. Produce alcune cartoline per il nuovo Msi e per associazioni degli ex combattenti, ma dal 1947 i suoi cartelloni invadono nuovamente i muri delle città: dal Formaggino Mio alla Lama Bolzano, dall’Amaro Ramazzotti alle moto Bianchi, e poi ancora il dentifricio Chlorodont, le calzature Zenith, la Riunione Adriatica di Sicurtà, lo yogurth Yomo, i profumi Paglieri, lo shampoo Tricofilina… Se Boccasile adatta il suo stile alle esigenze del mercato, il mercato riconoscerà le sue intuizioni, il lato B della Signorina Grandi Firme riapparirà nelle adolescenti di Manara, in slip trasparenti invece delle quasi pudiche gonnelle di Boccasile. La società di massa è trasversale, ieri era fondata sulle ideologie, oggi su pulsioni analizzate con il linguaggio di Freud, ma il subliminale ha sempre la stessa grammatica. Piuttosto volgare, nell’uno come nell’altro caso.

 

Ovviamente, non è il solo test da prendere in considerazione, ma la Signorina Grandi Firme ci dice quanto fosse differente il fascismo dagli altri due totalitarismi del tempo. Dell’arte propagandistica sovietica sappiamo abbastanza, il suo realismo operaista bandiva ogni erotismo, è da supporre che anche l’hitlerismo abbia nutrito una cultura analoga. Il totalitarismo fascista era pieno di crepe, l’America restava, per gli italiani, un miraggio segreto.

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