Il “salon de la famille” allo Château de Ferrières, fatto costruire negli anni Cinquanta dell’Ottocento dal barone James de Rothschild

Rothschild a Parigi

Stefano Cingolani

La dinastia dei banchieri dietro Macron? Certamente fu vicina a Rossini, Proust e Pompidou

Chi c’è dietro la irresistibile (per ora) ascesa di Emmanuel Macron? Ma che domande, ci sono loro, e chi altri? C’è il complesso pluto-giudaico-massonico guidato come sempre dai Rothschild. L’attacco viene da destra ça va sans dire; fu Maurice Barrès, ideologo del nazionalismo francese, a lanciare nel 1890 l’anatema: “Abbasso i Rothschild, abbasso gli ebrei, è questa la formula che riassume il risentimento di chi non ha abbastanza contro chi ha troppo”. Ma l’offensiva viene anche da sinistra. Già nel 1846 Alfonse Toussenel, allievo di Fourier, sbraitava: “Guerra ai banchieri cosmopoliti, agli ebrei monopolizzatori”. Jean-Luc Mélenchon non dice per chi voterà e i suoi seguaci sono lacerati: stare con i neri o con i plutocrati dallo scudo rosso? Curioso che Mélenchon sia un trotskista e proprio il suo idolo, l’ebreo Lev Davidovic Bronstein detto Trotsky, venisse ritenuto un agente dei Rothschild schierati contro lo zar (anche se in verità avevano finanziato il governo liberale di Kerenskij). “L’antisemitismo è il socialismo degli imbecilli”, diceva August Bebel rivolto ai suoi compagni. Ma non vale solo per loro: provate a cliccare Rothschild su Google Italia, poi contate le pagine complottiste e antisemite.

 

La Francia, dunque, rischia di essere guidata da un re travicello? Macron ha lavorato due anni per casa Rothschild, guadagnando due milioni di euro lordi dopo aver portato brillantemente a termine l’acquisto dei cibi per bambini della Pfizer da parte della Nestlé nel 2012. Poi ha indossato di nuovo le vesti curiali dell’ispettore delle finanze per buttarsi in politica entrando al governo: ministro dell’Economia chiamato nel 2014 da Manuel Valls che ora lo sostiene nella corsa all’Eliseo.

 

In realtà, non sarebbe la prima volta che le stanze rococò del palazzo presidenziale vengono occupate da un ex banchiere della potente famiglia ebraica. Accadde già con Georges Pompidou nel 1969 e nessuno lo mise in croce per questo. Anche allora c’era la protesta, ma veniva dall’estrema sinistra, voleva “la fantasia al potere” non il fasciocomunismo. Pompidou era stato accolto in “casa Rothschild” subito dopo il secondo conflitto mondiale, diventerà direttore generale, la massima carica manageriale, fino al 1958 quando Charles de Gaulle, con il quale era in contatto fin dalla liberazione di Parigi, lo chiamò accanto a sé per farne il proprio delfino.

 

A sinistra nessuno ricorda la figura di un politico di primo piano che cercò di combinare i Rothschild col socialismo: Henri Emmanuelli

Curioso che a sinistra nessuno ricordi oggi la figura di un politico di primo piano che cercò di combinare i Rothschild con il socialismo: Henri Emmanuelli. Figlio di un comunista di origine còrsa militante sindacale della Cgt, diventa banchiere, entra nella casa dello scudo rosso all’indomani del mitico maggio ’68. Nel 1971 aderisce al Partito socialista dove rappresenterà sempre l’ala di sinistra. François Mitterrand ne fa uno dei più giovani deputati e dieci anni dopo, nella sua perfidia machiavellica, affiderà proprio a Emmanuelli, diventato ministro, la nazionalizzione della banca Rothschild. Nel gennaio di quest’anno l’anziano politico ha appoggiato il candidato socialista Benoît Hamon; ma a marzo è stato stroncato da una neuropatia vegetativa.

 

Gaullisti, socialisti di sinistra e di destra, dal 2006 è entrata anche Libération, il giornale fondato da Jean-Paul Sartre, quante covate in casa Rothschild. Per lungo tempo i finanzieri più grandi, più ricchi, più potenti, si sono sempre collocati al crocicchio tra economia e politica, tra alta finanza e governo a Londra, a Vienna, a Napoli, a Francoforte, da dove proveniva il capostipite Mayer Amschel, ma soprattutto a Parigi. Sono stati gli argentieri della restaurazione, di Metternich e dei Borboni, di Luigi XVIII di Carlo X, di Luigi Filippo, tremarono con la rivoluzione del 1848, ma restarono al vertice anche con Luigi Bonaparte (Napoleone il piccolo), tanto da essere il vero punto di riferimento nel consiglio della Banca di Francia. La loro forza è dovuta alla scelta di fare nello stesso tempo i banchieri-mercanti e gli argentieri dei principi, ancora una volta a cavallo tra due poteri. Per un secolo sono stati i numero uno nella compravendita di titoli di stato. Il biografo ufficiale Niall Ferguson che ha avuto accesso agli archivi privati, calcola che nella loro cassaforte ci fossero, nell’ordine, i bond inglesi, francesi e della Santa Alleanza. Poi veniva Napoli. E il Piemonte dalla metà degli anni ’50 quando Cavour si fece prestare i quattrini per modernizzare il Regno di Sardegna. Tennero in mano le sorti del debito pubblico italiano a lungo, finché la sinistra, soprattutto Crispi, non fece il salto della quaglia scegliendo i tedeschi con la Triplice alleanza.

 

Il ramo francese dei Rothschild ha fornito il lievito finanziario alla grandeur borghese di Parigi, quella architettonica, politica, culturale. Molto si deve a una figura come James che, nominato barone, mise il “de” davanti al cognome. “Conosce l’Europa principe per principe e la Borsa agente per agente” scrisse lo storico Jules Michelet. Dal 1815, a soli 23 anni, diventò il borsellino del principe Metternich e nello stesso il suo informatore. Con il sistema di corrieri che la famiglia aveva creato per tenersi in collegamento dall’Inghilterra all’Italia, si potevano scambiare informazioni riservate in tempi incomparabilmente più rapidi di qualsiasi altra posta. Fu così, narra la leggenda, che poterono costruire la loro fortuna originaria speculando sulla vittoria di Wellington a Waterloo appresa un giorno prima della stessa corona britannica.

 

Il ramo inglese diventa preminente dopo la débacle politica di quello francese e fa da incubatore per Margaret Thatcher

Il commediografo Georges Feydeau ha raccontato con abbondanza di dettagli la tipica giornata di James de Rothschild: “Il barone riceveva in una stanza situata nel mezzanino dell’hotel al numero 19 di rue Laffitte, i suoi quattro figli lavoravano con lui nella stessa camera. Bisogna immaginare il chiasso infernale, il disordine stupefacente in mezzo al quale trattava ogni giorni e senza un istante di tregua le più importanti operazioni finanziarie. Ci si figuri questo vecchio disilluso di tutto che ha tutto a profusione… Sin dal mattino, di solito tra le nove e le dieci, cominciava la processione. La sfilata durava fino alla chiusura della Borsa verso le quattro. Il vecchio barone si credeva in obbligo di ricevere tutta questa gente indispettita, indaffarata, d’una banalità a volte scoraggiante, quasi tutta con un atteggiamento ossequioso, piatta nella sollecitazione, servile nell’adulazione… Una delle astuzie abituali dello scaltro vegliardo che doveva essere asfissiato da questa processione, consisteva nel non dir parola, nel non levare nemmeno gli occhi sull’intermediario, lasciandolo là con il cappello in mano in equilibrio sul piede e nel passare il listino ai membri della famiglia”. Talvolta, pranzavano tutti insieme in una stanzetta adiacente, ricorda Feydeau: “Questo Titano sempre malaticcio leggeva tutte le lettere, riceveva tutti i dispacci, trovava il modo, la sera, di assoggettarsi ai suoi obblighi mondani e, dalle cinque del mattino, era tutto per gli affari”.

 

Alla mondanità presiedeva la moglie Betty, ritratta dal formidabile pennello di Ingres. Aveva riempito il suo salotto di rue Saint-Florentin delle migliori menti della sua epoca: Rossini insegnava musica ed eseguiva le sue soirées musicales, Chopin incantava le giovani con le polonaise e la lunga chioma, e ancora il giovane Bellini, il virtuoso Liszt, e Balzac sempre in cerca di quattrini, i fratelli Goncourt che nel loro Journal sputavano nel piatto dove mangiavano, e il liberal-rivoluzionario Heinrich Heine per il quale il sontuoso palazzo era “la Versailles della monarchia assoluta del denaro”. Il poeta tedesco amava provocare James e si faceva beffe (anche lui) del forte accento tedesco, ma lo riteneva un uomo intelligente, sensibile, a suo modo colto sotto la scorza di ruvido uomo d’affari. E non era piaggeria. Heine non prendeva un soldo dai Rothschild (almeno finché durò la rendita che gli aveva lasciato suo zio Salomon che faceva il banchiere in Germania).

 

James aveva accumulato case e palazzi in quantità, però tutte le residenze erano a Parigi o nei dintorni a differenza dai cugini inglesi che scelsero la campagna lontana da Londra. Questo legame simbiotico con Parigi è rimasto nel tempo. attraverso lutti, guerre, sconfitte. Anche se i Rothschild non raggiungeranno mai più le vette toccate nel XIX secolo. Allora erano i numero uno in assoluto, ma quanto erano ricchi? Ferguson ha tentato una stima per il ramo inglese: la loro fortuna equivaleva allo 0,62 per cento del prodotto lordo britannico; al suo massimo Bill Gates non raggiungeva lo 0,5 per cento del pil degli Stati Uniti. L’irrompere del secolo americano ha segnato un ridimensionamento dei Rothschild, incalzati dalla finanza di massa. Si tenga conto che per buona parte dell’Ottocento i loro clienti non sono mai stati più di mille; i mille che contavano.

 

Il ramo francese della famiglia ha fornito il lievito finanziario alla grandeur borghese di Parigi, quella architettonica, politica, culturale

Il grande splendore comincia ad affievolirsi durante la Belle Epoque. Marcel Proust non solo viene ispirato da casa Rothschild (viene subito in mente Charles Swann), ma vive grazie ai risparmi di suo padre Adrien gestiti con profitto dai grandi banchieri. Contro di loro si scaglia la nuova onda antisemita che esplode con l’affare Dreyfuss. Edmond pensa di finanziare le prime colonie ebraiche in Palestina, ma non ama Theodor Herzl e il sionismo: “Un ebreo americano che dà il denaro a un ebreo inglese per portare un ebreo polacco in Palestina”, dirà sprezzante. Invece Walter, figlio di Lord Nathaniel (Natty) capo del ramo britannico, sosterrà direttamente il progetto. A lui il ministro degli esteri Balfour indirizza nel 1917 la famosa dichiarazione con la quale Sua Maestà apriva la strada a “una patria in Palestina per il popolo ebraico”.

 

La crisi del ’29 colpisce i Rothschild, ma non li affonda; resistono anche al Fronte popolare in Francia; sarà l’occupazione nazista di Parigi a privarli della cittadinanza e gran parte dei propri averi. Elie e Alan vengono fatti prigionieri e internati a Lubecca. I più giovani combattono per l’Inghilterra e per la Francia libera di Charles de Gaulle. Edmund (Eddy), maggiore nella Brigata di fanteria ebraica, entrerà a Mannheim su un camion con la stella di David. “Die Juden kommen” gridava la gente spaventata, gli ebrei sono tornati. Scrive Jean Bouvier, storico ed economista francese di impostazione marxista, nel suo volume dedicato alla famiglia: “Si può immaginare come, di ritorno a Parigi nel settembre 1944 la generazione dei pronipoti di James, i cugini Guy, Alain, Elie, che in parte aveva conosciuto le vicissitudini del conflitto, la cui casa madre era stata chiusa da anni per diritto dell’occupante nazista, che senza dubbio aveva anche ricevuto un’educazione più moderna, più aperta di quella dei padri, abbia provato una sete di attività, un bisogno in qualche modo di rivincita, e il desiderio di affermare la capacità di grandi imprenditori d’adattarsi alle circostanze e trionfare”.

 

La modernizzazione passa per l’inserimento di gestori dall’esterno, come Pompidou, ma persino attraverso i matrimoni: Edmond sposa una cattolica, Nadine Lhopitalier, poi convertita all’ebraismo come anche Maria Beatrice Caracciolo di Fiorino moglie di Eric. Invece, Olimpia Aldobrandini convolando a nozze con David, figlio di Guy, è rimasta fedele alla chiesa di Roma. Divisioni, conflitti, drammi hanno diviso una dinastia sempre più ampia e diversificata anche negli interessi, dalla finanza al vino bordeaux (Chateau Lafite e Chateau Mouton), dalla filantropia all’arte. Il ramo inglese, guidato da Evelyn, diventa preminente dopo la débacle politica di quello francese e fa da incubatore per Margaret Thatcher: nonostante il suo conservatorismo anti-aristocratico, la Lady di ferro prende ben tre ministri dai Rothschild (Norman Lamont, John Redwood, Tony Nelson). Saranno le privatizzazioni, nella seconda metà degli anni Ottanta, l’occasione per un grande rilancio, di qua e di là dalla Manica.

 

“Della casa Rothschild – scrive Guy sul Monde nel 1982 – resteranno solo pochi resti, forse niente. Ebrei sotto Pétain, paria sotto Mitterrand, ne ho abbastanza. Ricostruire sulle macerie due volte in una vita è troppo. Pensionato per forza, mi considero in sciopero”. S’installa a New York, ma i Rothschild non abbandonano la Francia e si rifanno presto, tanto che nel 1987 vengono chiamati dallo stesso Mitterrand che li aveva espropriati, a gestire la vendita della banca Paribas. Meglio di tante scuse e un monito per tutti i nazionalizzatori vecchi e nuovi, di destra e di sinistra.

 

Sul letto di morte Mayer Amschel nel 1836 fece giurare ai suoi figli che avrebbero sempre agito all’unisono, non si sarebbero mai divisi, come le frecce puntate in direzioni diverse, ma strette da una stesso legame che campeggiano sullo scudo di famiglia. Concordia, integritas, industria, sono i loro motti. Negli anni Novanta in cima alla piramide è stata collocata una holding finanziaria con sede a Zurigo alla quale fanno capo diciannove compagnie nazionali. La cascata di società resta complessa, ma i due poli sono ancora a Londra e Parigi. Lord Jacob nel 2012 ha stretto un accordo con David Rockefeller nel settore della gestione dei patrimoni, e ha eccitato i complottisi: le due famiglie più potenti del pianeta insieme per governare il mondo. In realtà, il loro potere di fuoco oggi è molto inferiore a quello di Goldmam Sachs, J.P. Morgan, di Deutsche Bank o di Société Générale.

 

Il gruppo fondato nel 1953 da Edmond mettendo insieme le attività in Francia, Svizzera e Lussemburgo, dal 2010 è presieduto da Ariane, nata Langner nel Salvador da padre tedesco, una brillante carriera nell’industria e nella finanza americana. Ha sposato Benjamin, figlio di Edmond, con il quale ha quattro figlie. Sarebbe lei la burattinaia che, tra un’immersione subacquea, una regata velica e una crociata ecologica, tira i fili di Macron? Così il giovane Emmanuel verrebbe manipolato da due donne più grandi di lui, la moglie Brigitte e la musa Ariane? Un Eugène de Rastignac con Delphine de Nucingen (maritata a un banchiere ispirato a James Rothschild) o un Georges Duroy con Clotide de Marelle a fare da sfondo. Bella storia, degna di Balzac e di Maupassant, un romanzo che diventa vero nell’età dei falsi quando la realtà è solo un ballo in maschera.

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