Il guru eclettico

Giuseppe Marcenaro

Edoardo Persico, maître à penser della modernità. Lasciò dietro di sé una scia di ammirazione e mistero. Ripubblicati i suoi scritti

Bisognava vederla, la signora Enrica – la madre di Giorgio Labò, l’eroico gapista fucilato dai nazisti a Roma a Forte Bravetta nel 1944, amico e “discepolo” di Edoardo Persico – quando di Persico raccontava. Erano gli anni Sessanta e lei di quel controverso personaggio, morto nel 1936, parlava come se si fossero appena salutati. Si infervorava nell’evocarlo. “Era una delle persone più intelligenti che io abbia mai conosciuto. Di una sublime furente umanità”. Enrica Labò sapeva pesare il senso e la memoria delle persone incontrate negli anni del grande dibattito sull’arte italiana, sull’architettura soprattutto, con l’avvento del razionalismo. E Persico, nel suo immaginario, la figura centrale nelle controversie che, imperante il fascismo, s’accendevano su quale strada avrebbe dovuto prendere l’arte. E nelle sue trasfigurazioni espressive – arte, architettura, letteratura – quale senso avesse la vita medesima.

 

Una "sublime furente umanità". Tutta la sua vita fu un groviglio di realtà e finzione. Sulla sua morte anche un racconto di Camilleri.

Persico però era stato l’uomo che, con la sua morte avvenuta in oscure contingenze a trentasei anni, nel pieno dell’attività, oltre a diffuse idealità, aveva lasciato dietro di sé una inestricabile e ambigua scia. Al di là del fascino intellettuale che emanava, tutta la sua vita fu un groviglio di realtà e finzione. Forse bisognava accettarlo con tutto il bagaglio delle sue contraddizioni e il diffuso ventaglio di quelle che comunemente si usa definire “palle”. Un intreccio che ha spinto un giallista tipo Camilleri a tirar fuori un conte, con colpi di scena dietro l’indiziario titolo Dentro il labirinto.

 

Edoardo Persico fu rinvenuto morto nel bagno di casa sua, rannicchiato tra il lavabo e il water. Si pensò subito a un malore fatale. Poi si fece strada l’ipotesi che fosse stato vittima della polizia fascista, addirittura dell’Ovra. Vi fu chi avanzò altre ipotesi. Si suppose che Persico, pur dichiaratamente antifascista, fosse doppiogiochista, una spia dell’Ovra. E non si comprende, in perfetta contraddizione con i fatti, come il 16 ottobre 1970, il ministero del Tesoro riconoscesse a Cesira Oreste, vedova di Edoardo Persico, con la quale aveva convissuto per poco, la pensione privilegiata per la morte del marito, “perseguitato politico, avvenuta il 10 gennaio 1936 per cause di guerra”. Incredibile quel “cause di guerra”. La commissione per le pensioni aveva dato parere favorevole sottolineando inoltre che “si rileva che Persico Edoardo ebbe a subire incarcerazione nel periodo compreso tra la fine del 1924 e il gennaio 1925 e nel 1935 tra l’estate e la fine di novembre”. La cosa sorprendente è che da nessun documento risulta che Persico sia stato mai arrestato.

 

Antifascista o doppiogiochista? Forse fu soltanto un malore, ma si fece strada l'ipotesi che fosse stato vittima della polizia fascista

L’occasione per un ritorno a questo esorbitante e contraddittorio personaggio è la pubblicazione della raccolta dei suoi scritti: due nutriti volumi, Notizie dalla modernità (a cura di Giuseppe Lupo, ed. Aragno, 1186 pp., 60 euro), che ripropongono, in ordine cronologico, quanto per le Edizioni di Comunità – Tutte le opere, a cura di Giulia Veronesi – era stato già pubblicato nel 1964, suddiviso per temi: Politica e letteratura, Pittura e scultura, Tempo e memoria, Scenografia, Fotografia, Grafica e pubblicità… che poi sarebbero gli universi nei quali Persico spese intelligenza e vita. Bisogna tuttavia dire che i suoi devoti impiegarono un tempo non breve per onorare il loro guru con una pubblicazione, se si tien conto che dalla sua morte, fin all’uscita degli scritti, passarono quasi trent’anni. E che dell’omaggio editoriale si cominciò a parlare da subito, nei giorni del suo misterioso exitus, quando si costituì addirittura un Comitato per la raccolta dei testi di Persico: in realtà una antologia Scritti critici e polemici, a cura di Alfonso Gatto, uscì nel 1947, presso Rosa e Ballo. Tra i primi a insistere per raccogliere e stampare l’opera omnia del “maestro” e a volersene occupare fu Giorgio Labò, che sollecitava gli amici di Casabella, la rivista che Persico dirigeva. Scriveva Labò nel 1943: “Quale debito sia rimasto insoluto con la memoria di Persico, quanto assoluto rimanga il nostro dovere di raccogliere almeno quanto lasciò di sé… Oggi il debito è ancora presente a tutti, come tutti abbiamo risentito della sua lezione: anche se la raccolta darà della figura e del pensiero una misura soltanto approssimata, tanta è stata la naturale tendenza di Persico a una rigorosa autocritica che gli impedì di affidare alla carta prove che alla sua coscienza potevano rivelarsi ancora provvisorie”. Giorgio Labò dopo quelli dedicati a Sant’Elia e a Alvar Aalto, aveva vagheggiato di scrivere un saggio sul più vivace intellettuale della Milano degli anni Trenta del Novecento. Non fece in tempo. Glielo impedì un plotone di nazisti. Questa storia e la dedizione per Persico è stata ampiamente raccontata da Pietro Boragina nel suo Vita di Giorgio Labò (ed. Aragno, 2011).

 

Alla morte di Persico seguì un coro di elogi. Elio Vittorini: “Egli resta una di quelle imponderabili figure umane a proposito delle quali non si sa come rispondere a chi ci domanda che cosa abbiano fatto, mentre entro di noi si sa benissimo che senza il loro passaggio il mondo non sarebbe esattamente quale è. Non lasciano, nel mondo, traccia tangibile della loro personalità, o la lasciano inadeguata alla loro importanza, pure qualcosa del mondo è profondamente cambiato grazie a loro…”. Ma Persico, per quanto fosse “spiegato” e rimpianto restò indefinibile. Carlo Levi che gli era stato grande e fedele amico scrisse: “… Dopo questa perdita, il mondo e la nostra stessa persona appaiono impoveriti… Mi chiedo se mai Persico sia esistito”. E Lionello Venturi, sfiorando il vivo centro del “mistero Persico”, ne esaltava la “presenza tra le più forti che siano passate accanto alla vita nostra, di noi che lo abbiamo conosciuto… Sentivamo che la sua cultura era grandissima, anche se aveva assai poco di comune con la nostra… D’un volo, senza scomporsi, egli giungeva là ove noi s’arrivava lenti e affaticati… E’ stato una luce…”. Lamberto Vitali aggiungeva: “Chi non lo conobbe, potrà a fatica immaginare quale fosse la sua influenza, anzi, il suo ascendente sugli uomini che gli stettero accanto…”. E Tofanelli: “Il suo spirito toccava e influenzava tutto…”. Mario Soldati arrivò forse a cogliere la segreta verità: “E’ possibile dare un’idea di lui a chi non lo ha conosciuto? I suoi scritti non rivelano, non ricordano che una piccola parte di lui. Per lui, scrivere era continuare a parlare, a persuadere, ad animare. Era un uomo inesauribile. Più che con le sue sottili ragioni, le fantasie ideologiche, gli sconcertanti epigrammi, egli colpiva e scuoteva gli amici con la sua stessa presenza: l’aggressività entusiasta del discorso, il fuoco dello sguardo. Diceva ‘credo’ con tale veemenza che infondeva la fede nei più scettici. Egli riusciva così convincente proprio perché doveva, in segreto, gridare ‘credo’ anche a se stesso. Questo, forse, il mistero umano e tragico della sua vita generosa”. E Renato Birolli: “… Fu l’unico uomo d’arte in Italia capace di scuotere una coscienza…”.

 

Ma Persico era veramente indefinibile, inafferrabile nel suo mistero umano? E chi a lui guardava come un profeta della nuova arte gli era veramente fedele fino in fondo? “Io ti auguro ardentemente – gli scriveva Dino Garrone – che tu non debba incontrarti con le amarezze e i tormenti che già scavano la tua strada, che tu non debba trovarti solo e abbandonato, quando tutti quelli che si sono serviti di te come di una macchina, avranno cangiato automobile”.

 

Libri quasi copiati, altri mai scritti. Uomo delle pulizie alla Fiat, poi nei primi anni Trenta è a Milano, dove si manifesta la sua vera natura

Edoardo Persico venne al mondo a Napoli l’8 febbraio 1900. Del carattere dei partenopei conservò l’effervescenza. Iscrittosi nel 1918 alla facoltà di Giurisprudenza verrà chiamato lo stesso anno alle armi. Cattolico osservante, a diciannove anni tiene una conferenza su san Tommaso. Nello stesso tempo si iscrive al Partito democratico sociale di Giovanni Amendola. E’ la prima delle sue incoerenti grandi divaricazioni. Un ardente cattolico e attivista amendoliano, di cui diventa un vivace propagandista, creando gruppi di “attivisti del Sud”. Durante un comizio a Posillipo rischia un pestaggio da parte dei fasciti. Tenta, ma non gli riesce, di fondare un giornale: “Cattolici”. Nel 1922, pur per pochissimo, aderisce al fascismo. Pare sia stato responsabile del Partito fascista napoletano. Nel medesimo tempo sostiene apertamente le idee politiche di Benedetto Croce. La sua, un’esistenza ondivaga. Come di chi non sappia da che parte trovare la propria strada. Scrive anche un libro La città degli uomoni d’oggi, pubblicato nel 1923 dall’editore Quattrini di Firenze. E’ un saggio di forte intonazione cattolico-integralista, assai ispirato a L’Homme di Ernest Hello. Raffrontando i due libri salta fuori che quello di Persico è così vicino a quello di Hello da costeggiarne il plagio. Poi ha una curiosa folgorazione. L’11 giugno 1923 legge sul quotidiano napoletano Il Mezzogiorno un articoletto: “Chi è Piero Gobetti”, firmato Giuseppe Prezzolini, che Persico dichiara venerare. Scrive immediatemente all’editore Gobetti inviandogli il manoscritto di un suo romanzo, Il porto lontano. E lo informa d’aver già pubblicato due libri, al momento esauriti: uno da Art’s Editions a Londra nel 1919, The High Flame; l’altro Jardins d’automne presso l’editore C. Schneiderberg uscito a Berna nel 1921. Libri che non esistono. Splendide palle cui Persico aggiunge che nel volume edito da Quattrini a Firenze si annuncia l’uscita del romanzo Il carico di sale, mai pubblicato. Probabilmente mai scritto. Ciò che Persico riesce a ottenere da Gobetti è di collaborare alla Rivoluzione Liberale, esordendo il 16 dicembre 1924 con “Lettera dalla Spagna”. Più tardi scriverà anche sul Baretti, il periodico letterario sempre stampato da Gobetti. Trovato il varco, inonda di proposte Gobetti arrivando a sottoporgli l’idea di un numero del Baretti interamente scritto da lui e firmato con vari pseudonimi. Già che Edoardo Persico, anche per la Rivoluzione Liberale, firma articoli con un “trasparente” nome-de-plume: Ward Perch. Come non bastasse lo zelo scrittorio, Persico si dà da fare a Napoli per costituirvi uno dei Gruppi di Rivoluzione Liberale, di cui ovviamente sarà il responsabile. Qualcuno ha scritto che proprio a causa dell’attività in favore di Gobetti, Edoardo Persico fosse arrestato e tradotto in carcere. Ma come per gli altri “vantati arresti” di Persico, anche di questo non si hanno conferme. Non uno straccio di verbale, né una prova scritta. E poi, formidabile effetto di opportunismo e strabismo politico, il primo articolo pubblicato da Persico dopo la morte di Gobetti esce il 1° settembre 1926 su Critica fascista, la rivista diretta da Giuseppe Bottai, uno dei personaggi più in vista del regime.

 

Organizzatore, promotore e critico d'arte, realizza anche le sue idee innovative di grafica, pubblicità e arredamento

Nel 1927 Persico si trasferisce a Torino. Vive tra penose ristrettezze. Trova posto come uomo delle pulizie alla Fiat. Non si fa fiaccare dalla vita grama. Diventa amico di Lionello Venturi. Per interessamento della madre di Mario Soldati, viene assunto quale redattore dalla rivista Motor Italia, dove riesce ad imporre nuove sperimentazioni grafiche. Diventa condirettore, con Mario Gromo, della casa editrice Ribet dove elabora un piano editoriale di largo respiro europeo. Frequenta gli artisti. Ed è allora che si manifesta la sua vera natura di organizzatore d’arte, di critico acuto, stimolatore di talenti. “Inventa” il gruppo dei “Sei di Torino” – i pittori Paulucci, Chessa, Levi, Menzio, Galante e Boswell – di cui diventa il promotore. Ne decreta il successo presentandoli nelle gallerie di varie città italiane. In questo tour incontra Pier Maria Bardi, che gli suggerisce di trasferirsi a Milano dove viene invitato a collaborare alla rivista di architettura La casa bella. Frequenta gli studi degli architetti. Con i fratelli Ghiringhelli fonda la Galleria del Milione. Frenetica l’attività. Vuole educare il gusto e illustrare le ragioni del razionalismo, lo stile architettonico che si sta affermando. Si è trasformato in un maître à penser. Con l’architetto Marcello Nozzoli realizza le sue innovative idee di grafica, pubblicità e arredamento. Insomma, da questo momento ne realizza d’ogni: allestimenti in esposizioni, mostre, scenografie, articoli, libri, vince il Primo premio della Triennale per il “Salone della Vittoria”.

 

Poi la morte improvvisa. Nel pieno del successo. “E’ stato il profeta della nostra giovinezza – dichiarò il pittore Aligi Sassu - L’uomo che più ci ha amati, che più ha capito l’ansia di noi giovani tesi a una civiltà nuova…”. “Nell’incertezza di giudizio e tiepidezza di fede attuali, noi guardavamo a Edoardo Persico come a un punto fermo”, ribadiva un altro amico, Attilio Podestà, mentre Giuseppe Pagano ricordava: “Il suo sorriso era di chi ha la certezza di essere molto vicino alla verità…”.

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