Beppe Grillo a Palermo nel settembre 2016 per Italia 5 Stelle (foto LaPresse)

Grillo nella giungla siciliana

Accursio Sabella

Potranno anche vincere le regionali, ma finora la vita dei Cinque stelle è stata un calvario di guai

È giunto dalle acque, ma adesso rischia di trovarsi in un mare di guai. Beppe Grillo sa bene che la Sicilia può essere l’antipasto. La porta aperta verso la vittoria alle elezioni politiche. Ma dopo la traversata a nuoto dello Stretto, che lanciò lo “tsunami” grillino nell’Isola, molto è cambiato. E qualche stella è caduta.

Per le strade di Sicilia però in tanti sono certi che i grillini vinceranno le prossime elezioni regionali. E a pensarci bene, forse una ragione c’è: per il siciliano medio, peggio del Movimento 5 stelle è la sgangherata compagnia di giro che fa capo a Rosario Crocetta. Peggio dei grillini è quella pavida, variopinta, avida maggioranza che lo ha sostenuto finora, tra contraddizioni, doppia morale, imposture antimafiose e la giostra di assessori, strafalcioni e fallimenti. Meglio cambiare, insomma. E vada come deve andare.

 

Nell'Isola, il grido "Onestà, onestà"
in qualche caso ha finito per naufragare contro gli scogli delle inchieste. I casi di Gela e Bagheria

E così, il Movimento 5 stelle nell’Isola cresce nonostante i guai. Anzi, sembra crescere tra i guai. Che affiorano ovunque vengano chiamati a ricoprire un ruolo nelle istituzioni. I grillini siciliani che siedono a Montecitorio? Indagati per la vicenda della firme false che ha portato loro in dote una richiesta di rinvio a giudizio. I Cinque stelle che siedono tra gli scranni di Sala d’Ercole, sede del Consiglio regionale siciliano? Poco più che trasparenti, ma non nel senso che tanto piace a loro. Perché il grido “Onestà onestà”, nell’Isola, in qualche caso ha finito per naufragare contro gli scogli delle inchieste. Due consiglieri regionali sono tutt’ora coinvolti. Mentre non va meglio nelle amministrazioni a guida grillina. A Gela, dentro il Movimento hanno iniziato a litigare fin da subito, e il sindaco eletto è stato buttato fuori dal “partito” pochi mesi dopo le elezioni. A Bagheria, alle porte di Palermo, il primo cittadino è scivolato su una buccia di banana che lui stesso aveva lasciato sul selciato della città del regista Giuseppe Tornatore: la lotta all’abusivismo ha finito per rivoltarsi contro lui e la sua giunta. E a cercar bene, guai ne trovi anche a Ragusa e più recentemente a Porte Empedocle, la Vigata di Andrea Camilleri, dove il comune a guida grillina è già a un passo dal dissesto finanziario.

 

 

Sembrano lontani, insomma, i tempi in cui Beppe Grillo sbarcava nell’Isola dopo la traversata a nuoto dello Stretto di Messina. Eppure, gli ultimi sondaggi attribuiscono ai grillini di Sicilia percentuali persino superiori alla media nazionale. Un consenso acquisito “da fermo”, tutto sommato. Grazie ai migliori alleati possibili: chi ha governato la Sicilia negli ultimi anni. Un consenso che non pare scalfito dalle imbarazzanti vicende delle “firme false”. Del resto, se parli con un militante-tipo pentastellato dell’Isola, ripeterà come un mantra che non di “firme false” si deve parlare, ma di “firme ricopiate”, in occasione della presentazione delle liste per le elezioni amministrative di Palermo nel 2012.

 

Il movimento
degli indagati,
dei flop
e delle contraddizioni può contare sul migliore degli alleati:
il governatore
Rosario Crocetta

False o ricopiate che siano, quelle firme hanno finito comunque per far saltare in aria il Movimento siciliano. Nonostante il pervicace silenzio conservato dai tanti protagonisti della vicenda sia negli anni precedenti, sia negli ultimi mesi davanti ai pm. Motivo sufficiente, per qualcuno di loro, per guadagnarsi la “sospensione” decisa dai probiviri del Movimento, giunta su chi, negli stessi anni in cui “dimenticava” di riferire le modalità di presentazione delle liste alle comunali di Palermo, urlava dagli scranni del Parlamento romano e insegnava agli altri cosa fosse l’etica in politica. Tra questi, Riccardo Nuti, deputato nazionale e candidato a sindaco di Palermo proprio in occasione delle elezioni incriminate. E’ lui, secondo alcuni ex militanti, al centro di un “cerchio magico” che sembra cozzare con il dogma dell’“uno vale uno”. E in realtà, nell’Isola di Movimenti ne esistono almeno due.

C’è quello dei “grillini di Sicilia” e quello dei “grillini di Roma”. In guerra tra loro. Due schieramenti, armati l’uno contro l’altro. Questa è l’immagine che emerge anche dalle dichiarazioni degli stessi esponenti cinquestelle ai pm che alla fine del 2016 stavano portando avanti l’inchiesta. “A livello palermitano – racconta ad esempio la deputata nazionale grillina Chiara Di Benedetto – devo chiarire che da tempo c’è una frattura tra i deputati nazionali e quelli regionali del Movimento, frattura che si è resa evidente in occasione delle cosiddette ‘comunarie’ ovvero della procedura di selezione dei candidati per le elezioni amministrative di Palermo del 2017: il gruppo dei deputati regionali siciliani – prosegue la Di Benedetto – avrebbero voluto un ruolo organizzativo nelle ‘comunarie’, che invece Grillo e Casaleggio hanno affidato a noi deputati nazionali”. Noi e loro. Un solco, a segnare i due eserciti cinque stelle.

 

Ricostruzione confermata dalla sua “collega” Giulia Di Vita, anche lei indagata e recentemente sospesa, autosospesa e passata al gruppo misto, che ai pm ha raccontato: “I rapporti tra noi deputati nazionali e i deputati regionali del Movimento non sono ottimi”. Un eufemismo, a guardare bene. Perché la vicenda siciliana rivela come l’attrazione per i complotti da parte dei grillini sia così profonda da estendersi anche all’interno del Movimento. Basta prendere le ultime dichiarazioni dello stesso Nuti, secondo cui l’indagine della Procura di Palermo scaturisce dal “tentativo di levarci politicamente di mezzo per avere campo libero, attraverso una montatura ben organizzata”. Il complotto, insomma, può anche avere matrice grillina.

 

 

Ma la vicenda delle cosiddette “firme false”, ha refluenze assai più ampie. Lo spiega ai pm, ad esempio, un ex attivista secondo cui, per le regole di candidatura di Grillo, solo i candidati alle comunali avrebbero potuto candidarsi successivamente alle regionali e alle nazionali. In gioco, insomma, non c’era solo il presente di una campagna elettorale per il Consiglio palermitano, ma l’immediato futuro di tanti che poi, in effetti, diventeranno deputati. Tra questi, anche Azzurra Cancelleri, eletta poi alla Camera e sorella del leader siciliano e quasi certo candidato alla presidenza della regione, Giancarlo Cancelleri.

 

Percentuali persino superiori alla media nazionale, secondo
gli ultimi sondaggi.
Un consenso non scalfito dalla vicenda
"firme false"

È lui a guidare il drappello dei consiglieri regionali siciliani. Che nell’Isola, quantomeno, sono stati selezionati con voti di preferenza “veri” e non grazie al contatore – a volta imbarazzante nelle cifre – del web. Oggi i grillini in Assemblea regionale fanno la “voce grossa”, descrivono il governatore Rosario Crocetta come un “anziano, solo e sul viale del tramonto” e rispolverano il classico e trito armamentario retorico dell’anti-casta, presentano periodiche e ovviamente inefficaci mozioni di sfiducia al governo. Un modo, forse, per far dimenticare che proprio i grillini avevano, nella prima parte della legislatura, guardato con favore all’esperienza del presidente Crocetta. Inaugurando quello che tanti media denominarono il “modello Sicilia”, da esportare altrove. A Roma, ad esempio, dove il Pd che aveva “non perso” le elezioni doveva decidere con chi governare.

Per il resto, lì a Sala d’Ercole si ricorderà poco delle gesta dei grillini: una “trazzera” costruita con fondi propri per rispondere al crollo di un viadotto sull’autostrada Palermo-Catania, o la restituzione di parte dell’indennità di deputati regionali. Fatto unico e meritorio, per carità. Ma sul quale, in qualche caso, si sono allungati i dubbi di rimborsi “stellari” per il consumo di carburante. Persino per deputati di Bagheria, a 15 chilometri da Palermo, che facevano registrare chilometraggi degni di una spola quotidiana tra la Sicilia e l’Australia.

 

E anche lì, nel Consiglio regionale siciliano, non è mancato il fuggitivo. Antonio Venturino è stato scelto dai grillini addirittura per ricoprire il ruolo di vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana, carica che ricopre tutt’ora. Pochi mesi dopo quella elezione, però, anche Venturino è stato messo alla porta. Uno strappo giunto per motivazioni politiche, secondo il deputato (la decisione del Movimento di “allontanarsi da Crocetta”), per il mancato rispetto dell’impegno a cedere parte dello stipendio, secondo gli altri grillini. Così, addio Cinque stelle ed ecco l’approdo di Venturino – ironia della sorte – in un partito che porta il glorioso nome di un protagonista assoluto di quella Prima Repubblica che i grillini guardano con sdegno: il Partito socialista, rinato tra gli scranni dell’Assemblea regionale.

 

 

 

Nelle file di Sinistra italiana, invece, è finito il senatore siciliano Francesco Campanella. Cacciato dal partito per aver espresso qualche opinione critica nei confronti di Beppe Grillo, in occasione del “video-confronto” con l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi.

 

Pochi mesi dopo l'elezione a vicepresidente dell'Assemblea regionale,
Antonio Venturino
è stato messo alla porta

E questa è una delle lamentele piovute anche sul Movimento siciliano da parte di quelli che sono ormai degli ex militanti. Quella, cioè, di un’assenza di democrazia interna, di una diffidenza congenita per il confronto. Con conseguenze che spesso fanno rima con “fallimento”. Come a Gela, città-chiave per tantissimi, sia perché Comune d’origine e feudo del governatore Crocetta, sia per la spinosa vertenza del petrolchimico. Il sindaco grillino Sebastiano Messinese è stato cacciato dal movimento per la scelta di estromettere dalla giunta tre assessori. Sullo sfondo, anche qui, le divisioni tutte interne anche al Movimento gelese, spaccato tra i sostenitori del sindaco e quelli che farebbero capo, appunto, a Cancelleri. In questo caso, però, l’accusa ufficialmente lanciata dal Movimento al sindaco è quella di avere avallato il protocollo di intesa tra Eni, ministero dello Sviluppo economico e regione e quella legata a un incarico conferito a un candidato rivale alle ultime elezioni comunali, vicino al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Un clamoroso “inciucio”, per i più agguerriti nemici della “casta”. E così, tanti saluti al sindaco.

 

È rimasto al suo posto, invece, il sindaco di Bagheria Patrizia Cinque. Ma nella cittadina del palermitano non sono mancate polemiche e ombre. A cominciare da quella che gli avversari politici hanno definito una “mini-parentopoli” e che ha riguardato alcuni incarichi legali e di consulenza affidati a militanti grillini, alla cognata di un assessore, al padre di un consigliere cinque stelle. “Sono incarichi fiduciari”, ha spiegato il sindaco. Che però era stato bacchettato anche dai revisori dei conti per alcuni incarichi “esterni” per un organismo di controllo. Ma la vera “spina” per l’amministrazione pentastellata di Bagheria è legata a un’altra vicenda. Dopo avere fondato una campagna elettorale anche sulla lotta all’abusivismo, ecco che il sindaco e la giunta sono scivolati proprio su un caso di questo tipo. Tra accuse, smentite, carte e planimetrie, alla fine è emerso che sia la casa dell’assessore all’Urbanistica Luca Tripoli che quella dei genitori del sindaco Patrizio Cinque erano “abusive”, ovvero non ancora sanate. Un mezzo terremoto, che spinse il sindaco a pubbliche scuse per “le imprecisioni” espresse anche di fronte ai microfoni delle Iene di Italia Uno: “Credevo che la casa fosse stata sanata”. L’assessore, nel frattempo, a causa di questa storia, ha deciso di dimettersi. Ma non è finita qui. Sul sindaco grillino è piovuta anche l’accusa di “mobbing”, poi oggetto di una indagine della procura di Termini Imerese: il primo cittadino si sarebbe “accanito” contro una dirigente non gradita, più volte colpita da provvedimenti disciplinari e sospesa dal lavoro. Il tribunale ha già dato ragione una prima volta alla donna, condannando il comune a risarcire gli stipendi “non goduti”: oltre 90 mila euro.

 

 

Ti sposti un po’, e trovi nuovi guai in un’altra amministrazione grillina, quella di Ragusa, guidata dal sindaco Federico Piccitto. Finito al centro delle polemiche più volte, prima per un sospetto (e assai fumoso, a dire il vero) caso di parentopoli che ha portato alle dimissioni l’assessore ai Beni culturali, poi anche in occasione della proroga per la gestione del canile municipale, finito nelle mani di uno dei militanti più attivi del meet-up ragusano e già nello staff dello stesso sindaco. Intanto, una consigliera grillina ha dovuto dimettersi: Gianna Sigona aveva pubblicato sul proprio profilo facebook la foto di alcuni busti di Mussolini, nei giorni vicini al 25 aprile. “Fuori”, hanno decretato i grillini. In difesa della propria purezza. La porta per uscire dal Movimento, questa volta, è in fondo a destra.

 

E dalle simpatie per il Duce alle frasi razziste il passo non è così lungo. Ne sa qualcosa Alì Listì Maman, militante di colore del Movimento 5 stelle, attivista dal 2012 e fino a pochi giorni fa candidato alle prossime elezioni comunali. A un certo punto, però, il giovane ha deciso di rinunciare alla corsa per il consiglio comunale di Palermo. Il motivo? Più o meno sempre quello: “Nel movimento non c’è confronto – ha lamentato – il programma, a due mesi dal voto non c’è, ridotto e sostituito con slogan banali e di debole significato”. La conseguenza? Una sfilza di insulti piovuti su Facebook: “Mettiti sopra un barcone – ha commentato un militante grillino – tu e i tuoi connazionali e andatevi a riprendere il vostro, invece di scappare come topi”. E tanti altri, i commenti di uguale tenore. Al giovane è giunta la solidarietà del candidato sindaco, l’ex attivista di Addio Pizzo Ugo Forello. Che non piaceva agli uomini e alle donne raccolti attorno a Riccardo Nuti. Tra cui gli indagati per la vicenda delle firme false. Il caso che ha fatto esplodere ed emergere le contraddizioni a cinque stelle. Quel mare di guai che adesso Beppe Grillo dovrà necessariamente attraversare. La vittoria alle prossime elezioni politiche, ormai è chiaro a tutti, passa anche dalla Sicilia. Dove il Movimento 5 stelle degli indagati, dei flop e delle contraddizioni può comunque contare sul migliore degli alleati: il governatore della rivoluzione mancata, Rosario Crocetta.