Alexis Tsipras con Angela Merkel (foto LaPresse)

L'irredimibile Atene

Stefano Cingolani

La Grecia torna a preoccupare l’Europa. Il risanamento dei conti più che difficile diventa improbabile

Da otto anni la Grecia giace sul letto d’ospedale, nel cronicario dell’euro. Al capezzale s’alternano i medici come il corvo, la civetta e il grillo parlante attorno al giaciglio di Pinocchio. Ce lo ricordiamo tutti: per il corvo il burattino è morto, “ma se per disgrazia non fosse morto allora sarebbe indizio sicuro che è ancora vivo”. La civetta la pensa esattamente all’opposto. E il grillo? Ebbene per lui “il medico prudente, quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, è quella di stare zitto”. Gli esimi dottori convocati a consulto per la Repubblica ellenica, invece, non hanno taciuto. Nei primi tre anni si sono accapigliati per individuare il male di cui soffre, negli altri due hanno cercato le medicine, infine hanno somministrato la cura. Hanno abbassato l’infezione che s’annidava nell’ipertrofica amministrazione pubblica, hanno ridimensionato il deficit tra entrate e spese dello stato, hanno rimesso in moto la domanda e ridotto la disoccupazione, anche se resta a un tasso del 22 per cento. Poi, finita la terapia, gli specialisti della crisi si sono accorti che la febbre continua a corrodere l’organismo già debilitato, risucchia ogni sua energia, consuma la linfa densa e grumosa nelle vene dell’economia, nelle arterie della società, nei vasi sanguigni della politica. E all’improvviso la Grecia, la culla della nostra civiltà, addormentata tra i flutti dello Ionio e dell’Egeo che si combattono attorno a capo Mataplan (la punta più a sud della Vecchia Europa stuprata da Giove), è tornata a popolare gli incubi di Angela Merkel, di Mario Draghi, degli eurocrati di Bruxelles e dei principali governi europei, non escluso quello italiano. Di punto in bianco è risuonato l’allarme e Grexit è rientrata nell’ordine del giorno dal quale tre salvataggi con i quattrini di tutti i contribuenti dell’Unione sembravano averla allontanata per sempre. Così, il naufragio di Atene è ancora una volta davanti a noi.

 

Che cosa hanno combinato Alexis Tsipras e il suo governo? E noi che continuiamo a sostenerla, cosa ne facciamo della Grecia? Di questo hanno discusso il 9 febbraio la cancelliera Merkel e il presidente della Bce quando si sono incontrati a Berlino. Ne è uscito il comune auspicio (loro lo hanno chiamato impegno) affinché l’area euro resti intonsa e indivisa con un’unica e solida moneta. Le due o più velocità alle quali la Kanzlerin aveva fatto riferimento riguardano la difesa, la sicurezza, l’immigrazione e quant’altro, non l’euro. Dunque nessuno vuole cacciare Atene e alla fine la Grecia verrà rifinanziata per la quarta volta, ma a quali condizioni e per quanto tempo ancora? Siamo arrivati a un esborso di 326 miliardi di euro pro quota da parte degli altri paesi, l’Italia è esposta nell’insieme per 40 miliardi, la Germania per 60 e la Francia per 46. Il termometro che misura la temperatura è il debito pubblico, oggi è al 180 per cento del prodotto lordo, secondo il Fmi è già “insostenibile” e continuerà a crescere, fino a raggiungere quota 275 entro il 2060.

 

Dalla nuova America di Trump arriva un messaggio senza troppe sfumature: “State perdendo tempo, che aspettate, lasciate l’euro e, perché no, l’intera Unione europea”, ha sentenziato alla tv greca Ted Malloch, probabile prossimo ambasciatore Usa presso la Ue secondo il quale – scrive il quotidiano inglese Guardian – sarà Atene stessa a chiedere di uscire dall’Eurozona. Gli otto anni di austerità imposti al paese da Bruxelles sono stati così duri, che è arrivato il momento di chiedersi se “ciò che verrà” possa alla fine rivelarsi anche peggio. Secondo Malloch, diversi economisti greci starebbero studiando il modo di lasciare l’euro per adottare il dollaro quale nuova moneta nazionale, compiendo un passo che si tradurrebbe in una palese umiliazione per la Ue e, in particolare, per la Germania. Il futuro ambasciatore non ha detto chi sono questi economisti, magari è sempre lo stesso Yanis Varoufakis che è uscito dai riflettori con la sua urtante spocchia in sella alla potente moto, ma resta alla ribalta. Oppure sono professori americani vicini alla nuova amministrazione. Certo è che le cose non vanno affatto bene.

La ripresa dell’economia in Grecia è più incerta che mai, dopo che l’istituto statistico nazionale ha pubblicato dati abbastanza deludenti sul pil nel quarto trimestre del 2016, contrattosi dello 0,4 per cento. Nel terzo trimestre si era registrata un’espansione promettente dello 0,9 per cento. Nell’intero 2016, la crescita s’è fermata allo 0,3 per cento. Cifre che rendono ancora meno credibile l’ottimismo della Commissione europea sul raggiungimento dei target fiscali. Bruxelles prevede che l’anno prossimo verrà realizzato un avanzo primario (cioè al netto degli interessi) pari al 3,7 per cento del prodotto lordo, mentre la crescita economica sarebbe del 2,7 per cento quest’anno e del 3,1 per cento nel 2018. “Stanno giocando col fuoco”,

Alla fine la Grecia verrà rifinanziata per la quarta volta, ma a quali condizioni e per quanto tempo ancora?

ha avvertito Tsipras e ce l’ha con gli agenti del Fondo monetario, accusato appunto di essere troppo rigido nei confronti del paese al quale si chiedono altri 4 miliardi di euro tra tagli e tasse.

 

Ma cos’è successo? E’ davvero tutta colpa dell’austerità, del Fmi, della Ue, della Bce, della Germania? Alexis Tsipras è convinto di aver fatto tutto il possibile e forse anche l’impossibile, entrando in conflitto con se stesso oltre che con l’ala pura e dura di Syriza. Come dargli torto. Del resto, Tsipras è uomo d’onore e lo ha dimostrato nel modo in cui ha gestito l’ora più grave nel 2015 quando Varoufakis aveva segretamente preparato insieme all’economista radical americano James Galbraith (figlio del più famoso John) un piano B per uscire dall’euro, con l’introduzione di una moneta parallela, che era piaciuto molto in Italia a Stefano Fassina. Novità di queste ultime settimane, la doppia moneta viene evocata anche da Silvio Berlusconi. Allora, l’Unione europea intervenne con 86 miliardi di euro. E Syriza vinse le elezioni di settembre con il 35 per cento dei voti. Varoufakis, uscito dal governo, ha scritto un denso volume intitolato in italiano “I deboli debbono morire” (è stato pubblicato nell’ottobre scorso da La nave di Teseo) e si vuole impegnare nella costruzione di un movimento di sinistra europeo (quante sinistre in questo Vecchio Continente si contendono da sempre il cuore del popolo e la mente dell’intellighenzia?). La sua tesi è che la crisi attuale risale addirittura al ferragosto 1971 quando Richard Nixon decise di abbandonare il legame esclusivo del dollaro con l’oro, stabilito dagli accordi monetari di Bretton Woods del 1944. Insomma, i guai europei di oggi sono colpa dei comportamenti americani di allora. Può darsi; c’è chi vorrebbe ripristinare cambi fissi tra le principali valute, chi sogna una banca centrale mondiale, e anche chi pensa che il toccasana sia un ritorno all’oro quale ancoraggio sicuro e limite alla creazione di moneta. Ma quella di Varoufakis è in realtà una invettiva contro l’euro. Non mancano pagine di fuoco sull’Italia, bordate a Mario Monti e veleni sulla caduta del governo Berlusconi nel 2011. Tra i suoi bersagli c’è anche Mario Draghi e la Banca centrale europea. Insomma, un libro di sinistra, ma che potrebbe piacere anche ai populisti di destra.

 

Tsipras ha tenuto saldo il timone. E s’ è confermato uomo d’onore. Ma ha davvero seguito la rotta indicata o non ha perso anche lui la trebisonda? Gli ultimi sondaggi dell’autunno scorso davano Syriza in continua discesa, ormai avrebbe solo il 17 per cento dei consensi, la metà di Nuova Democrazia il partito conservatore guidato da un leader quarantottenne, Kyriakos Mitsotakis, figlio d’arte (il padre Konstantinos è presidente onorario del partito) con studi a Harvard e carriera in banca via McKinsey. Tuttavia si vota solo tra due anni e mezzo se le cose non precipitano, inoltre bisogna tener conto che il primo ministro greco si trova stretto in una tenaglia micidiale: da una parte la pressione dell’Unione europea e del Fondo monetario perché mantenga gli impegni per il risanamento economico e l’austerità fiscale, dall’altra la crisi dei rifugiati che ha rinnovato le tensioni con il nuovo Sultano, Recep Erdogan. L’accordo fra la Ue e la Turchia ha frenato l’afflusso da 5 mila a 50 al giorno,

Secondo Ted Malloch, diversi economisti greci starebbero studiando il modo di lasciare l’euro per adottare il dollaro

ma le frontiere balcaniche sono bloccate e in Grecia oggi vivono nei campi 60 mila persone, quasi tutte provenienti dal Medio oriente e dalla Siria; in rapporto alla popolazione, è come se l’Italia dovesse ospitarne quasi mezzo milione.

 

La maggioranza parlamentare è appesa a tre deputati, mentre dentro Syriza si fa sentire la fronda del No, i nostalgici dell’opposizione sempre e comunque. “Se la Spagna può avere un governo senza maggioranza, allora io potrò pur averne uno con tre voti di margine in Parlamento”, ha spiegato a un gruppo di giornalisti europei. La destra di Alba Dorata è stata ridimensionata, ma attende il peggio e spera nell’effetto traino di una eventuale vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali francesi ai primi di maggio. La Brexit ha dimostrato che il pericolo per l’Europa non viene da sinistra, nemmeno dalla sinistra radicale. L’esperimento greco e quello spagnolo hanno messo in luce con una chiarezza cristallina che il nuovo gauchisme mediterraneo porta in un vicolo cieco. Le ricette alternative si sono sciolte come luce al sole. Governare è stata una prova micidiale e bisogna dare atto a Tsipras di aver tenuto testa alle sirene dell’utopia, ma ancor più alle vipere dell’intransigenza ideologica. Adesso, però, non può continuare a galleggiare fino all’autunno del 2019, tanto meno se la crisi del debito s’aggrava e la troika mette di nuovo Atene con le spalle al muro. Tra quelle sirene che avevano fatto perdere la testa ai nocchieri greci, tornano a cantare le voci di chi vuole sconfessare il debito. Dalla parte opposta c’è il cinico realismo dei banchieri, i quali fanno un po’ di conti e mostrano che un debito tanto elevato non potrà mai essere rimborsato nei secoli dei secoli. E’ il Monte dei Paschi di Atene, dove però i non performing loans, i crediti deteriorati, non potranno mai essere scorporati e affidati a una bad bank, perché tutti i greci, chi più chi meno, sono debitori.

 

L’ultima cura, quella da cavallo, dunque, sarebbe legata a una remissione del debito, per lo meno parziale, cancellando i crediti inesigibili. Ma chi paga questo write-off? Fino al 2015 avrebbero pagato le banche che avevano finanziato la Grecia un po’ come Mps ha finanziato Siena. Adesso toccherebbe a tutti i contribuenti europei, sarebbe un bail in di massa. Il Fmi se ne rende conto, ma pensa che sarebbe peggio continuare a versare denaro in un pozzo senza fondo. La posizione della Ue è diversa. In sostanza cerca di temporeggiare con qualche altra aspirina, convinta che i conti non possano che migliorare, il bilancio pubblico mostrerà un avanzo primario (cioè entrate e uscite al netto degli interessi) sempre più positivo con una crescita del prodotto lordo ormai consolidata. E a quel punto il debito sul pil non potrà che scendere.

 

La questione più importante, scrive Tony Barber sul Financial Times, è se la medicina della troika è riuscita a modernizzare lo stato ellenico. In realtà dal 2010 a oggi la raccolta delle imposte, spia di uno dei problemi più gravi, s’è ridotta nonostante gli sforzi di migliorare il sistema e combattere l’evasione. Secondo Yannis Papantoniou, ex ministro delle Finanze dal 1996 al 2004 nel governo del Pasok guidato da Costas Simitis, “lo stato della sanità, dell’istruzione. della giustizia e della pubblica amministrazione è peggiore che mai”. Ma forse il suo è un pregiudizio politico. Papantoniou, economista di fede socialista, è l’uomo che ha accompagnato l’ingresso nell’euro, ma è anche colui il quale non si è accorto (per usare un eufemismo) dei magheggi finanziari compiuti per dimostrare che il paese era pronto.

 

La continua ricerca di scorciatoie adesso trova nuovo alimento nella dollarizzazione proposta da Malloch. L’economista americano è uno che le spara grosse e lo ha fatto anche a proposito di se stesso. Il Financial Times ha scritto che la sua autobiografia falsifica e gonfia il curriculum, sostiene di aver insegnato a Oxford, di aver concluso gli studi in soli tre anni e di aver ricevuto una speciale onorificenza dalle mani della regina Elisabetta (il Sovrano ordine di San Giovanni) invece era una medaglia di St. John. Peccatucci che la vanità ispira in ogni latitudine. Malloch potrebbe essere definito un vantone, un miles gloriosus. Può darsi che la sua sia solo una provocazione intellettuale, in ogni caso dimostra che non esiste la possibilità di una moneta B per paesi che non sono in grado di garantire un ancoraggio solido alla propria valuta. Dunque, o euro o dollaro, su questo il futuro ambasciatore non sbaglia. Il guaio è che propone per la Grecia, tra debiti e dollarizzazione, il modello Argentina. E sappiamo tutti com’è finita.

 

C’è anche chi tra gli euroscettici di casa nostra, è arrivato a presentare il paese sudamericano come un esempio positivo, dimenticando che nessuno è in grado di calcolare a Buenos Aires e dintorni quanto corrono i prezzi. Con Cristina Kirchner l’inflazione era arrivata a un tasso del 30 per cento. I dati dell’Istituto di statistica sono considerati inattendibili, tanto che il presidente Maurizio Macri, appena insediato, ha sospeso per sei mesi ogni rilevazione per dare modo di rivedere il meccanismo di calcolo. Con il nuovo indice, la crescita dei prezzi al consumo ha toccato il 40 per cento e Macri, scontento del risultato, ha licenziato Alfonso Prat-Gay, ministro dell’Economia considerato potente e competente. Se la Grecia non vuole finire così, diventa inevitabile aiutarla a risanare l’economia interna e rinegoziare il debito, continuando ad allungare le sue scadenze con tassi d’interesse al minimo. Rinegoziare? Di nuovo? Sarebbe una rinegoziazione definitiva, tombale, dicono gli esperti. Sì, tombale; proprio come i condoni italiani. Ma chi è senza debito scagli la prima pietra.

Di più su questi argomenti: