La terza città della Norvegia, Trondheim, che ha appena approvato il boicottaggio delle merci israeliane. In Svezia intanto si trasmettono in tv documentari contro la “lobby ebraica” negli Usa

Il nord estremo

Giulio Meotti

In Scandinavia nascono le “città deisraelizzate”, come da noi ci sono i comuni denuclearizzati. La penisola dei pacifisti e degli antisemiti

Lo scorso luglio, il premier israeliano Benjamin Netanyahu è andato alla Knesset, il parlamento di Gerusalemme, a presentare la mappa aggiornata degli stati amici e nemici di Israele. Soltanto cinque paesi sono apertamente ostili allo stato ebraico: Iran, Iraq, Siria, Afghanistan e Corea del Nord. Poi ci sono i paesi amici, sempre di più, compresi tanti stati africani che un tempo non avevano relazioni diplomatiche con Israele. Ma guardando bene la mappa si vede come una regione in Europa per la prima volta è passata dal colore blu dell’amicizia al grigio dell’inimicizia. E’ la Scandinavia. Le volte che si cita la Norvegia nei media internazionali è per dire che i suoi abitanti e il suo governo rappresentano gran parte di ciò che vi è di buono al mondo. Il Global Peace Index la colloca fra i paesi più pacifici del mondo. E’ al vertice della libertà di stampa secondo Giornalisti senza frontiere. E’ uno dei paesi meno corrotti del mondo secondo Transparency International. E’ al quarto posto per l’impegno negli indici di sviluppo. Ma c’è un numero che è come una macchia nella storia della Norvegia. Soltanto venticinque ebrei ritornarono dai campi di sterminio. In Danimarca, i piani nazisti fallirono per la generosa solidarietà della popolazione con i perseguitati e gli israeliti fatti fuggire in Svezia. Gli ebrei norvegesi non sfuggirono agli artigli di Adolf Eichmann. Infatti in Norvegia sopravvissero solo venticinque ebrei dei 710 che erano stati portati nei campi di concentramento. Per questo hanno fatto discutere le recenti parole di Hanne Nabintu Herland, storica delle religioni e autrice di bestseller, che ha accusato la Norvegia di essere “il paese occidentale più antisemita”.

La conferma è arrivata nei giorni scorsi, quando la terza più grande città della Norvegia ha votato per il boicottaggio di tutti i beni e servizi prodotti negli insediamenti israeliani. Il Consiglio comunale di Trondheim, famosa per l’aurora boreale, ha approvato la mozione che recita: “Il comune si asterrà dall’acquisto di beni e servizi prodotti nei territori occupati”. Il consiglio comunale chiede ai residenti anche di boicottare personalmente i beni e i servizi israeliani. Una città che aspira a essere “deisraelizzata”, così come ci sono i comuni denuclearizzati in Italia. Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia: eccoli i paesi che odiano di più Israele in occidente. L’estremo nord scandinavo. Nelle settimane prima di questo voto, il Teatro nazionale norvegese ha aperto con un drammatico videoclip la Biennale internazionale Ibsen a Oslo. Con un video che richiede il boicottaggio del Teatro nazionale di Israele, l’Habima di Tel Aviv. Finanziata dal governo di Oslo e mandata in onda al festival, la clip mostra un’attrice che posa come portavoce del Teatro nazionale, e invoca il boicottaggio del teatro israeliano. L’attrice nel film, Pia Maria Roll, si “scusa pubblicamente per la nostra collaborazione vergognosa con Habima, il Teatro nazionale di Israele”, aggiungendo che la cooperazione è servita a “normalizzare l’occupazione israeliana”. Pia Maria Roll definisce Israele uno stato “basato sulla pulizia etnica, il razzismo, l’occupazione e l’apartheid”.

Il ministero degli Esteri di Israele ha risposto rievocando quel numero terribile, venticinque, per dire che il video di sette minuti ricorda “i collaborazionisti norvegesi Vidkun Quisling e Knut Hamson”. La Norvegia è il paese europeo più esposto e impegnato nelle campagne contro Israele, nel mondo degli affari, in diplomazia, nei finanziamenti alle ong, nei giornali, nella cultura. Bruce Bawer, il giornalista americano che vive in Norvegia e che ha partecipato al convegno del Foglio a Roma “Israele, frontiera dell’Europa”, ha scritto che “l’élite culturale norvegese ha sostituito l’affinità con l’Unione sovietica con l’altra grande ideologia totalitaria del nostro tempo: l’islamismo”. Basta chiederlo ad Alan Dershowitz, il principe del foro americano, professore di Legge a Harvard, consulente legale del fondatore di WikiLeaks Julian Assange, che si era offerto per un tour gratuito di lezioni sul diritto internazionale, Israele e le guerre in medio oriente. E’ successo che tutte le università norvegesi si sono rifiutate di ospitarlo, opponendogli un rifiuto radicale e giustificato così: “Non parli d’Israele”. Dershowitz ha loro ricordato che soltanto altri due paesi si erano opposti alle sue lezioni: il Sudafrica dell’apartheid e l’Unione sovietica. “Perché ero l’avvocato di Nelson Mandela”, ricorda il professore. Nel 2009 una proposta di boicottaggio accademico contro Israele era stata promossa proprio dall’Università norvegese di Trondheim. Se approvato, il boicottaggio sarebbe stato il primo del suo genere in una università europea.

Per fortuna, non è riuscito. L’iniziativa di boicottaggio è iniziata con una lettera, firmata da 34 professori e assistenti all’università, sostenendo che le università israeliane e altre istituzioni di istruzione superiore “hanno giocato un ruolo chiave nella politica di oppressione” di Israele. Sembra che il paese, oltre a lenire le ferite del Terzo mondo, sia tutto impegnato a delegittimare Israele. Il ministero delle Finanze norvegese ha escluso aziende israeliane, come Africa Israel Investments e Danya Cebus, dal Pension Global Fund, il fondo che investe la ricchezza di petrolio e gas del paese nordico in titoli esteri e obbligazioni e che detiene più dell’un per cento di tutti gli stock globali. Il sindacato norvegese EL & IT, che rappresenta oltre trentamila lavoratori dell’energia e delle telecomunicazioni, ha poi adottato il boicottaggio dell’Histadrut, lo storico sindacato di Israele. In Norvegia l’antisemitismo ha influenzato anche i cosiddetti “intellettuali”. Uno è Johan Galtung, il sociologo norvegese soprannominato il “padre degli studi sulla pace”, che ha fatto dichiarazioni antisemite e anti-israeliane durante le sue lezioni all’Università di Oslo, dove ha affermato che esiste un possibile collegamento tra i responsabili del massacro a Utoya in Norvegia e il Mossad. I giornali norvegesi sono pieni di classici dell’antisemitismo. Una caricatura nel più grande quotidiano, il Verdens Gang, mostra l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert mentre si rasa, si guarda allo specchio e vedere il leader di Hezbollah Hasan Nasrallah; i piedi di Olmert sono quelli di un animale. L’ebreo come subumano. L’Aftenposten, conservatore, è il secondo più grande quotidiano della Norvegia: una sua vignetta ha mostrato la bandiera israeliana rosso sangue gocciolante. Un’altra vignetta, sempre dell’Aftenposten, dal titolo “Una migliore specie di essere umano”, mostra un topo che mangia la stella di David. Questo umore anti-israeliano degenera spesso in recrudescenza antisemita.

Martin Bodd, un rappresentante della comunità ebraica di Oslo, in una conferenza internazionale della Anti-Defamation League, ha osservato che ci sono stati più attacchi agli ebrei negli ultimi due anni che in qualsiasi momento dal 1945. Il Dagbladet ha pubblicato una vignetta in cui i terroristi palestinesi liberati in cambio di Gilad Shalit provengono da una prigione con il simbolo nazista di Buchenwald: “Jedem Das Seine”. E’ successo che Evelyne Zeira, che lavora nel laboratorio di terapia genica all’ospedale di Gerusalemme Hadassah, abbia chiesto alla ricercatrice norvegese Ingrid Harbitz materiale per sviluppare trattamenti per le vittime palestinesi della thalessemia, una malattia del sangue. Harbitz ha risposto: “A causa della situazione attuale in medio oriente, non voglio consegnare materiale a un (sic) università israeliana”. Gli ebrei israeliani non meritano il sangue norvegese! Durante la guerra di Israele contro Hezbollah, il quotidiano Aftenposten ha pubblicato un articolo in cui Jostein Gaarder, il più famoso scrittore della Norvegia, ha immaginato la distruzione di Israele. Gaarder, il cui libro “Il mondo di Sofia” è stato tradotto in 53 lingue e che ha venduto 26 milioni di copie, ha previsto l’espulsione di tutto il popolo ebraico dalla sua terra. Nessun antisemita dopo l’Olocausto si era mai avventurato in questo terreno. Lo hanno fatto i quisling socialdemocratici. Se ci si sposta in Svezia, la situazione non cambia. L’ex ministro svedese, Mehmet Kaplan, di origini turche, ha preso parte all’assalto della Freedom Flottilla del 2010 e ha chiesto la “liberazione di Gerusalemme” durante un raduno pro palestinese. Un altro ministro, quello dell’Istruzione Gustav Fridolin, si è fatto arrestare di fronte alla barriera anti terrorismo costruita da Israele.

Nei giorni scorsi la tv pubblica svedese ha trasmesso “The Occupation of the American Mind: Israel’s Public Relations War in the United States”, un film complottista su come la lobby israeliana detti legge negli Stati Uniti. Durante la Seconda Intifada, a Stoccolma, la foto di una kamikaze palestinese sorridente veleggiava su una barca bianca in una vasca piena di liquido rosso sangue. “Biancaneve e la follia della verità”, questo il titolo dell’opera esposta al museo di Stoccolma. Il 17 agosto 2009 le pagine culturali dell’Aftonbladet, il più venduto quotidiano svedese, pubblicarono un articolo di Donald Bostrom in cui, senza prove, scriveva che l’esercito israeliano, in combutta con l’establishment medico, aveva rapito palestinesi per prendere i loro organi. Il Dagens Nyheter, il più sofisticato quotidiano svedese, ha anche pubblicato uno dei più violenti e antisemiti editoriali che si ricordino, dal titolo “E’ permesso odiare gli ebrei”, in cui l’autore, lo storico delle religioni Jan Samuelson, spiega che fino a che Israele occuperà i territori del 1967, l’odio per lo stato ebraico sarà giustificato. Dopo le stragi parigine del 13 novembre a Parigi, la ministra degli Esteri, Margot Wallström, disse che “per contrastare la radicalizzazione dobbiamo tornare alla situazione in medio oriente, dove i palestinesi vedono che non c’è futuro per loro e devono accettare una situazione disperata o ricorrere alla violenza”. L’ex presidente della Finlandia e premio Nobel per la Pace, Martii Ahtisaari, ha detto lo stesso: “L’Europa deve prestare attenzione alle ragioni della radicalizzazione. Avanzare il processo di pace in medio oriente è di fondamentale importanza. La questione di Israele e Palestina deve essere risolta”.

La “Notte dei Cristalli” del 1938 è stata commemorata in Svezia senza invitare le vittime di allora: gli ebrei. La compagnia aerea Scandinavian Airlines ha sospeso i voli verso Tel Aviv, a causa della “instabilità politica”. “Israele è un paese che dovrebbe essere sottoposto a critica nello stesso modo come qualsiasi altro”, dice al Foglio Hanne Nabintu Herland. “Detto questo, una forte forza motrice che contribuisce all’antisemitismo in paesi come la Norvegia e la Svezia può essere attribuita al notevole successo delle ideologie degli anni Settanta, fin da quando abbiamo visto forti movimenti anti-israeliani. Questi paesi sono stati particolarmente desiderosi di abbracciare l’ideologia neo-marxista introducendo nella nostra cultura il multiculturalismo, il femminismo radicale, l’internazionalismo socialista del ‘No Border’ e sentimenti anti-religiosi. L’elemento marxista si oppone con forza, come tutti sappiamo, ai valori europei tradizionali, la famiglia, la religione e così via. E’ strano vedere come i multiculturalisti spesso mostrano una notevole avversione per gli ebrei”. Come un famoso medico norvegese, Mads Gilbert, icona dell’umanitarismo, che dopo gli attacchi dell’11 settembre dichiarò al Dagbladet: “Gli oppressi hanno il diritto morale di attaccare con qualsiasi arma”. Poi ci sono i media. “Qualcuno dovrebbe prendere il proprio Phd su come il controllo dei media è diventato un importante strumento di oppressione nei paesi scandinavi, e le tattiche di bullismo e di molestie pubbliche siano usate contro giornalisti, editori e scrittori che non rispettano il politicamente corretto. E’ facile perdere la propria carriera nel mondo accademico, nei media, nelle case editrici e così via, se uno si oppone in qualsiasi modo. Dietro la facciata norvegese amante della pace vi è dura repressione in corso. Di conseguenza, i giornali sono inondati con le notizie quasi esclusivamente di parte su Israele, alimentando l’odio. La mia opinione è che difficilmente avrebbe potuto essere peggio nella Germania di Goering. Viviamo, ancora una volta, nel 1930. Questa ingiustizia prende corpo non solo contro gli ebrei, guardiamo la guerra in Libia, per esempio, e le atrocità orribili fatte contro quel paese”.

C’è un terzo fattore. “La crescente popolazione musulmana. A norvegesi e svedesi viene fatto il lavaggio del cervello”. Il trenta per cento della popolazione svedese è di origine straniera. Secondo Manfred Gerstenfeld, che all’estremo nord ha dedicato il libro “Under the humanitarian mask”, ci sono molti fattori. “Il primo è la tradizione luterana che odia gli ebrei. Il secondo è la forza dei partiti di sinistra, che hanno sviluppato posizioni anti-israeliane estreme. Questo si manifesta in accuse pubbliche a Israele da parte di governi, media, accademici, chiese, ong”. Intanto la sinagoga di Trondheim è diventata uno degli edifici più protetti di tutta la Norvegia. E Karsten Tveit, uno dei volti più noti della Nrk, la tv di stato norvegese, ha pubblicato un libro dal titolo “La colpa”. La colpa di Israele. La colpa di esistere.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.