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Segni di vita dal G7 di Taormina?

Mario Sechi

Washington e Parigi, città delle rivoluzioni, Londra cuore della rivoluzione industriale e del commercio. La navigazione riparte da dove è cominciata la storia della contemporaneità

San Filippo Neri

Un format in crisi ma… E infine arrivò il G7, un format diplomatico in crisi che a Taormina potrebbe dare qualche segno di vita. Dopo una successione di summit senza sostanza, ci sono almeno tre fatti nuovi:

  1. La rivoluzionaria presidenza Trump negli Stati Uniti;
  2. Il sottosopra del Regno Unito con la Brexit e Theresa May;
  3. La marcia di Emmanuel Macron che ha fatto rotolare come birilli socialisti e gollisti in Francia;

Piaccia o meno, queste tre nuove leadership sono l’esito di tre fatti politici pre-esistenti, persistenti e potenti:

  1. Il jacksonismo in versione reloaded dell’America profonda, con la sua diffidenza verso le élite, le accademie e i governi ombra;
  2. Il nazionalismo britannico e la sua naturale tendenza storica a cercare un nuovo inizio altrove;
  3. Il tribunale della Ragione dell’illuminismo francese e i suoi processi di distruzione creativa dello scenario politico.

Washington e Parigi, città delle rivoluzioni, Londra cuore della rivoluzione industriale e del commercio. La navigazione riparte da dove è cominciata la storia della contemporaneità.

 

Accanto a questi tre fattori nuovi, a Taormina ci sarà la continuità e solidità della Germania di Angela Merkel e il dinamismo della portaerei dell’Asia, il Giappone di Shinzo Abe. Mancano Cina e Russia, cioè gli agenti con i quali si fa poi il (dis)ordine mondiale.

Qual è il punto da segnare in agenda? Sono tanti, tra i quali lotta al terrorismo e immigrazione, ma è quello del commercio mondiale a essere potenzialmente il più significativo: il grado di apertura (o chiusura) del comunicato finale sul tema darà anche la cifra del summit e dirà se la presidenza italiana ha ottenuto un buon risultato diplomatico. Andrà così? Dipende da Trump: il rapporto con Shinzo Abe è ottimo, quello con Merkel spigoloso (ma entrambi sono pragmatici), con Macron è in fase di costruzione, con Gentiloni c’è la misura giusta, Theresa May è dello stesso ceppo del partito trasversale del fare ma con molte più sfumature e esperienza, con Justin Trudeau è scoccata una scintilla che nessuno si aspettava e non bisogna spegnerla. Se non prevale la sindrome del tutti contro Trump, arriva una buona conclusione. Se provano a mettere el Gringo all’angolo, si entra nella fase della Colt e difesa del ranch. Tra poche ore vedremo il finale. Che poi è solo l’inizio di una storia nuova della contemporaneità. Ci vuole fiducia. A proposito, come va la fiducia in Italia? Seguite il titolare di List.

 

Fiducia, calo record a maggio. Non è un buon dato, è un gong fragoroso e bisogna ascoltarlo con attenzione per capire cosa sta succedendo tra le famiglie e le imprese italiane. Ecco i numeri pubblicati dall’Istat: “L'indice del clima di fiducia dei consumatori e l'indice composito del clima di fiducia delle imprese diminuiscono passando rispettivamente da 107,4 a 105,4 e da 106,8 a 106,2”. Occhio alle aspettative delle famiglie:

C’è un brusco calo del saldo da -25 a -33 che dice qualcosa? Cosa: servono politiche che parlino e indichino una via concreta verso il futuro.

 

Attenti agli inglesi. Si vota l’8 giugno e come spesso capita nei turni elettorali il divario tra i partiti si sta assottigliando. Nel caso inglese, siamo di fronte a un fatto tragico, la strage alla Manchester Arena, che sta scatenando un mix di sentimenti contrastanti tra gli elettori. Quali? Se il sondaggio di YouGov trovasse una conferma nelle urne, saremmo di fronte a un cambiamento netto del clima politico. Cosa succede? Ecco i numeri:

Dopo l’attentato la fiducia nei confronti del premier Theresa May è salita e così anche quella per i Conservatori, ma non ai livelli record delle settimane precedenti. La fiducia nel leader del Labour, Jeremy Corbyn, è precipitata e così pure anche quella nei laburisti. Conclusione? I Tories per ora vincono ma il margine è più stretto del previsto:

Sono inglesi, pragmatici ma imprevedibili fino all’ultimo secondo. Come diceva il poeta Novalis: “Ogni inglese è un’isola”.

 

Il genero e l’Fbi. A che ora è l’impeachment? Non si sa, l’orologio è in un campo magnetico e le lancette girano senza logica. Il piano accelerato riguarda il genero di Trump, Jared Kushner, che sarebbe sotto osservazione dell’Fbi per due incontri nel dicembre scorso con un diplomatico e un banchiere russi. Kushner ha già fatto sapere che non avrà alcuna difficoltà a collaborare con gli investigatori. E’ roba che scotta? Non pare, siamo a quello che abbiamo visto durante la campagna presidenziale: molte chiacchiere, fonti anonime, leaks, ma zero tituli. Attendiamo, come sempre, i fatti.

 

26 maggio. Nel 1868 termina il processo per l'impeachment del Presidente degli Stati Uniti Andrew Johnson. Verdetto: innocente. Per un voto. 

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