Matteo Renzi (foto LaPresse)

La confusione nel Pd spiegata in sei punti

Mario Sechi

Rinviare il congresso? Operazione da stuntman della politica, ma il tema è là, scoperchiato con un sussurro da chi vede la mappa del Pd sempre più illeggibile e piena di botole da giungla vietnamita

San Tiziano (la cinica ironia del calendario dei santi)

 

Rinviamo? Democratico barra al centro: “Che ne pensi se proviamo a rinviare il congresso?”. Democratico barra a sinistra: “Ma come? Ha fatto di tutto per accelerare…”. Clic! E’ la telefonata intercorsa ieri tra due esponenti del Pd che contano qualcosa quando si tratta di muovere le pedine della diplomazia delle correnti. Non è stata l’unica, il bip bip del sonar di profondità del partito dice che i guai giudiziari dei Renzis stanno squassando gli equilibri interni più di quanto si immagini. Rinviare il congresso? Operazione da stuntman della politica, ma il tema è là, scoperchiato con un sussurro da chi vede la mappa del Pd sempre più illeggibile e piena di botole da giungla vietnamita. I problemi si stanno accumulando, eccoli squadernati sul taccuino del titolare di List:

Segreteria. Renzi non ha più la certezza di toccare nelle primarie quota 50+1 e evitare il ballottaggio con il secondo arrivato. Se fallisce l’aggancio con la maggioranza assoluta, la sua segreteria evapora di fronte a un accordo in assemblea dei delegati delle altre correnti. In zona Franceschini cominciano ad avanzare dubbi sulla capacità di Renzi di conquistare la segreteria al primo colpo, le fila di Orlando si stanno ingrossando, Emiliano sta agganciando alleati nel territorio;

Luca Lotti. La mozione di sfiducia del M5s è come una boa luminosa piazzata sulla rotta pericolosa dei renziani. Non ci sono i numeri teorici per farla passare, ma ci sono le condizioni pratiche per l’incidente d’aula e l’ennesima spaccatura a sinistra. Il parlamento è sonnecchiante, rabbioso e balcanizzato. Lotti ostenta sicurezza, ma se Gianni Cuperlo lo invita a farsi da parte, significa che qualcosa di strano sta accadendo dentro il partito e nel gruppo parlamentare;

Gentiloni. Un surreale Angelino Alfano ieri assicurava: il governo di Paolo Gentiloni non rischia. Lo diceva mentre scioglieva Ncd, il partito in polvere. Il governo invece rischia di fracassarsi sugli scogli perché Lotti è l’ombra di Renzi a Palazzo Chigi. Se Lotti fa il passo indietro, al suo posto deve arrivare un altro raccoglitore e tessitore di sospiri. Renzi non si fida di nessuno, solo di Lotti. E non lo mollerà mai, la prova è nel social. Ieri Lotti ha scritto una nota su Facebook: 

Poi l’ha rilanciata su Twitter e Matteo Renzi l’ha prontamente ritwittata:

Lotti proverà a resistere, la durata è incerta. Renzi non ha scelta, il destino è comune: simul stabunt vel simul cadent, insieme staranno o insieme cadranno. Vale anche per il governo.

Tiziano. Passeggia sui vetri. Tiziano Renzi oggi verrà interrogato dai magistrati che indagano sugli appalti Consip. Dovrà confutare la testimonianza resa ai magistrati dal numero uno di Consip, Luigi Marroni. Se Renzi padre non riesce nell’impresa di chiarire la sua posizione, si aprono scenari difficili da sostenere per Renzi figlio.

Marroni. Toscano, renziano, nominato dal governo Renzi alla guida di Consip, è l’anello che si è spezzato nella catena della fiducia. E’ rimasto al vertice di Consip, una posizione difficile da sostenere sul piano politico dopo la pubblicazione ieri dei suoi verbali sull’Espresso.

Verdini. Compare nell’inchiesta Consip, ieri è stato condannato a nove anni in primo grado per il crac del Credito Fiorentino. Verdini è una figura politica che si muove in maniera autonoma, in questa stagione è stato (è) un pezzo forte (e mobile) della diplomazia parlamentare renziana. E’ ancora importante nel gioco di alleanze trasversali tra Montecitorio e Palazzo Madama.

Sintesi: Renzi è depotenziato e incerto sul da farsi (basta osservare la sua campagna di comunicazione, a dir poco sbiadita), non c’è per ora una strategia se non quella dell’arroccamento; i suoi avversari nel Pd, dopo aver ingoiato un congresso accelerato, non concederanno niente; resta il favorito, ma la conquista della segreteria ora è impresa da crono scalata; il governo gli sta sfuggendo di mano; i numeri in aula dopo l’allegra scissione ballano; la trattativa sulla legge elettorale si svolge per lui in una posizione di difesa; la data delle elezioni si sta materializzando nel 2018.

 

Mattarella e Gentiloni. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non ha nessuna intenzione di lasciar correre avventure elettorali al buio, l’asse tra ex democristiani con il premier Paolo Gentiloni si è rinforzato. Il silenzio del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica in realtà è eloquente: è in corso un rafforzamento delle difese dell’esecutivo, in attesa di vedere come si evolve la vicenda giudiziaria che tocca la famiglia Renzi. Entrambi sanno che il congresso del Pd è entrato in una fase di confusione totale.  Ieri il capo dello Stato ha consegnato i premi Leonardo (nel suo intervento ha criticato il protezionismo di Trump, senza mai citare il presidente americano), al suo fianco c’erano il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e il ministro dell’Economia Carlo Calenda. Coppia da tenere d’occhio, perché Calenda è sempre più distante – e autonomo - dalla linea politica del Pd renziano e vicinissimo al mondo delle imprese che ieri appoggiò il rottamatore con convinzione e oggi lo osserva come un oggetto misterioso in un cielo senza stelle che brillano. Il domani è dietro l’angolo, ma nessuno sa cosa accadrà. Servirà un candidato a Palazzo Chigi. Ancora Renzi? Non sarà facile. Oggi Mattarella sarà a Lucca per celebrare la figura di Maria Eletta Martini, si attende un intervento del Quirinale sul valore della stabilità in un momento di incertezza. Vedremo, di questi tempi, perfino il silenzio ha un significato chiaro.

 

Giornali. Sui quotidiani il caso Consip è un rodeo, apertura obbligata di tutti, con sfumature varie ma coincidenti in un punto: la situazione è grave e pure seria. Fatto Quotidiano e Verità, i due giornali che hanno cavalcato per primi l’inchiesta, sono all’attacco. Titolo del Fatto: “Così Lotti & Co. mi avvertirono su indagini e cimici in Consip”. Titolo de La Verità: “Va in pezzi il sistema Renzi”. Il Corriere della Sera non nomina Renzi nel titolone: “Accordi e soldi per avere gli appalti”. Repubblica invece punta dritto al cuore del problema: “Pressioni dal padre di Renzi”. La Stampa impagina il titolo giusto sul piano politico: “Assedio a Renzi, primarie in forse”. Il miglior pezzo di cronaca giudiziaria è di Giovanni Bianconi sul Corriere, con un titolo micidiale a pagina 2: “Il sospetto sul pagamento al papà di Renzi: Il dottore è soddisfatto?”. Cronaca di Palazzo da leggere su Repubblica, di Goffredo De Marchis, dove Renzi non si ritira, Franceschini spera in un chiarimento rapido della posizione di Tiziano Renzi per occuparsi di nuovo del congresso, Orlando tace, Emiliano incassa, i timori di uno sfaldamento del Pd diventano il tam tam di giornata. C’è il timore che Lotti cada nel classico sottosopra d’aula e passi la mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 stelle. Chi lo salverà? E’ il pensiero di un attimo: Forza Italia? Sul Giornale Alessandro Sallusti tiene la posizione garantista, ma in realtà la storia, ancora una volta, è tutta una questione di famiglia, a sinistra.

  

3 marzo. Nel 1426 la Repubblica di Venezia dichiara guerra a Milano.

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