Donald Trump con la moglie Melania (foto LaPresse)

Il problema non è Trump, ma chi ha governato prima di lui

Mario Sechi

Washington volta pagina: è l’alba dei Miserabili. La crisi del 2008 e il cortocircuito che Obama ha riparato con la finanza e la crescita hi-tech, una ripresa con poco lavoro e crescente delocalizzazione

San Fabiano.

Trump Day. E alla fine arrivò il giorno. Quel giorno. Trump alla Casa Bianca. E’ il momento in cui tutto quello che è stato detto, letto, consumato nel take away del rancore svanisce. Puf! Quel giorno. The Donald nello Studio Ovale. Ieri abbiamo avuto un prequel serale del nuovo presidente americano: Make America Great Again al Lincoln Memorial, un bellissimo spettacolo, celebrity-free, il concerto che alterna la musica della patria, suonata dalle bande musicali militari, il country di Toby Keith e le videostar di YouTube, senza aspirazioni pedagogiche di massa e retorica in progress.

Fuochi d’artificio finali stupendi e domani (oggi) è un altro giorno, Washington volta pagina: è l’alba dei Miserabili.

Il Wall Street Journal sintetizza così la giornata che sta per cominciare:

E’ il sommario a fare la differenza, suggerire la lettura e l’analisi: “Culmination of a decadelong political uprising”. Dieci anni. Tutto parte dalla crisi finanziaria del 2008, il cortocircuito che Obama ha riparato con la finanza e la crescita hi-tech (con la cassa all’estero), una ripresa con poco lavoro e crescente delocalizzazione con una bandiera che sventola sul suolo americano: quella della Cina. Negare a oltranza il problema – negli Stati Uniti e in Europa – ha condotto inevitabilmente al sottosopra politico. Nota sul taccuino del titolare di List: “Non hanno imparano mai”. Sì, perché in queste ore continua il giochino del non c’è niente di meglio di quello che c’è. Che errore, un consiglio gratis: leggere questa ricerca pubblicata dal National Bureau of Economics, intitolata “The Fading American Dream: Trends in Absolute Income Mobility Since 1940”. La fine del sogno americano, questa è la conclusione: “La frazione di figli che guadagnano più dei loro genitori è scesa da circa il 90 per cento per i nati nel 1940 a circa il 50 per cento per i nuovi nati che entrano nel mercato del lavoro di oggi. La mobilità del reddito assoluto riguarda tutta la distribuzione del reddito, il calo maggiore è nelle famiglie della classe media”. E ancora: “Gran parte del declino nella mobilità assoluta è causato dalla ineguale distribuzione della crescita economica negli ultimi decenni e non dal rallentamento del tasso di produzione. In questo senso, l'aumento della disuguaglianza e la diminuzione della mobilità assoluta sono strettamente legate”. Il problema diventa ancora più incandescente nelle zone dell’America esposte all’import accelerato della Cina. La conseguenza – esistono altri studi molto precisi sul tema – è la rivoluzione nei collegi elettorali. Così sono nati i Miserabili. E tanti saluti. Il problema non è Trump, che ancora deve fare il suo corso, ma chi ha governato prima di lui.

 

Democratici e mainstream media. Sono ancora nella fase dell’elaborazione del lutto, ci rimarranno forse per sempre, viste le argomentazioni in campo contro Trump. Vedere la Cnn è molto istruttivo, offre la cifra stilistica della faccenda. Ieri Wolf Blitzer nel suo programma The Situation Room è riuscito nell’impresa di mandare in onda un servizio che si chiedeva chi sarebbe salito al comando nel caso che oggi Trump e Pence spariscano, cioè vengano ammazzati. Il titolo “gentile” del servizio è usa la formula “inaugural disaster”. Disaster? Un’alluvione su Washington? Trump e Pence scivolano dal marciapiede e si spezzano in contemporanea l’osso del collo? The Donald fa indigestione di Big Mac e schiatta? Pence ingerisce dieci burritos e crepa nel contorcimento di budella post-inaugurale? Gli squali trash del film Sharknado balzano fuori dal Potomac al grido di Hillary for President e divorano tutti? “Inaugural disaster” è il gioco distopico con il cecchino della memoria americana. Giornalismo? Imbarazzante.

Questa vignetta riassume il clima tra gli oppositori di Trump:

Trump è il dado della storia che ha sballato tutti i calcoli dell’algoritmo democratico. Bisogna levarselo di torno. E l’impeachment è il prossimo passo, il copione è già scritto. Processato per cosa? Ah, quello è un dettaglio sul quale stanno lavorando da tempo. Wait and see.

Zuckerberg, il candidato da 1984. Il nome che illumina gli occhi dei Democratici e delle loro filiali sparse per il mondo – Italia compresa – è quello di Mr. Facebook. In America sarebbe la realizzazione della più grande distopia mai vista. Nel caso dei nascenti supporter italici è il paradosso in bit di quelli che hanno fatto la guerra a Berlusconi come magnate dei media e oggi fanno il tifo in 140 caratteri per uno che ha un social network con oltre un miliardo di utenti attivi in tutto il mondo. Sostenere la candidatura alla Casa Bianca nel 2020 di un tipo che ha il controllo dei dati di un miliardo di anime e sul suo social network conduce esperimenti psicologici sugli utenti per deviarne le emozioni (si sono scusati, gli sbadati) è davvero mirabile. Contro Trump, va bene tutto. Anche il superamento di Orwell. Il futuro? E’ tutto in questa foto:

Lui ride a volto scoperto. Voi vi bruciate il cervello. Tanti auguri.

 

Cina e semiconduttori. Non c’è solo l’acciaio tra i settori chiave della battaglia futura tra Stati Uniti e Cina. Il mercato dei semiconduttori è un altro teatro dove vedremo presto scintille. E’ un dossier che interessa anche i tycoon della Silicon Valley e per questo Trump non subirà il trattamento del protezionista ma del campione dell’industria (e della sicurezza) americana. Nelle settimane scorse la Germania, su consiglio degli Stati Uniti, ha fermato l’acquisizione di Aixtron, azienda hi-tech tedesca che stava per essere acquistata da un fondo cinese. Siamo solo all’inizio di una storia ad alto voltaggio. E qualcuno resterà fulminato.

 

Un giorno alla Camera. Torniamo in Italia e andiamo a Montecitorio. Che fanno? L’ordine del giorno è una meraviglia e ancor più eccitante è la lettura delle interpellanze urgenti presentate, cose che cambiano il volto del paese, ne tracciano il destino. Alcuni esempi, per dare finalmente alla giornata un senso, un’idea di contemporaneità: il riconoscimento come ente religioso della «Congregazione Italiana per la Coscienza di Krishna»; accertamento della sicurezza e dell'incolumità pubblica nei poligoni di tiro privati; il collasso finanziario del comune di Castel Volturno (battono cassa); il difetto di produzione del bollino dei medicinali; la fondamentale istituzione a Santo Domingo di un'ambasciata d'Italia; la promozione delle sigarette elettroniche, cribbio.

 

Tagli a Raggi. Fine della musica. Il Comune di Roma ha debiti stellari, dunque arrivano i tagli. Dove? Si premia l’Atac per lavorare meno e in fondo il trasporto pubblico va alla grande e quelli dell’Ama no, perché raccolgono la spazzatura dalle strade che è una meraviglia, dunque niente si tocca. Tagliamo i contributi alla cultura, che tanto loro non ci votano. In fondo è tutta una roba de sinistra, so’ tutti vertroniani, si sono detti i grillini in Campidoglio. Risultato: il contributo per la Fondazione Musica per Roma passa da 3,7 milioni di euro nel 2016 a 3 milioni per il 2017; il contratto di servizio tra Comune e Fondazione per la gestione dell'Auditorium becca una sforbiciata da quasi 300 mila euro (da 3.299.000 a 3 milioni di euro), in totale Musica per Roma si ritrova con 1 milione di euro in meno, può tranquillamente chiudere i battenti o fare spettacolini come quelli che i romani hanno potuto assaporare l’ultimo giorno dell’anno, una cosa memorabile, il deserto acustico. L’Accademia di Santa Cecilia, una delle più antiche istituzioni musicali del mondo, tra le migliori in Europa, passerebbe da un contributo di 3.760.000 euro a 3,3 milioni. Tutto a posto, sono tempi che vanno a 45 giri, gracchiano, la puntina salta nel solco: “Ecco la musica è finita / gli amici se ne vanno / che inutile serata amore mio / ho aspettato tanto per vederti /ma non è servito a niente”. Altro che melodia, se metti un asino al comando, quello raglia.

 

20 gennaio. Nel 1945 Franklin Delano Roosevelt diviene presidente degli Stati Uniti per la quarta volta. FDR sarà l’unico presidente della storia a ricoprire la carica per più di due mandati.

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