Foto LaPresse

L'Homo Davos si è perso tra l'inizio dell'èra Trump, Xi e la Brexit di May

Mario Sechi

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è appena iniziata e in Svizzera si applaude Xi, il comunista, e si spera in silenzio che la corsa di The Donald, il costruttore di Manhattan, deragli

Santi Mario, Marta, Abaco e Audiface

 

Inauguration Day. Mancano 24 ore all’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Festa a Washington, gente che vuole fare la festa a The Donald in strada. Sarà una parata celebrity-free (ottimo) e Trump ha segato di netto l’appuntamento con la pista da ballo. Obama e Michelle inaugurarono dieci balli, George W. Bush otto, il costruttore di Manhattan non ama piroettare come Barack e ha ridotto il programma a tre eventi danzanti. Obama accompagnerà Trump, ci sarà un the alla Casa Bianca e poi, dear Barack, you’re fired.

 

China War. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è appena iniziata: Wilbur Ross, prossimo segretario al Commercio di Donald Trump, ha fatto lo shampoo al presidente della Cina Xi Jinping che a Davos si è presentato come il paladino della globalizzazione. Ross davanti al Senato americano ha detto: “La Cina ha l’economia più protezionista del mondo”. Gong. Il match è appena iniziato. La Cina secondo l’indice della libertà economica compilato ogni anno dalla Heritage Foundation è al 144esimo posto nel mondo, gli Stati Uniti all’11esimo. L’Homo Davos applaude Xi, il comunista, e dentro di se spera ardentemente che la corsa di The Donald, il costruttore di Manhattan, deragli. E’ il sottosopra della contemporaneità e ha i suoi lati divertenti. Quali? Seguite il titolare di List.

 

Clinton chiude baracca (i burattini restano). La fondazione dei coniugi è andata gambe all’aria. Nel silenzio generale, la Clinton Global Initiative, il programma planetario dei coniugi pre-destinati a guidare il mondo, chiude l’ufficio a New York, lascia a casa 22 dipendenti (ecco il documento ufficiale depositato al dipartimento del lavoro dello Stato di New York) e tanti saluti. Tutto bene? No, perché i Clinton avevano annunciato la chiusura dell’iniziativa in caso di vittoria nella corsa presidenziale, per evitare un conflitto di interessi (evidente dai documenti pubblicati da Wikileaks) tra l’organizzazione e la Casa Bianca. E invece si chiude anche in caso di sconfitta e la ragione è molto semplice: i donatori sono in fuga, non ha alcun senso sostenere chi non ha più nessuna capacità di influenzare il business. Se non sei dentro lo Studio Ovale, non conti nulla. Ecco perché il governo dell’Australia, quello della Norvegia e altri soggetti hanno tagliato il cospicuo assegno (secondo la National Review, l’Australia da sola ha donato 88 milioni in dieci anni di Regno Clintoniano) e tanti saluti, è cominciata l’era Trump. Fine del pay for play.

 

Theresa e l’Homo Davos. Il premier britannico Theresa May è a Davos. Una brexiter in casa dell’élite globale. Parole d’ordine del suo intervento: free trade, free markets, globalisation, liberalisation. E’ la risposta di Downing Street al presidente cinese Xi Jinping. Non è la Thatcher, ma è tosta e si sente. L’Homo Davos è in stato confusionale: la Brexit ci sarà, ma la signora May ha assicurato che si fa “per essere primi nel libero mercato”. Allora, si chiede, l’Homo Davos, forse sta succedendo qualcosa? Sì, cari, esistono gli animal spirits dell’economia e di solito fanno a pezzi tutte le previsioni degli economisti.

 

La colpa dell’Homo Davos. Su Bloomberg View c’è un pezzo di Tyler Cowen, docente della  George Mason University, che dice di “non dare la colpa dei limiti della globalizzazione all’uomo di Davos”, segno che qualcosa deve aver combinato in questi anni.

 

Draghi Day. Riunione della Bce e conferenza stampa di Mario Draghi. Cosa c’è da attendersi? Nessuna decisione sui tassi, ma il presidente della Bce potrebbe affrontare con i giornalisti un paio di temi che interessano i mercati: 1. Che titoli acquistare con il programma di Qe e soprattutto cosa si fa con la Germania che non ha titoli sufficienti sul mercato; 2. Banche italiane, rispondere alle critiche di Padoan e caso Monte dei Paschi; 3. Politica economica degli Stati Uniti nell’era Trump. Tre palle, un soldo.

 

Tasse all’italiana. Il Tesoro ieri ha pubblicato le statistiche su Ires e Irap nell’anno 2014. Se desiderate capire perché l’Italia è un paese disunito che non può farcela in queste condizioni, questo è il database che vi serve. Dettaglio sull’Irap, l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive: “L’imposta dichiarata per l’anno 2014 è stata pari a 30 miliardi di euro (-1,6 per cento rispetto al 2013), con un valore medio pari a 10.640 euro. La distribuzione territoriale sulla base del luogo in cui è svolta l’attività produttiva ha segnalato che il 55 per cento dell’imposta è prodotta al Nord e il 15 per cento al Sud, in linea con l’andamento dell’anno precedente. Limitatamente al settore privato, il rapporto tra l’imposta netta e la base imponibile su base territoriale ha consentito di stimare il carico IRAP effettivo medio per regione, che ha evidenziato una variabilità dal minimo del 2,5 per cento nella Provincia Autonoma di Trento ad un massimo del 5 per cento in Campania e nel Lazio”. Due velocità, venti disparità, un paese da rifondare.

 

Il Senato del Venezuela. Cose grosse dalle istituzioni italiane. Seduta fondamentale stamattina a Palazzo Madama. Ordine del giorno: discussione di mozioni sulla crisi del Venezuela. Come diceva lo spot del rum? Nei peggiori bar di Caracas.

 

19 gennaio. Nel 1861 le cronache raccontano la secessione della Georgia, il maggior produttore di cotone dell’epoca, dagli Stati Uniti d'America. La Brexit americana.

Di più su questi argomenti: