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Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Nafta, Ttip e Pechino. Che piani ha Trump per il commercio?

Mario Sechi
Il Messico, l'Europa e la Cina aspettano di capire fino a che punto le minacce del nuovo presidente diventeranno realtà. Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi
    San Leone Magno.

     

    Trump, chi vince e chi perde. Il mercato sbaglia, il mercato si corregge. Aveva puntato su Hillary, ha trascorso una notte travagliata, poi ha virato su The Donald. Il denaro non dorme mai (Gordon Gekko) al limite ogni tanto si distrae. Wall Street ha ripreso a marciare e guarda a Trump con un sentimento misto: c’è un buono e c’è un cattivo, chi prevarrà tra i due? Soprattutto, quali sono i temi e i settori che saranno sulla scrivania del nuovo Presidente? Facciamo un giro nel futuro.

     

    Messico e Nafta. Chi fa affari con il Messico deve rinunciare alla siesta e cominciare a guardare l’orizzonte del suo business. Il peso ha fatto splash nella serata in cui la mappa si tingeva di rosso, il muro anti-immigrazione è un falso problema, il tema vero si chiama lavoro, industria, delocalizzazione, dazi e Nafta. L’accordo di libero scambio del Nord America (Stati Uniti, Canada e Messico) è stato uno dei bersagli grossi di Trump nella campagna elettorale, quel trattato sarà rinegoziato. Come, vedremo, intanto segnare in agenda.

     

    Europa e TTIP. Che cosa farà Trump del trattato di libero scambio tra Stati Uniti e Europa? Niente, perché è stato strangolato da inglesi e francesi (e dalla sinistra tedesca) dunque un negoziato è da reiventare. Come? Intanto rimettendo il Regno Unito al posto che gli ha sempre dato la storia dopo la Guerra di Indipendenza, è il partner numero uno nell’Atlantico (mai dimenticare la potenza del mare) e una pedina da usare con l’Europa. Il commercio con il Regno Unito pesa per il 3 per cento del totale americano, può crescere, ma poi alla fine bisogna guardare al titano d’Europa, la Germania, quinto partner commerciale degli Stati Uniti e centro della manifattura europea. Che si fa con Berlino? Dilemma. La Germania vota nel 2017. Alla Casa Bianca aspetteranno sulla riva del Potomac per vedere passare la vittima delle elezioni tedesche. Merkel ce la fa? Si tratta con Angela. Non ce la fa? Achtung!

     

    Il tavolo da ping pong della Cina. Kissinger e Nixon usarono la Cina per mettere i russi sul grill del barbecue. Il problema di Trump è che Pechino è il primo partner commerciale dell’America e nello stesso tempo il bersaglio numero uno della sua campagna elettorale. I numeri sulla Cina sono impressionanti: gli Stati Uniti nel 2015 hanno esportato merci per 116 miliardi, ma la voce import è una martellata in testa, 483 miliardi. Risultato: un deficit commerciale con la Cina di 367 miliardi. Ok, il pivot to Asia di Obama è morto. E ora vai con i dazi. Funzionerà? Non lo sappiamo. Ma vediamo gli effetti su settori industriali sensibili alla concorrenza dell’oriente. Uno su tutti, l’acciaio. Guardate la quotazione della United States Steel Corp.

     

     

    Cosa è successo al titolo? Visto il balzo del 9 novembre. Sono anticipazioni del mercato sul protezionismo americano che verrà. Cina. Acciaio. Trump!

     

    Giocare a Monopoly. Trump si è espresso contro la fusione di AT&T e Time Warner. Ma era in campagna elettorale. La Casa Bianca con Obama aveva stoppato varie concentrazioni industriali, The Donald in questo campo è un mistero. Potrebbe usare il divide et impera per riscrivere la mappa dei poteri economici in America. Una cosa è certa: tutta la Silicon Valley si è espressa contro di lui (tranne Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, che l’ha finanziato) e di solito la politica usa la logica amico-nemico. Che si fa con la cassa di Apple all’estero? La delocalizzazione fiscale degli utili prodotti dai titani di internet è un problema. Per non parlare del bias politico di Zuckerberg & co. Traduzione dello stato su Facebook: relazione complicata.

     

    E’ tutta una questione di container. Come si vede, il commercio è il centro della questione Trump. Globalizzazione, lavoro (e effetti dell’automazione) saranno l’hotspot della nuova amministrazione. Non ci credete? Allora occhio alle quotazioni sulla borsa danese di un gigante dello shipping mondiale, la Maersk:

     

     

    Visto il tuffo del 9 novembre? Sono segnali, incisioni nella pietra delle elezioni americane. La nuova amministrazione Trump è questo, una terra incognita nella mappa del commercio mondiale. Chi vincerà? Ha vinto Trump, ma il bello (e brutto: ricordate le streghe di Macbeth, Shakespeare?) comincia ora. La politica è nel container.

     

    Giornali italiani. Grandi foto di The Donald, qualche buon pezzo qua e là, nessun pentimento per aver sbagliato tutto su Trump. Era una buona occasione per ristabilire un minimo di contatto con la realtà (e i lettori), è stata buttata alle ortiche. Il Corriere della Sera ha un titolo già vecchio: “Presidente per tutti” e il pezzo che avrebbe dovuto piazzare come editoriale, quello di Pigi Battista che fa pelo e contropelo ai commentatori e sondaggisti con il pre-giudizio incorporato (“Svanite le certezze”) è finito in uno strillo. Repubblica ha un primissimo piano di Trump, un titolo didascalico (“L’America di Trump”) un corollario di firme esibite in un quadro molto ordinato (Zucconi, Caracciolo, Rampini, Stille e Bonanni) ma alla fine resta qualcosa di inespresso: so what? e quindi? La Stampa ha un lucido editoriale di Molinari piazzato sotto un faccione di Trump, ecco il finale: “In attesa di sapere come intende farlo, possono esserci pochi dubbi sul fatto che dovrà anzitutto rispondere a chi lo ha eletto, ovvero riconsegnare la prosperità al ceto disagiato. Se Trump vincerà questa sfida, potrà offrire all’Europa un inedito modello di crescita. In caso contrario, rischia di essere travolto dalla stessa rivolta che lo ha incoronato. Comunque vada, dovremo fare i conti con lui”. Un modello di crescita? Siamo in zona anni Trenta. Vittorio Feltri entra nel paesaggio rurale con il titolo di Libero: “Trump, uno di noi”. Altro? Breat Easton Ellis ha fatto il titolo del Manifesto: “American Psycho”. La Gazzetta del Mezzogiorno tira fuori uno dei suoi gioielli quotidiani, direttamente dall’opera omnia di Herbert Marcuse (scrisse “Eros e civiltà”) ecco la sintesi from Puglia, Italy, delle elezioni americane: “Trump seduce l’America”.

     

    Cosa succede in Italia? Il Senato è sempre al passo con la storia. Oggi in aula il Senato della Repubblica discute con grande tempismo un provvedimento di cui sentivamo la necessità, il bisogno urgente, sì, perdinci, impellente: l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul terremoto. Quale? Quello in Abruzzo del 6 aprile 2009. Sette anni fa. Una commissione d’inchiesta. Nel frattempo nell’Italia centrale è successo qualcos’altro, sette anni dopo, nel 2016, è crollato tutto.

     

    10 novembre. Nel 1871 Henry Morton Stanley individua l'esploratore e missionario scomparso, Dottor David Livingstone a Ujiji, nei pressi del Lago Tanganica e pronuncia la famosa frase: "Il Dottor Livingstone, suppongo?". Più o meno come i giornali e le tv quando The Donald è diventato presidente degli Stati Uniti: “Mr. Trump, I presume”. E non erano sul Tanganica, ma a casa.