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Leggere gli inviati a Cleveland per capire come funziona il giornalista collettivo

Mario Sechi
Il suo scribacchiare è inzeppato di motivi ricorrenti – nella fase di ammaestramento, gli è stato detto che sono topoi – e il caso Trump è perfetto per fare il tiro a segno con le freccette di carta. Gli articoli sono così colmi di pre-giudizio che tracimano con rapidità in una caricatura del giornalismo.
Sant’Apollinare, vescovo.

 

Titoli. Signora mia, è orribile, Trump è candidato alla Casa Bianca! Gli inviati dei quotidiani italiani a Cleveland sono una lettura altamente consigliata per capire come funziona il giornalista collettivo, ultimo approdo del soggetto senza complemento, via obbligata del produttore di libri privo di talento letterario. Il suo scribacchiare è inzeppato di motivi ricorrenti – nella fase di ammaestramento, gli è stato detto che sono topoi – e il caso Trump è perfetto per fare il tiro a segno con le freccette di carta. Gli articoli sono così colmi di pre-giudizio che tracimano con rapidità in una caricatura del giornalismo. Federico Rampini, su Repubblica: “Alle 17.30 di ieri, ora di Cleveland, si è consumato l’evento inaudito: nel palazzetto dello sport Quicken Loans Arena, di proprietà di una società che eroga “rapidi mutui” online, è partito quel che è l’appello in ordine alfabetico degli Stati dell’Unione. I delegati eletti nelle primarie hanno sancito lo storico evento. Il candidato che fino a poco tempo fa non era neppure iscritto al partito repubblicano, il controverso magnate immobiliarista che per un anno ha insultato tutti i vertici del partito, ne è diventato da ieri sera il vero padrone. Oltre che il candidato ufficiale alla Casa Bianca, naturalmente”. Inaudito. Eh, sì, Trump ha vinto le primarie, ha conquistato i voti del popolo. Si chiama democrazia. Proprio inaudito. Maria Laura Rodotà, sul Corriere della Sera descrive la galleria delle persone che si sono avvicendate sul palco di Cleveland. Tutte abominevoli, rozze, prive della sciccheria di cui il giornalista collettivo è portatore sano. Dunque il manager dei lottatori in gabbia è “giustamente taurino”. L’ex attrice di soap opera “come celebrità non è, secondo il termine trumpiano, ‘tremendous’, ma pazienza”. Tiffany “è la figlia non prediletta, con occhioni da manga”. La golfista “cristiana e conservatrice” ha il compito “di far sembrare Trump quasi femminista”. Il lobbista dei fucili “ha parlato malissimo di Hillary” (e cosa sarebbe dovuto accadere in una convention repubblicana?). Donald Junior “ha i capelli dipinti in testa”. Paolo Mastrolilli, su La Stampa: “Il tema dominante della Convention: distruggere e fermare Clinton”. Per caso, la Clinton effettivamente è l’avversario da battere nella corsa dalla Bianca. Dettagli. Ancora: “L’unico vero elemento capace di unire e appassionare i repubblicani è impedirle di tornare alla Casa Bianca”. La sorpresa, i figli, ma “neanche Donald junior, però, ha resistito alla voglia di attaccare Hillary”. C’è proprio Hillary di mezzo, a quanto pare. Giuseppe Sarcina, Corriere della Sera: “Dopo la nuova puntata del ‘Trumpismo dal volto umano’ proposto da Tiffany, il primogenito Donald jr si incarica di illustrare le qualità superiori, con toni virili”.

 

Bene, delibato il distillato italico di anti-trumpismo, per sapere e per capire le origini del fenomeno, The Donald, cosa bisogna leggere? Per esempio un articolo sulla prima pagina del New York Times firmato da Jim Rutemberg, sull’immaginario repubblicano costruito in questi danni da Fox News e dal suo presidente Roger Ailes, il manager che ha fatto del politicamente scorretto una linea editoriale più forte che “nelle stanze dell’establishment del Congresso, nel comitato del partito repubblicano o sul Weekly Standard”. E’ un ritratto molto interessante di un tipo americano che cominciò la sua carriera come produttore di un programma per una tv locale, il “Mike Douglas show”. In tv Ailes incontrò Nixon e divenne il suo “media guru”. La televisione non è un affare privato di Trump, viene da lontano, è lo spazio del dibattito pubblico in un paese sconfinato che non comincia e non finisce a New York o a San Francisco. La biografia di Ailes è quella del figlio di un caposquadra in una fabbrica di Warren, in Ohio, che diventa il consigliere per la comunicazione di Nixon, Reagan, George H. W. Bush e Rudy Giuliani e infine il creatore della “voce” dei repubblicani.

 

Il paradosso della storia è che Ailes proprio in questo momento sta trattando l’uscita dal gruppo di Rupert Murdoch dopo uno scandalo di abusi sessuali. E’ da questa straordinaria storia americana che bisogna partire per comprendere l’ascesa di Trump in un paese diviso, prigioniero della sua ricorrente distopia. E ora? Parte l’ultima fase della campagna elettorale americana. Chi vincerà? Hillary resta favorita, ma Trump è una sorpresa che molto probabilmente non ha ancora finito di sorprendere.

 

La distanza delle (e dalle) élite. Per sapere, per capire, bisogna leggere un altro articolo. Lo scrive Martin Wolf sul Financial Times, fa parte ormai di una serie che il quotidiano londinese ha dedicato al tema dell’ascesa del populismo. Wolf esamina l’ascesa di Trump e Marine Le Pen, due soggetti che propongono “soluzioni sbagliate” ma le “malattie sono vere”. Quali malattie? Controllare il portafoglio della classe media è sempre un buon punto di partenza. Wolf cita uno studio del McKinsey Global Institute intitolato “Poorer than their Parents?” e trae le conclusioni: la stagnazione dei salari innescata dalla crisi finanziaria del 2008 e proseguita con la debole ripresa ha distrutto la fiducia degli elettori nei confronti della classe dirigente politica ed economica. Il fatto ha una rilevanza enorme soprattutto per l’Italia, occhio a questo grafico:

 

 

C’è bisogno di ulteriori spiegazioni? Questi numeri dovrebbero essere all’attenzione della classe dirigente. Lo scenario italiano è da allarme rosso, conduce a un rischio politico i cui effetti (leggere danni) sarebbero incalcolabili. Il referendum costituzionale di ottobre è uno spartiacque tra la possibilità di una ripresa (se il governo Renzi farà ciò che va fatto) e il caos dell’instabilità istituzionale. Il vero tema è questo, ma nel Palazzo e sui giornali lo spazio è occupato dal caso Schifani. Tanti auguri.

 

Felix Libia: tre militari francesi uccisi. La notizia è stata data stamattina dal ministero della Difesa. Fanno parte delle forze speciali inviate dalla Francia. Aggiornamenti su Le Figaro.

 

Turchia 1. La partita tra Obama e Erdogan. Il presidente americano si è sentito al telefono con Erdogan. Tutto ruota intorno all’estradizione di Fetullah Gulen, l’imam che secondo il governo turco è il burattinaio del golpe fallito. Partita delicatissima. E violenta. La repressione in Turchia è totale.

 

Turchia 2. Wikileaks diffonde 300 mila email del governo. E’ materiale incandescente, fondamentale per capire come viene esercito il potere da Erdogan. I file provengono da un database del partito del presidente, l’Akp. Viene subito bloccato l’accesso al sito in Turchia.

 

20 luglio. Guerra del luglio 1974: Le forze turche invadono Cipro.

 

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