Pierluigi Bersani (foto LaPresse)

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Grillo vuole la distruzione del Pd, Bersani dialogare con il M5s

Mario Sechi
E’ stupendo vedere che le lezioni non servono a niente. Tre anni dopo la penosa esibizione dell'ex segretario del Pd al tavolo con Lombardi e Crimi non è cambiato nulla. Dopo i ballottaggi Renzi prenda spunto da Cameron: non legare il suo destino politico all’esito del referendum.
San Paolino, vescovo.

 

Titoli. Cosa vuole Grillo? La distruzione del Pd. Con chi vuole parlare di futuro Bersani? Con i Cinque Stelle. E’ stupendo vedere che le lezioni non servono a niente. Dimenticato tutto. Come la penosa esibizione di Bersani durante l’incontro – in streaming, eh – tra Pd e  pentastellati. Il calendario segnava il 27 marzo 2013, non c’era all’orizzonte lo straccio di un governo, e la scena era questa:

 

 

Bersani e Letta incontrano Crimi e Lombardi. Il vertice è trasmesso via webcam, la scena è pietosa, l’esito impietoso. Bersani dice che “qui è una roba seria, non è Ballarò” (dove lui andava regolarmente) ed essendo apparecchiato un tavolo serissimo, perbacco, Pierluigi becca il no di Crimi e Lombardi e anche quello di Grillo. Alla fine, il segretario salirà al Quirinale senza un fico secco in mano. Così nasce il governo di Enrico Letta e così si spiana la strada alla segreteria e al governo Renzi. Tre anni dopo, i Cinque Stelle continuano ad avere un sogno: demolire il Pd. E Bersani continua a sbagliare. Fa tenerezza leggere il titolo di Repubblica: “Renzi: ora è tempo di mediare. Bersani: serve dialogo con M5S”. Nel caso del premier, vi sarebbe un piano B per il referendum, ma la notizia è che a Palazzo Chigi erano convinti di avere un piano A. Levato di mezzo il fantomatico piano A, resta il piano B. Quale? E’ il de minimis, ma il resto (forse) seguirà: non legare il suo destino politico, di Renzi, all’esito del referendum. Benvenuti a bordo. Il titolare di List ricorda che David Cameron ha già detto che in caso di vittoria della Brexit (si vota domani) non si dimetterà. Prendere appunti.

 

Nel frattempo, infuria la battaglia del mattone, del condominio. Tra le mura delle abitazioni si disegna il domani, l’avvenire, si compie il progresso con evidenti segni di regresso della ragione. Repubblica ha preso in mano il volante nella Capitale dove è sorto un cielo pentastellato ed ecco il racconto dello scontro titanico tra lei, Virginia Raggi, e i famelici palazzinari. “Raggi, comincia la sfida ai 10 signori del mattone”. Anvedi, e che si dice? Poco. Che i pentastellati bloccheranno le costruzioni, che gli immobiliaristi dell’Urbe non sono d’accordo. E il Calta? Chi? Caltagirone. Ah, l’ossessione dei grillini e di quelli che lo vedono impegnato nelle trame capitoline. Figuriamoci. Quello che succede nel mercato immobiliare romano influisce ben poco sul suo bilancio. Basterebbe leggere bene i numeri per scoprire che il Gruppo Caltagirone è ben altro rispetto alla visione ristretta di chi non ha vita fuori dal Grande raccordo anulare, il Sacro GRA dipinto splendidamente nel film di Gianfranco Rosi. Il Gruppo Caltagirone è il mercato globale del cemento (Cementir: 995,4 milioni di euro di ricavi nel 2015), è grandi lavori e opere pubbliche (Vianini: 183,9 milioni di euro di ricavi nel 2015), è editoria e pubblicità (Caltagirone editore: 163 milioni di euro di ricavi nel 2015). Il futuro di questo gruppo è nel suo sviluppo all’estero. Mentre i grillini romani si agitano sul mattone, Matteo Renzi entra in condominio. Titolo della Stampa: “Renzi alla battaglia delle periferie: bonus condomini”. Ristrutturazioni, cogitazioni, esortazioni, aspirazioni. Più che il bonus, è il rebus di Renzi: che fare? Le cronache sono tutto un conoscere, sapere, raccontare la forza di governo nascente, l’affresco di una nuova era, che però ha un sottotesto di minaccia, di vendetta, di ansia di potare, tagliare. Ecco il titolo di Carlino-Nazione-Giorno: “Grillini, scure sui manager”. Sarà da seguire la parabola di Roma e Torino, Raggi e Appendino. La prima è un mistero, la seconda appare già con una sua fisionomia, alcune idee, un discorso che fa intuire un percorso. Roma è appallottolata nei suoi guai, nella sua marginalità, nel suo dibattito senza futuro. Caffè ar vetro e il Messaggero: “Tangenti pagate in Campidoglio”. Gestione dei campi rom. Fa la stessa apertura il Corriere della Sera: “Tangenti a Roma sui campi nomadi. Raggi: grazie pm”. Bisognerebbe dire come si risolve la faccenda sul piano politico, ma c’è tempo per vedere l’opera pentastellata compiersi in Campidoglio. E poi, se qualcosa non funzionerà con i neo sindaci grillini, c’è sempre una scusa, un capro espiatorio, un soggetto esterno che ha tramato e deviato il corso della grande storia. Il Fatto Quotidiano corre già su questa strada: “Prima grana dei nuovi sindaci. Il governo che affama i Comuni”. Massì, sarà sempre colpa degli altri, cribbio. Altro? C’è la realtà. Un referendum nell’isola d’Inghilterra che è ben più importante di qualsiasi altra cosa impaginata. Titolo del Sole 24Ore: “Brexit o no, l’instabilità è il prezzo da pagare e l’Italia rischia di più”. Si vota domani, allacciate le cinture e buona giornata.

 

Brexit: intervista a Cameron. Il Financial Times fa una chiacchierata con il premier inglese. E’ convinto che alla fine vincerà il Remain e ci sarà un dividendo politico per il suo governo e il Regno Unito in Europa. Vedremo. Tutto quello che c'è da sapere è qui.

 

Brexit: il format Wembley Arena. La BBC ha messo in piedi un nuovo format, il dibattito politico allo stadio. Boris Johnson e Sadiq Khan si sono fronteggiati di fronte a una folla di tifosi. Una partita politica.

 

La Ue sanziona la Russia. C’è l’accordo, ma non è ancora stato formalizzato. Paghiamo noi, non è proprio una grande idea, visti i risultati politici delle precedenti tornate.

 

Il sindaco di Parigi contro Amazon. La Francia è il grande malato d’Europa, questa è un’altra conferma. Il sindaco di Parigi contro il nuovo sistema di consegne di Amazon.

 

22 giugno. Nel 1633 Galileo Galilei è costretto all’abiura.