Il presidente dell'Anpi Carlo Smuraglia (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

L'Anpi, il referendum costituzionale e una decisione: si vota solo domenica

Mario Sechi
Il “centralismo referendario dell’Associazione nazionale partigiani" secondo Gian Antonio Stella. «Niente pronunce pubbliche per il Sì, niente iniziative a favore o con i Comitati per il Sì e nessun ostacolo, esplicito o implicito, alla nostra azione». Fila compatta!”. Il ridicolo non ha bisogno di commenti.

San Pasquale Baylon

 

Titoli. Si vota solo domenica. La decisione del governo diventa l’apertura di molti quotidiani. Cerchiamo altri titoli, per non leggere i giornali di ieri. Primo caffè, Corriere della Sera: “Il Papa vuole la Chiesa povera: liberatevi dai beni economici”. Ottimo proposito, in Vaticano ci sono un sacco di beni di cui disfarsi. Si proceda. Altro? Un bel pezzo di Gian Antonio Stella sul “centralismo referendario dell’Anpi”. Il titolare di List non sa prendere la faccenda seriamente o riderci sopra, leggiamo Stella: “Tutto inizia a febbraio quando il presidente dell'Anpi, Carlo Smuraglia, manda una lettera ai responsabili regionali, provinciali e locali. Spiega che l'associazione ha deciso di schierarsi per il «No alla riforma del Senato e al Sì sui quesiti referendari». E chi per caso non è d'accordo? «Riconosciamo non solo il diritto di pensarla diversamente, ma anche quello di non impegnarsi in una battaglia in cui non si crede. Ma non riconosciamo e non possiamo riconoscere il diritto a compiere atti contrari alle decisioni assunte». Dunque «niente pronunce pubbliche per il Sì, niente iniziative a favore o con i Comitati per il Sì e nessun ostacolo, esplicito o implicito, alla nostra azione». Fila compatta!”. Il ridicolo non ha bisogno di commenti. Cosa fanno a Repubblica? Apertura sul voto in un giorno (con la parola “dietrofront”), spalla con grande foto (e pezzo del direttore) che annuncia un reportage al giorno per immagini, un Folli di qua e un Calabresi di là. Titoli originali? Sulla Stampa c’è una scelta giusta per l’apertura: “Libia, dagli alleati armi e non truppe”. E’ la decisione del vertice di Vienna sulla Libia, una notizia importante, (è il taglio del Financial Times) che il direttore della Stampa Maurizio Molinari promuove come titolo principale. Se non interessa all’Italia, chi altri? Andiamo avanti, facciamo un giro di prime pagine. Il Fatto Quotidiano legge politicamente la battaglia per il controllo del Corriere della Sera: “Corriere, i soliti noti con Renzi contro il piano di Bazoli e Cairo”. In realtà nessuno dei due contendenti di Rcs è con Renzi. Forse contro, ma non a favore. Della Valle poi, figuriamoci. Il Giornale fa un salto in Vaticano: “Il Papa espropria i preti ricchi”. Libero ha un monitor acceso sul portafoglio: “Dietro le mance di Renzi si nasconde la patrimoniale”. Cose belle dal Mezzogiorno? Il Mattino ha sempre l’oro in bocca: “Quel giudice va ucciso”. Il giudice è il pm D’Alessio. I bravi ragazzi al telefono sono i familiari del boss Latorre. Che quadretto idilliaco. L’Unità continua la serie di titoli surreali che producono affollamento in edicola: “A proposito di Jobs Act”. Cosa succede a Genova? Ah, non si sa granché sulla Superba, ma in prima pagina sul Secolo XIX c’è un reportage dal Venezuela, vuoi mettere. Vento dal Nord-Est? Soffia, perdinci: “Autonomia, via libera al referendum”. Se ne vanno? No, ci mancherebbe. E dove vanno? Restano, saranno autonomi. Il Gazzettino ha una storia istruttiva sul macabro contemporaneo, di taglio basso: “Si uccide gettandosi dal Danieli e i turisti fanno le foto del cadavere”. Chiudiamo con un passaggio sul denaro, quello che non dorme mai. MF fa questo titolo: “Corriere, cash batte carta”. Ok, forse. Resta un problema: di cassa la Rcs ne ha avuto tanta e tantissima ne ha bruciato. Di competenza manageriale pare averne avuto un po’ meno. Che fa Il Sole 24Ore? “La Ue apre alla flessibilità: «bonus» da 13,5 miliardi”. Uno spazio di manovra. Da usare bene. Buona giornata.

 

Renzi e la campagna finale. L’appuntamento più importante di oggi è quello del presidente del Consiglio che incontra i gruppi parlamentari del Pd.

 

Hollande e la Francia che non cambia mai. Il presidente francese ha presentato la sua riforma del lavoro, in piazza è successo di tutto, ma Hollande annuncia: non cambio niente. E fa bene.

 

Warren Buffett compra Apple. Il più grande investitore nella storia di Wall Street ha comprato un pezzo della mela e tutti si chiedono cosa ci sia sotto. Buffett è considerato il re mida della Borsa e il titolo di Apple è schizzato a razzo. Mettere mano al portafoglio e scucire un miliardo significa che due o tre ragionamenti prima sono stati fatti. Quali? Apple ha 153 miliardi di cassa netta a disposizione, può riconvertirsi rapidamente comprando, investendo, cambiando se stessa. Una cosa è chiara: l’hardware è in declino. Si può arginare con nuovi prodotti, miniaturizzazioni, ma il destino è quello. C’è un settore da esplorare, relativamente nuovo per Apple, i servizi. Ma con quella massa di denaro fresco da utilizzare, la via più breve è quella del vedo e pago: compro e investo su altre realtà. Ecco perché Tim Cook ha staccato un assegno da un miliardo da versare su Didi Kuaidi, l’Uber cinese. In fondo, non c’è niente di geniale, l’idea è elementare e in questa povertà di fantasia, in realtà, c’è la cifra dell’Apple di oggi, è seriale senza essere nuova. Ha scelto la Cina perché crescita demografica e mercato di massa si sposano. Dove ci sono consumatori c’è Apple. Buffett pensa questo e investe, vede un’opportunità e rischia. Per fortuna ci sono anche gli altri produttori. Mangiare solo mela alla fine annoia.

 

C’è un tir in strada. E nessuno lo guida. Un team di ex dipendenti di Google lancia una start up per costruire il tir che si guida da solo. Inquietante, ma forse in futuro più sicuro.

 

Il New York Times punta sull’Europa. Cercare nuovi ricavi nel Vecchio Continente.

 

17 maggio. Nel 1809 Napoleone Bonaparte ordina l'annessione dello Stato Pontificio all’impero francese.

 

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