Bruxelles, giorno dopo attacchi (foto LaPresse)

Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi

Come rispondere al terrorismo? La differenza tra Blair e Renzi

Mario Sechi
Dove si manifesta la distanza siderale tra un uomo politico e il resto della truppa che mangia parole e aria emettendo solo un fastidioso ronzio. La versione di Paolo Mieli sul Corriere. Fatti, commenti, appuntamenti del giorno presi dal taccuino di Mario Sechi.

Giovedì Santo.

 

Titoli. I giornali hanno abbandonato la versione manifesto, ma sono ancora in formato extralarge su Bruxelles, il numero di pagine continua ad essere esorbitante rispetto al tempo di lettura medio (ottimisticamente, una ventina di minuti, su carta), dunque la missione di List anche stamattina è quella di mettere sul taccuino quello che conta, il meglio, possibilmente controvento. E qui, francamente, il giardino da cui cogliere buoni frutti, si restringe.

 

La Guerra dei Trent’anni. Primo caffé, Corriere della Sera: il titolo d’apertura è sulla caccia all’uomo (“Quattro in fuga: colpiremo ancora”), sui meccanismi di controllo surreali (“erano stati fermati e rilasciati”) e via così con i dettagli dell’orrore. Commenti? Tanti, tutti pieni di buonsenso, così pieni che viene il desiderio di trovarne uno un po’ meno visto, letto, sentito, con una prospettiva. Quale? Quella storica di Paolo Mieli ha il pregio di provare a dare profondità (e dunque offrire soluzioni) a una guerra la cui asimmetria produce spaesamento: chi è il nemico? Sono islamofascisti e dunque si combatte come nella Seconda guerra mondiale? No, Mieli trova più corretto il paragone con la Guerra dei Trent’anni (1618-1648) e da questo fa discendere una conclusione: “Se invece lo scenario, per grandi linee, assomiglia di più a quello della prima metà del Seicento, dovremmo considerare più efficace il saper attendere, svolgere azioni mirate ad ottenere risultati provvisori, inviare contingenti per poi ritirarli prontamente (come ha fatto Putin in Siria) e soprattutto elaborare una politica delle alleanze di lunga durata che regga all’impatto emotivo di scelte riprovevoli o raccapriccianti dei partner locali che abbiamo scelto”.

 

La differenza tra Blair e Renzi. Lettura interessante, quella di Mieli, alla quale far seguire altro. Cosa? L’intervista del sempre prezioso Paolo Valentino a Tony Blair, dove si manifesta la distanza siderale tra un uomo politico e il resto della truppa che mangia parole e aria emettendo solo un fastidioso ronzio. Passaggio centrale dell’intervista a Blair: “Io credo che ci siano quattro cose importanti da fare. Nell'immediato, dobbiamo migliorare radicalmente lo scambio di informazioni tra le intelligence europee, che oggi non funziona come dovrebbe e in alcuni casi non funziona affatto. La situazione è talmente grave che i servizi di alcuni Paesi sono sovrastati dal compito immane che si trovano davanti ed è quindi fondamentale che tutta l'Europa lavori insieme. La seconda cosa è cercare di risolvere i conflitti che sono all'origine del fenomeno terrorista: dobbiamo combattere Daesh ovunque si manifesti, in Siria, in Iraq o in Libia, esser preparati a compiere le azioni necessarie per sconfiggerli, anche costruendo, ed è il terzo punto, le giuste alleanze dentro il mondo islamico con coloro che lo vogliono e hanno una visione aperta e tollerante. Daesh può essere combattuto solo insieme a chi è determinato a salvare l'Islam da questo scempio della fede musulmana. Infine, dobbiamo lanciare quella che io chiamo un'azione globale sull' educazione, in cui tutti i Paesi si impegnino a orientare i loro sistemi scolastici per promuovere la tolleranza, eliminare il pregiudizio religioso e la cultura dell'odio per chi è diverso. Oggi l'istruzione è anche una questione di sicurezza e ci sono milioni di giovani educati con una falsa idea della religione e una angusta visione del mondo. Deve diventare un obbligo per tutti riformare i sistemi educativi formali ed informali, perché l'estremismo comincia nelle aule scolastiche”. E qui vi sarebbe perfino un’intuizione di Renzi, il quale però non dà profondità alle cose che dice, le ripete meccanicamente fino a svuotarle di significato, perde per strada il concetto chiave di “educazione” e finisce per impacchettare la sua leadership nell’effimero entertainment.

 

“L’io penso” di Repubblica. Che fanno a Repubblica? Il direttore Calabresi si è auto-inviato a Bruxelles, ieri livetweeting e racconto della città con prosa contrita, oggi scrive un commento dove emerge l’io: “Solo un’Europa unita ci può salvare dal terrorismo. Solo una maggiore integrazione tra i Paesi dell’Unione può sconfiggere la jihad islamica a casa nostra. Questa tesi apparirà indigeribile a chi crede che chiudere i confini, tapparsi in casa e abbandonare Bruxelles sia l’unica via d’uscita possibile. Io penso esattamente il contrario”. Io penso.

 

Parlare d’amore al nemico? Basta. Giuliano Ferrara demolisce il teatrino anima e core della chiacchiera senza conseguenze: “E’ inutile commentare. Discettare. Colorire. Aggiungere. Divagare. Si sa tutto. La guerra è in corso. Non sono mafie, quelle islamiche. Non servono oltre la misura del giusto infiltrati e pentiti. Serve agire dove tutto nasce, come è stato autorevolmente suggerito anche in Italia, e opporre alla forza islamista nelle sue diverse manifestazioni, fuori e dentro i confini dell’occidente, una soverchiante forza, fatta di politica, diplomazia e strategia militare, capace di configurare qualcosa che sia simile, finché non è troppo tardi, a una vittoria dell’amico sul nemico. Per far questo non possiamo parlare d’amore a chi ci odia, temere la sua reazione, predicare a un mondo idealmente unito da ciò che realmente lo divide”. Cari governanti europei non riuscite a uscire dall’arcobalenismo? Pazza idea (quindi giusta) di Claudio Cerasa: chiamate uno che risolve problemi, il Mr. Wolf di Israele, Netanyahu.

 

Come si interroga un terrorista? Con il rinnovato cogito ergo sum apriamo la Stampa che ha una parata di interviste. Da leggere con attenzione quella di Alan Dershowitz: “Il caso Salah ci insegna: dobbiamo trovare metodi più efficaci per interrogare”. Dershowitz torna su un dibattito delicatissimo aperto dall’11 settembre 2001 del quale è stato protagonista. Cosa fare con i detenuti in possesso di informazioni vitali? Come interrogarli? E’ un tema di enorme importanza. List ha già posto l’altro ieri questi interrogativi sulla gestione di Salah Abdeslam da parte delle autorità belghe, li ripetiamo: cosa è successo nelle 48 ore di tempo intercorse tra l’arresto del terrorista ricercato per gli attentati di Parigi e la strage di Bruxelles? Perché è stata fatta filtrare la notizia del “sollievo” del terrorista dopo l’arresto? Ancora: perché diffondere la notizia che era pronto a collaborare? Proviamo a lavorare con il metodo del fictional scenario: catturano un mio compagno di jihad, apprendo che sta per spifferare tutto agli investigatori, cosa faccio? Ho due vie possibili: 1. Entro nel “bosco”, sparisco; 2. Accelero il piano per fare un nuovo attentato. Altro punto delicatissimo: quanto tempo si è perso nella disputa tra Francia e Belgio per l’estradizione? E infine, la domanda che innesca il ticking time bomb scenario: com’è stato interrogato Abdeslam? (ecco il problema sollevato da Dershowitz). E’ stato fatto tutto il possibile? Si è sottovalutato lo scenario? Poteva fornire informazioni che avrebbero salvato le vite spezzate oggi a Bruxelles? Sono domande terribili che di fronte a questa strage non possono restare sospese.

 

Giro di titoli. Andiamo avanti, giro finale di titoli. Il Giornale: “Sangue nostro”, si riferisce alla donna italiana dispersa, Patricia Rizzo. Libero: “Occhio alle Molenbeek italiane”. Vero. Carlino-Nazione-Giorno, in filodiffusione: “Il boia fu preso e liberato”. Caffè ar vetro e interessante titolo a centro pagina del Messaggero: “Gli 007: per l’Italia la minaccia jihadista arriva dai Balcani”, è un passaggio dell’audizione di Arturo Esposito, direttore dell’Aisi, di fronte al Copasir. Buona giornata.

 

Vertice straordinario dei ministri dell’Interno europei. Si terrà oggi alle 16. Ordine del giorno: il solito, trovare misure comuni per contrastare il terrorismo. Le cose vanno così velocemente che dopo la strage di Parigi, il Consiglio sta ancora negoziando con il Parlamento europeo la proposta di direttiva sull’antiterrorismo.

 

Non c’è accordo tra i governi. Politico spiega perché la cooperazione tra i paesi è difficile. Agenzie europee come Fbi e Cia sono lontanissime.

 

La terza banca. E’ nata in Italia dopo la fusione di Banca Popolare di Milano e Banco Popolare. Ok dei cda all’operazione, via libera (condizionato a ricapitalizzazione da un miliardo, etc.) della Banca centrale europea. Titolo di MF: “Via alle nozze Bpm-Banco”. Il Sole 24Ore: “Nasce la Superpopolare”. In questo grafico del Sole, tutti i numeri dell’aggregazione.

 

 

Raggi e i titoli di Acea. La campagna elettorale romana fa una sosta in Borsa. Titolo del Messaggero di taglio basso a sinistra: “La Raggi parla e i romani perdono settantuno milioni”. Ecco il fatto: “È stata sufficiente una frase sconsiderata in tv della candidata sindaco Virginia Raggi (M5S), per far crollare le quotazioni in borsa del titolo Acea a meno 4.73%, che equivale ad una perdita di ben 142 milioni, settantuno dei quali sono, anzi erano, del Comune di Roma che la Raggi vorrebbe governare. Non solo: alla luce delle sue dichiarazioni irresponsabili, gli analisti finanziari hanno declassato il titolo, portandolo da “Buy” a “Hold”. Cosa ha detto la Raggi? E’ andata a Sky e a “L’intervista” condotta da Maria Latella ha affermato: “Dobbiamo valutare come agire sul versante Acea, una cosa che faremo di sicuro é cambiare il management”. Risultato? Gli analisti l’hanno presa sul serio, la società di intermediazione Equita ha messo nero bianco: “Considerate le affermazioni del Movimento 5 Stelle di voler cambiare il management di Acea, riteniamo che il rischio elezioni stia aumentando e quindi passiamo ad hold”. Alla sgangherata campagna elettorale per il Campidoglio mancava il capitolo price sensitive da passare ai Raggi X.

 

24 marzo. Nel 1999 comincia l’operazione Allied Force della Nato contro la Jugoslavia di Slobodan Milosevic. L’Italia partecipa ai bombardamenti, il presidente del Consiglio è Massimo D’Alema.