La copertina de “Il libro degli esseri a malapena immaginabili”

“Il libro degli esseri a malapena immaginabili”. Un contro-regalo

Stefania Vitulli

Un’antologia di animali mostruosi e pericolosi, perfetta per ecologisti petulanti

“Pochi esseri viventi lasciano un bel cadavere”: è una delle frasi memorabili di un libro che cambierà la vita dei vostri amici, parenti o colleghi attivisti animalisti e ambientalisti. “Il libro degli esseri a malapena immaginabili” (Adelphi) firmato dal documentarista e divulgatore scientifico Caspar Henderson è infatti la strenna perfetta, e controcorrente, da dedicare a tutti quelli che conoscete che siano coinvolti, con il cuore e con la ragione, in una battaglia – prima di tutto individuale, mi raccomando – per la difesa degli animali e del pianeta, per la difesa della biodiversità, per il censimento ossessivo-compulsivo degli esemplari in via di estinzione, per la certificazione biologica di ogni forma vivente o inanimata destinata al commercio, dalle spazzole alle bacche di goji. Siccome la battaglia è sacrosanta e l’impegno merita un riconoscimento, il volume di questo Alberto Angela anglosassone permette di prendere due piccioni con una fava: fare bella figura, poiché l’opera è straordinariamente curata, con immagini e grafica godibilissimi e un testo ricco, leggero, ma anche colto e ampliare la consapevolezza dei succitati impegnati accaniti con uno sguardo, diciamo, inedito sul mondo animale: uno sguardo che potrebbe forse non cambiarne le convinzioni, questo no, ma quantomeno renderli più guardinghi, più attenti, orientati verso una mindfulness faunistica finalmente globale.

    

Henderson infatti procede con una operazione bestiale e mai tentata prima: raccoglie in una antologia una quantità di orrori animali: bizzarri al punto da risultare, a tratti, inguardabili e persino, abominio, non accarezzabili, non coccolabili. Insomma, dei mostri. Nella raccolta – che, seppure britannica è ben lontana da quella carineria sdolcinata e ipnotica di derivazione magica fatta dalla Rowling con gli “Animali fantastici” – Henderson annovera creature che credevamo estinte (qui “estinzione” riacquista un significato primordiale, “saurico”, potremmo dire) o addirittura mai esistite se non nel mito crudele: lo stomatopode con il dito genitale o “Gonodactylus”, il tasso del miele, l’indicatore golanera, la tartaruga liuto, il granchio yeti, la civetta dai baffi lunghi, il ragno saltatore, il diavolo spinoso. La tartaruga liuto, a dirla tutta, non è brutta per niente: si è evoluta circa cento milioni di anni fa e li dimostra tutti, ma ha una forma armonica e bombata che inviterebbe anche all’avvicinamento e finanche, perché no, all’imboccamento, come si fa con i canini e i gattini più dolci e cuccioli. Non fosse che si rimpinza di meduse: in tre ore è stata osservata mangiare sessantanove meduse criniera di leone, ciascuna delle quali è grossa come la gomma di un’auto e pesa intorno ai cinque chili. Ed ecco che la manina pronta a offrire plancton si ritrae, sospettosa.

  

Come tutti gli inglesi, Henderson è dotato di ficcante sense of humour e al centro della sua esplorazione mette l’essere umano, a rischio minimo di conservazione, con due sgorbi al posto dei piedi (cuscinetti tozzi con ditine piccole, robaccia in confronto agli altri primati), che tuttavia sono proprio quelli dai quali – Henderson lo dimostra in un paio di illuminanti pagine – discende tutta l’allure del nostro cervello. E la galleria infatti prosegue, lasciandoci senza rimpianti per noi stessi, per addentrarsi tra esemplari indimenticabili, baluardo di un mondo segreto, adattivo, feroce, che dimostra ad ogni pagina che “la natura se ne frega”. I preferiti, i prìncipi del bestiario, però, sono sicuramente i vermi piatti e altri vermi, come i chetognati, gli echiuroidei, i sipunculidi o i priapulidi (se siete impressionabili, nel confezionare il pacchetto di Natale non aprite a pagina 123: c’è un chetognato particolarmente ripugnante): “Vinta la ripugnanza, si scopre tutto un mondo di delizie – e di terrori”, afferma lo stesso Henderson, confortandovi una volta di più nell’intento didattico del vostro dono. I vermi piatti non stanno per estinguersi, è vero (forse perché, come precisa Henderson, si dedicano alle pratiche sessuali forse più stupefacenti di tutto il pianeta), ma perché non dobbiamo volergli bene egualmente? Perché non usarli sui manifesti e nei pop up di raccolta fondi di fine anno contro il cambiamento climatico? Anche questa è una forma di discriminazione, in fondo, su cui, con ironia e scienza alla mano, potete invitare i vostri cari a riflettere.

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