L'informazione che vorrei

Cristoforo Lascio

a cura di Ruben Razzante, Franco Angeli, 132 pp., 18 euro

La nave è ormai in mano al cuoco di bordo. E ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta ma ciò che mangeremo domani”. La frase del filosofo del XIX secolo Søren Kierkegaard, come scrive Ruben Razzante (docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano), fornisce una delle metafore più efficaci per dare conto degli sconvolgimenti, e quindi anche dei rischi, che caratterizzano oggi il mondo dell’informazione. Nel volume sono raccolte le riflessioni di alcuni dei più autorevoli rappresentanti dei singoli ambiti cruciali dell’informazione in rete, e al netto di riflessioni o dati puntuali pure interessanti e meritevoli di approfondimento, è il “manifesto” complessivo che ne emerge a meritare qualche riflessione in questa sede.

 

Negli interventi di direttori di giornali, editori, rappresentanti di categoria o di aziende hi-tech, si nota per esempio una crescente consapevolezza del fatto che le sfide dell’informazione – come la digitalizzazione e i suoi derivati – non vadano vissute e affrontate come quelle di un pianeta a se stante. Scarsità di grandi imprese, Pubblica amministrazione disfunzionale, sistema d’istruzione bistrattato, sono i tre fattori principali che per Elio Catania (Confindustria digitale) giocano “a sfavore della modernizzazione” di tutto il paese e dunque di tutti i suoi comparti industriali.

 

Sempre a una lettura complessiva degli interventi raccolti, non potrà sfuggire inoltre una certa distanza – di toni e di approccio – che ancora si registra fra coloro che si trovano eminentemente sul fronte della produzione dell’informazione (giornalisti ed editori in primis) e coloro che da qualche anno dominano organizzazione e distribuzione delle notizie (le cosiddette società over the top come Google e Facebook). Da una parte molti interventi degli addetti ai lavori fanno riferimento a criticità, complessità, difficoltà, sfide, sforzi, eccetera, dall’altra parte spicca invece il tecno-ottimismo di Carlo D’Asaro Biondo (Google) nella descrizione che egli compie dell’ecosistema delle notizie. Comunque la si pensi sui diversi temi di discussione – dalla privacy degli utenti alla remunerazioni dei contenuti –, certo è che disposizioni psicologiche così diverse e divaricate fra loro sono la spia di squilibri di potere e di riconoscimento che occorrerà comprendere e correggere quanto prima, come si dovrebbe essere capito anche dai recenti mutamenti nel panorama politico occidentale.

 

Razzante infine, fra introduzione e conclusioni del volume, tenta meritoriamente di stilare una sorta di decalogo di possibili soluzioni alle attuali problematicità. Dall’attenzione che meritano le infrastrutture (imprescindibile la banda larga) all’enfasi sulla formazione continua dei giornalisti, possibilmente – aggiungiamo noi – senza inutili derive burocratiche, passando per la corretta notazione del fatto che “la sfida dell’aggiornamento e della formazione sulle competenze digitali non deve riguardare solo gli addetti ai lavori, bensì tutti i cittadini”. E’ meritorio, infine, in un dibattito che gli addetti ai lavori sono spesso tentati di declinare esclusivamente in termini di nuovi e auspicati interventi dell’autorità pubblica, l’impostazione istintivamente “liberale” del curatore. Che a proposito del tormentone fake news, definisce “pretestuosi e bizzarri” i “tentativi di istituire ‘ministeri della verità’ con il potere di censurare notizie considerate inattendibili, perché si tratterebbe di soluzioni da stato etico contrarie alla libertà d’espressione”. Sempre e comunque.

 

L’informazione che vorrei

a cura di Ruben Razzante

Franco Angeli, 132 pp., 18 euro

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