A caso

Lorenzo Innocenti

Tommaso Landolfi
Adelphi, 189 pp., 14 euro

Le vicende letterarie di Tommaso Landolfi sono state legate a Vallecchi, con cui pubblicò dal 1939 al 1972, e che non volle abbandonare nemmeno nei momenti più bui in cui s’avviava verso il fallimento, in nome forse di quella che la figlia Idolina chiamava la nobile “etica dell’amicizia”. D’altronde si potrebbe osservare, a leggere certe missive che Landolfi, indefesso dilapidatore di quattrini, mandava al suo editore dall’Hôtel des Etrangers di Sanremo dopo il tour dei casinò, che si trattava di qualcosa di più d’un mero rapporto professionale: “In grazia, editore e amico, mandami cinquantamila lire”. Al di là di prestiti saltuari Vallecchi non pagava con puntualità, non ristampava i titoli esauriti e non promuoveva i libri del suo autore. Il passaggio a Rizzoli non migliorerà di molto le cose. L’opera di Landolfi viene valorizzata e trova un mercato e un’attenzione adeguata solo a partire dal legame postumo con Adelphi, nel 1992. Dal 15 maggio è in libreria A caso, l’ultima raccolta di racconti del dandy di Pico, insignita del Premio Strega nel 1975 (1.000.000 lire in premio, e via a Sanremo). I 13 racconti della raccolta, 13 carezze contropelo, presentano ognuno uno spunto che trova corpo e compimento attraverso vari vìottoli, varie voci, ora liriche ora sboccate, ma sempre in rigoroso falsetto, in un’esecuzione formale chirurgica. Il caso, centro e periferia dell’opera di Landolfi, estesa filigrana che riluce sotto ogni riga, trova dunque posto nel titolo di uno dei suoi ultimi libri, ed è il protagonista svelato del racconto eponimo della raccolta. Già ne La Biere du Pecheur: “Non potrò mai scrivere veramente a caso e senza disegno sì da almeno sbirciare, attraverso il subbuglio, il disordine, il fondo di me?”. Gratuità nello scrivere e nel vivere che però, come osservava Italo Calvino, è messa in dubbio proprio nel racconto A caso, laddove dopo un serrato dialogo con un altro sé stesso, o con il diavolo, o con chissà che altra malevola voce, il delitto gratuito vagheggiato non viene compiuto. Quello di Landolfi con il caso è dunque un rapporto di diffidente fascinazione, profonda e costante, e non farà mai altro che corteggiarlo e combatterlo. Fra i racconti, Milano non esiste, dove lo statuto d’esistenza della città è messo in discussione: “Mi-la-no; che bella e scorrevole parola. Ma, a essa, corrisponderà davvero qualcosa? Si darà davvero la gloriosa città di Milano, o non sarà invece che un fumo? E che significa questa massiccia stazione, la quale parrebbe alludere a traffici, a concreti propositi, a vita accolta anzi convinta? E se mai, che ci fo io qui? […] E quando sento, per esempio: “Lei dove scende?”. “A Voghera; e lei?”. “Io vado a Milano”, rido sotto i baffi.

 

Milano, è evidente, non esiste. In Un petto di donna un uomo salva la vita a una sconosciuta a cui sta osservando il seno e di fronte alla sua gratitudine le chiede se è felice perché “mi dorrebbe, in fin dei conti, averle salvato una vita infelice”. Ne Il riso un uomo stanco di vivere assolda un killer per ucciderlo quando meno se lo aspetta. In Osteria del numero venti, dove si racconta il primo approccio amoroso di due ragazzi, protagonista è il simbolo freudiano per eccellenza dell’ansia da castrazione, la vagina dentata. In Rugiada d’oro, un discepolo racconta le gesta del suo maestro, con linguaggio altisonante e inaccessibile. A caso presenta i racconti maturi di un uomo mercuriale, imprendibile, di un autore difficilmente inscaffalabile dai tassonomisti della letteratura, tanto schivo e contraffatto con gli uomini, quanto loquace e disinibito quando si trattava di conversare con le ombre. / Con una prosa aristocratica e ricchissima, che gli ha attirato spesso l’accusa di snobismo, Landolfi travalica le etichette di romantico noir, surrealista mediterraneo e funambolo della lingua che gli si potrebbero associare indulgendo all’approssimazione. E se siamo ancora qui a parlarne nonostante non concedesse quasi mai interviste, non ritirasse i premi che gli venivano assegnati e pretendesse dall’editore di lasciare in bianco i risvolti dei suoi libri, qualcosa vorrà pur dire.

 

A CASO
Tommaso Landolfi
Adelphi, 189 pp., 14 euro

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