Da Caporetto a Vittorio Veneto

Vincenzo Pinto

Gioacchino Volpe
Rubbettino, 132 pp., 15 euro

La nuova edizione dello studio di Gioacchino Volpe dedicato alla rotta di Caporetto, curato da Andrea Ungari, è l’occasione di ripensare a un secolo di distanza il problema dell’Unità nazionale, riproposto pochi decenni dopo l’8 settembre 1943 e tuttora argomento di discussione di fronte ai processi globali di ridefinizione etnica, culturale ed economica del nostro paese. Volpe indaga le ragioni della sconfitta militare italiana, evitando di accanirsi contro i limiti personali di Cadorna, ma puntando – come fa giustamente notare Eugenio Di Rienzo nel lungo saggio introduttivo – a individuare i “veleni” diffusi nel paese che poi avrebbe costretto il “malato italiano” alla “cura fascista” postbellica. Il testo di Volpe ripercorre la storia italiana dall’inizio del 1917 sino alla fine della guerra. Lo storico si concentra soprattutto sulla distanza esistente tra i combattenti in trincea (gli ufficiali del Comando supremo militare) e il fronte interno (i politici contrari alla guerra), all’insegna di una mancata integrazione tra le varie parti del popolo italiano, che avrà luogo solo dopo la sconfitta di Caporetto. La parabola inizia con la descrizione del quadro interno, caratterizzato da una percezione negativa della guerra alimentata da una “massa varia e incoerente, la massa dei deboli”. I veleni iniettati dalle retrovie infettano la truppa e, uniti a indubbi errori dell’Alto Comando, portano alla ritirata strategica verso il Piave. Il punto più basso (le fughe, le diserzioni, la “grande paura”, ecc.) fa seguito alla resistenza vittoriosa e alla “restaurazione”. “E pur tuttavia – osserva in conclusione – Caporetto, creato, un poco, da noi stessi, come cinquanta anni prima Custoza e Lissa, come venti anni prima Adua; Caporetto rimase e ancora rimane, e ogni tanto noi italiani ce lo vediamo buttato fra i piedi da quanti hanno interesse a fermarci sulla nostra strada. Ma l’impresa diventa sempre più difficile. L’Italia, dopo essersi quasi ravvisata in Caporetto, ha ritrovato il Piave e Vittorio Veneto, cioè la coscienza della Vittoria”. Che cosa resta a distanza di un secolo del testo su Caporetto? Una testimonianza importante di quale fu lo stato d’animo generale diffuso nell’Italia postbellica e la ricerca di capri espiatori. Volpe è convinto che la vittoria sia di tutti e la sconfitta altrettanto: puntare il dito contro singoli individui (come Cadorna) oppure contro le “ataviche debolezze” del milite italiano sono solo pretesti incapaci di osservare i movimenti profondi della storia, cioè la lenta e difficoltosa formazione di una coscienza nazionale fra le masse “inerti” e “indifferenti”. Al di là dell’afflato etico-politico, lo storico abruzzese avanza una lettura psico-fisiologica delle cause della sconfitta: l’Italia è un corpo che va curato e liberato dai suoi “veleni”. Toccherà poi al fascismo assumere le vesti del “medico-guaritore”.

 

DA CAPORETTO A VITTORIO VENETO
Gioacchino Volpe
Rubbettino, 132 pp., 15 euro