Il voto apolitico

Vincenzo Pinto

Carlo Spagnolo
Il Mulino, 333 pp., 26 euro

Idilemmi della politica interna tedesca sono, giocoforza, anche quelli degli altri stati nazionali europei e dell’intera Unione europea. Il saggio di Carlo Spagnolo, professore associato di Storia contemporanea all’Università di Bari, ripercorre il lungo dibattito ottocentesco in seno agli stati regionali tedeschi, poi confluito nell’Impero bismarckiano dopo il 1871, circa il problema della rappresentanza parlamentare. L’autore ravvisa profonde analogie fra i dilemmi ottocenteschi e quelli attuali, vale a dire la tentazione di neutralizzare i conflitti democratici all’interno di un potere politico guidato dall’efficiente allocazione delle risorse da parte del mercato. Questa “mano invisibile” giustificherebbe i rapporti di forza esistenti nel mercato come “naturali e necessari”. La storia della procedura elettorale nella Germania ottocentesca, secondo Spagnolo, è un caso emblematico di sviluppo di una concezione apolitica del suffragio. In altre parole, i limiti del parlamentarismo non consistono tanto nell’essere portatore di una conflittualità politica esagerata e sterile, quanto nell’essere lo strumento per la conservazione delle strutture socio-economiche inverate nello stato. Una disamina della composizione cetuale delle camere regionali e federali tedesche lungo l’Ottocento mostra la tendenza alla formazione di una rappresentanza organicistica fra i nuovi ceti sociali e poi fra i partiti di massa, maggiormente interessata alla salvaguardia delle istituzioni statali che alle forme di rappresentanza democratica. Il saggio di Spagnolo abbandona l’interesse consueto per la sociologia delle classi, soffermandosi piuttosto sulle culture politiche del liberalismo e del conservatorismo tedeschi che hanno caratterizzato il trapasso dal voto censitario al suffragio universale. La fine dell’Impero tedesco nel 1918 segna non solo la dissoluzione del “mito del voto neutro”, ma anche di un intero mondo di simboli, rappresentazioni e miti, creando un immenso vuoto politico che sarebbe stato colmato dal nazionalsocialismo. Non è un caso che l’autore tiri in ballo Carl Schmitt e la sua critica al formalismo positivistico di Hans Kelsen, che sembrerebbe rinverdire i suoi fasti nel proceduralismo tedesco su scala continentale. Si tratta indiscutibilmente di un tema di grande attualità e che, affrontando la transizione ottocentesca della “rappresentanza” tra assolutismo monarchico e parlamentarismo liberale, ci permette di cogliere lo stretto nesso tra pensiero liberale, conservatore e – aggiungiamo noi – cristiano che caratterizza le istituzioni continentali. Il lento avvicinamento tra unione politica e unione economica dovrà necessariamente ridefinire la dimensione semantica del corpo politico, specie di fronte alle sfide inferte dalla globalizzazione.

 

IL VOTO APOLITICO
Carlo Spagnolo
Il Mulino, 333 pp., 26 euro

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