Non mi vendere, mamma

Flaminia Marinaro

Barbara Alberti
Nottetempo, 148 pp., 12 euro

Dice Barbara Alberti che raccontare un libro è come raccontare un sogno, non si può che tradirlo. Ma proprio sotto forma di sogno, di narrativa deliziosa, di filastrocca sfiziosa questa geniale autrice decide di raccontare il Tradimento, quello con la T maiuscola, quello che si consuma ancor prima dei fatti. Una bambina abbandonata, costretta a vivere in un orrendo orfanotrofio con delle orrende suore finché finalmente cresciuta sta per diventare mamma. Ma Asia, è questo il nome della bambina, fin troppo bizzarro e sofisticato, è una di quelle mamme con la “m” minuscola che per una spicciolata di monetine mette a segno il Tradimento di suo figlio ancor prima che nasca. “Generato non creato” recita il Credo ma quello era Cristo e questa è tutta un’altra storia, raccontata con tale ironica leggerezza e dinamismo, con tale capacità di alternare il linguaggio dotto alla parlata romana di periferia che il risultato è una vivacissima narrazione surreale in cui sfila una galleria di personaggi amabili e odiosi. I più antipatici, gli americani acquirenti del bambino che non a caso si chiamano Trump, spregiudicati miliardari senza scrupoli e sentimenti, e poi il dolcissimo cane parlante, il pappone Lillo “un buono a nulla capace di tutto” e naturalmente il protagonista assoluto della vicenda, Chico, il bambino che deve nascere, la voce della sua coscienza, un seduttore e affabulatore che le grida “non mi vendere mamma” e che altro non è che quella “goccia di vita scappata dal nulla” evocata dolorosamente dalla Fallaci non troppo tempo fa in una società che dibatteva il problema dell’aborto e per la quale l’utero in affitto sarebbe sembrato fantascienza. Anche quella società gridava “non ti voglio” ma non ti voleva ieri come mera conquista del diritto alla sterilità come emblema di vittoria e “non ti voglio” oggi perché preferisce il vuoto di te in cambio di quattro monete sputate dal gatto e dalla volpe compiaciuti e beffardi a leccarsi i baffi mentre vigliaccamente si nascondono dietro l’albero dell’ipocrisia e dell’insensibilità mascherato dalle fronde dell’amore. Insomma un ininterrotto flusso di coscienza attraverso un dialogo immaginario, ma neanche troppo, e un paradosso fiabesco talmente attuale da fare ancora più male. Come tutte le favole, il finale è un inno alla vita. Asia capisce, ragiona, si sveglia dal torpore e scappa. Scappa con Chico, sfida le istituzioni, scompone quel dramma sociale per riconquistare quella “M” maiuscola che la vita le ha sottratto. Questo però è il finale di un libro, la vita, ahinoi, è tutta un’altra storia.

 

NON MI VENDERE, MAMMA
Barbara Alberti
Nottetempo, 148 pp., 12 euro

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