Rivoluzione digitale e disordine politico

Stefano Taddei

Antonio Pilati
Guerini e Associati, 173 pp., 16,50 euro

L’incessante rivoluzione digitale porta rivolgimenti sociali e politici spesso non ben compresi. Le nostre menti sono ormai generalmente connesse e tutti si possono porre come una fonte per gli altri. Ciò non genera, però, grande ricchezza poiché, tra origine e utente, sovente si trova solo opera volontaria. Anche saltando i confini geografici poi le interazioni sociali si stanno standardizzando. Ciò ha come conseguenza, ormai sotto gli occhi di tutti ma a cui tutti stanno genuflessi, uno studio per nulla occulto dei comportamenti del singolo per possibili orientamenti di marketing dei colossi delle società che operano nel campo. Questo arricchisce sempre i soliti noti della finanza e la politica, ormai a uno stadio terminale per quanto riguarda la sua presa sulla contingenza, non fa assolutamente nulla per invertire la tendenza e ampliare la platea che potrebbe usufruire di tale capitale. La continua proliferazione di dati e informazioni non può che avere una deriva ancora difficilmente circoscrivibile ma con un orizzonte che si presenta particolarmente fosco. Tutto ciò è cospicuamente analizzato nel testo di Antonio Pilati. Innanzitutto l’autore ci ricorda che il mercato difficilmente non va a braccetto con i più diversi sistemi politici, creando ricchezza fuori dagli stilemi di quell’ordine mondiale che per tanto tempo è stato incarnato dall’occidente. Il mercato si espande, proliferano soggetti influenti a livello planetario e la politica è certamente in affanno. La rappresentazione del mondo diviene poi poco ancorata alla realtà e i politici spesso si accodano a questa deriva proponendo promesse impossibili. La virtualità poi, soprattutto utilizzata da certo fanatismo omicida, ha ricadute in istituzioni statali reali, creando sovente una propagazione d’istituzioni ufficiali, riconosciute e non. Un ordine mondiale, durato per decenni e saltato con la rivoluzione digitale all’inizio degli anni Settanta, trova attori che difficilmente propongono una scelta ma sanno solo rimandare decisioni che sarebbero impellenti. Questo genera una complessità difficilmente regolabile e ciò provoca inevitabilmente instabilità, sia nei modelli tecnologici che nell’ordinamento delle organizzazioni. In Asia, dove ci sono tradizioni ideali che premiano il gesto risolutivo, la politica sembra più ancorata all’ascesa finanziaria. Nell’attualità, soprattutto nelle economie stagnanti, la tecnologia è comunque l’unico motore di sviluppo e di remunerazione per la creatività. Ciò porta però a una riduzione della forza-lavoro. La tecnologia, infatti, mira a standardizzare le attività e la discrezionalità diviene perciò superflua. Le capacità di ognuno si espandono ma non fanno lo stesso gli introiti collettivi. Perciò accelerazione economica non sta al momento a significare anche espansione economica. Ciò non può che influenzare le sfere della politica e della finanza. Una stagnazione economica infatti preclude nel soggetto un’apertura verso il futuro. La politica, ormai asservita alla finanza e, come si ricordava anche prima, preda della sua scarsa presa sulla stringente attualità, non fa che adeguarsi a quest’andamento, occludendo aperture verso possibilità inusitate che potrebbero cambiare la situazione. Secondo l’autore, la vera rivoluzione avverrà quando le aziende digitali riusciranno veramente a travolgere al meglio la vita degli individui, creando cioè oggetti che miglioreranno l’esistenza delle persone. Tale “commerciabile promessa di vita”, se condivisa e non solo come ora in mano a pochi, potrà riaccendere una speranza per una collettività aperta al futuro.

 

RIVOLUZIONE DIGITALE E DISORDINE POLITICO
Antonio Pilati
Guerini e Associati, 173 pp., 16,50 euro

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