Caffè amaro

Flaminia Marinaro
Simonetta Agnello Hornby
Feltrinelli, 348 pp., 18 euro

    Caffè Amaro” si svolge nella Sicilia dei primi del Novecento. Un’Isotta Fraschini si inerpica veloce e roboante lungo la Via Grande di Camagni, condotta da Pietro Sala, un gentiluomo elegante nella sua giacca turchina, un berretto di cuoio nero, occhialoni e sciarpa. L’autista è seduto accanto a lui. E’ solo di passaggio nello sfarzoso e opulento palazzo di famiglia, diretto ad acquistare la tenuta di Fuma Vecchia quando resta letteralmente sopraffatto dai movimenti suggestivi e sensuali della giovane Maria Marra, figlia dell’avvocato incaricato della vendita. Quasi che la ragazza dalla pelle olivastra e dagli occhi vellutati avesse compiuto una “malia” anche a lui. Ci fu un lungo silenzio finché Pietro si rivolse al Marra chiedendo: “Me la dareste?”. E’ con questa immagine che Simonetta Agnello Hornby dà il via a una fiction novel di grande qualità letteraria, specchio di una mentalità e di un’epoca insospettabilmente moderne in cui traspare però attraverso la creazione dei personaggi una nervatura biografica sia pur non espressa. Seguendo il canone di Javier Cercas, un romanzo può dirsi tale se ha una capacità architettonica e se il testo pone una domanda etica. Ebbene, in Caffè Amaro è il montaggio il primo elemento che colpisce, un racconto fatto di piani alti e bassi, di attici, scantinati, disimpegni, giardini. L’autrice punta l’obiettivo su un volto o un altro, sembra utilizzare sapientemente la tecnica del campo e controcampo per dar luce e voce a punti di vista diversi superando così l’elemento monodimensionale e spingendosi fino al confine con la sceneggiatura che potrebbe animarsi nella più raffinata cinematografia d’autore. “Caffè amaro” è un potente affresco di una società di provincia al contempo spietata e ingenua, formale e libera. E’ un formidabile intreccio di dialoghi o battibecchi in cui il dialetto siciliano è magnificamente vibrante. E’ ironica anche nell’analisi storica e nei ritratti dei personaggi chiave del nostro secolo, di un Mussolini che definisce ridicolo e dall’aspetto sgradevole e che inspiegabilmente si trasforma in Messia quando parla alla nazione ma che ancor più inspiegabilmente riesce a creare qualcosa di solido, vero, esaltante e pauroso. La Grande guerra resta uno sfondo opaco del libro ma soprattutto della vita dei protagonisti, che mantengono serenamente le proprie abitudini avvolti come da una glassa deliziosa e protettiva che li avviluppa finché il calore del sole impastato a cocaina, alcolismo e tradimenti scioglierà quello zucchero colorato di perbenismo simbolo di una Sicilia ancora piena di tradizioni e contraddizioni. Cambia ritmo nella seconda parte del romanzo, e la storia entra con più prepotenza nelle pagine, forse perché le leggi razziali colpiscono Giosuè compagno di vita di Maria. Quest’ultima è il simbolo di un cambiamento epocale, dell’emancipazione delle donne lenta ma inesorabile, della presa di coscienza che il mondo declinato al maschile è ormai sulla via del tramonto. Quel caffè non resterà amaro per troppo tempo. Passione e desiderio sono descritti con forza e con voluta precisione, con erotismo ma senza volgarità, quel mondo è quasi pronto per essere traghettato nel contemporaneo e Maria, Pietro, Giosuè, Titina, Anna, Vito e tutti gli altri personaggi tanto vitali quanto necessari ne saranno artefici. Gli episodi si alternano e corrono travolgenti, è un fiume in piena la narrativa della Hornby, un fiume gonfio e zampillante come il sesso di Pietro, istrionico “raconteur”, che sussulta a ogni “taliata” di sua moglie, come il petto delle cognate invidiose e tronfie come dei tacchini farciti per la tavola “conzata” della sera di Natale, come la timida e tenera complicità dello zio Giovannino per il suo segretario e soprattutto come l’amore di Giosuè limpido e totalizzante fino all’ultimo respiro.

     

    CAFFE' AMARO
    Simonetta Agnello Hornby
    Feltrinelli, 348 pp., 18 euro