Le bombe di Roma

Roberto Raja
Nicoletta Orlandi Posti
Castelvecchi, 144 pp., 16,50 euro

    Non fu solo la strage di piazza Fontana. Il 12 dicembre 1969 nell’arco di un’ora altri quattro ordigni, sia pure meno devastanti di quello che li aveva preceduti, diedero corpo al primo vero manifestarsi della strategia della tensione. Quasi contemporaneo allo scoppio alla Banca nazionale dell’agricoltura, il ritrovamento della bomba inesplosa alla Banca commerciale, sempre a Milano. Poi a Roma: alle 16,55 l’esplosione nel corridoio sotterraneo della Banca nazionale del lavoro di via Veneto e intorno alle 17,30, a meno di dieci minuti l’una dall’altra, le due bombe all’Altare della patria (quattro i feriti). Anche per gli attentati di Roma, come per la strage di Milano, le colpevolezze preconfezionate, i depistaggi, le omertà hanno fatto sì che la verità processuale si sia incartata in una lunga sequenza di sentenze spesso contraddittorie e di annullamenti. Per nessuno di questi attentati si è riusciti a dare un nome a chi ha collocato le bombe, anche se nelle ultime due sentenze la responsabilità è attribuita a terroristi di destra guidati da Franco Freda e Giovanni Ventura (non più processabili perché in precedenza assolti per questo reato con sentenza definitiva). Nicoletta Orlandi Posti torna sulle bombe di Roma, ne ricostruisce l’inchiesta ma soprattutto si mette in un particolare angolo di visuale per raccontarci una storia che attraversa quei fatti: storia vera – rintracciata nelle carte dei procedimenti giudiziari – per quanto romanzata. Conosciamo così la vicenda di Udo Lemke, un giovane tedesco che “il giorno dopo gli attentati già aveva indicato la pista nera, già aveva parlato dei rapporti tra la mafia e l’estrema destra, già aveva parlato di quel piano eversivo che verrà rivelato solo mesi dopo. Già aveva scagionato gli anarchici”. Ma era rimasto inascoltato, perché inghiottito nel mainstream investigativo, tutto volto a cercare i responsabili tra gli anarchici, e forse anche perché la sua testimonianza, offerta spontaneamente, sembrò – e sembra ancora oggi – infarcita di troppe coincidenze per essere vera. Raccontò infatti Udo, allora ventitreenne, di essere arrivato quindici giorni prima in Italia, di aver ritrovato a Palermo una vecchia conoscenza che gli aveva proposto di incontrare delle persone di Catania per avere un lavoro, di aver poi visto in effetti questi catanesi, ma di aver rifiutato la loro offerta di un facile guadagno se avesse piazzato in una città imprecisata una borsa per una esplosione dimostrativa, di essere stato minacciato per questo e invitato a lasciare l’Italia. E poi, di essersi fermato comunque a Roma, di aver dormito per alcune notti tra i ruderi sotto la chiesa dell’Ara Coeli e da lì di aver sentito le esplosioni al vicinissimo Altare della patria e, una volta uscito in piazza Venezia, di aver visto allontanarsi le stesse persone che aveva incontrato in Sicilia. Una versione che Udo avrebbe cambiato più di una volta nel 1972, davanti al giudice D’Ambrosio, fino a concludere “io degli attentati non ho mai saputo niente”. Quale fosse la verità di Udo Lemke, non è dato sapere: di lui s’è trovata solo una labile traccia ancora in quello stesso 1972 in Germania e poi più niente, né tanto meno è riuscita a trovarlo oggi Nicoletta Orlandi Posti. Appare pertanto improba la missione, enunciata alla fine del libro, di “ricostruire quel puzzle di cui mancano ancora delle tessere” attraverso figure minori come quella di Udo Lemke, che “può offrire spunti di riflessione sul modus operandi di chi ha orchestrato il tutto” (ma non lo conoscevamo già, in buona sostanza?). E non sarebbe certo d’aiuto il contributo, auspicato da Marco Capocetti Boccia nella prefazione, “di altre opere storico-politiche a carattere militante, che aumentino la riflessione, il dibattito, la conoscenza su quegli anni di lotte e liberazione, anche contro chi li ha marchiati con l’infamia di Anni di piombo”.

     

    LE BOMBE DI ROMA
    Nicoletta Orlandi Posti
    Castelvecchi, 144 pp., 16,50 euro