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lettere al direttore

Quanto sono concreti i timori per il futuro di Tim. Una precisazione

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sogni in “Rapito”. Nel primo, il piccolo Edgardo Mortara leva con le sue mani i chiodi dalla croce, così riporterà Cristo in vita e, cancellato il delitto del Golgota, potrà tornare dai suoi famigliari. L’indottrinamento sulla perfidia del popolo deicida fu pretesto di innumerevoli pogrom. Solo nel 1959 Papa Giovanni XXIII espunse dalla liturgia pasquale le parole “perfidis judaeis”. Nel secondo sogno Pio IX crede  che siano entrati rabbini nella sua stanza: chini sul suo letto, vogliono circonciderlo. In un film tanto straziante non poteva mancare un tributo all’humour ebraico. Ai sefarditi italiani invece, ricorda il dogmatismo cattolico: è ancora in auge l’articolo 868 paragrafo 2 del codice di Diritto canonico, per cui “il bambino di genitori cattolici e persino di non cattolici, in pericolo di morte è battezzato lecitamente anche contro la volontà dei genitori”.
Franco Debenedetti

       


      

Al direttore - Con rammarico abbiamo letto la sua risposta alla lettera dell’on. Paolo Cirino Pomicino dal titolo “Su Tim e Kkr il silenzio del Parlamento non è una cattiva notizia”. Con rammarico perché definisce la nostra azienda “tecnicamente fallita”. E’ una definizione che respingiamo con forza e per cui riteniamo che sia opportuno replicare con informazioni fattuali. Il piano che abbiamo presentato quasi un anno fa ha l’obiettivo di mettere in luce i punti di forza delle nostre attività infrastrutturali e dei servizi che hanno dinamiche di business e di investimento diverse. Per questo ci stiamo focalizzando per estrarre tutto il valore inespresso. Le azioni intraprese fino a oggi ci stanno dando ragione: il 2023 sarà l’anno in cui torneremo a crescere anche in Italia, avendo sempre difeso i livelli occupazionali. Sul tema del debito aggiungo che quest’anno siamo tornati a finanziarci sul mercato con un’emissione obbligazionaria che ha raccolto il forte interesse del mercato permettendoci di fissare un tasso più basso rispetto alle aziende con il nostro stesso rating. Questa è la riprova più importante della fiducia che il mercato ripone nella nostra azienda. Il livello di indebitamento è sicuramente alto e sarà il nostro consiglio di amministrazione a valutare le opzioni più pertinenti per voltare pagina. E’ importante fare queste precisazioni perché il termine da lei utilizzato costituisce un’informazione sbagliata che può generare distorsioni soprattutto tra i piccoli azionisti. Grazie per l’attenzione.
Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim

 

Le società falliscono per motivi patrimoniali o per mancanza di cassa. E’ vero: oggi Tim non ha problemi né patrimoniali né di cassa. Ma dato che ha una gestione operativa che non gli permette di pagare il debito o Tim fa un’operazione straordinaria (vale a dire una cessione di attività o un aumento di capitale in grado di riequilibrare il suo debito: parliamo di 20 miliardi di euro) o è destinata nel medio periodo a trovarsi in una situazione fallimentare in cui la cassa non c’è più. Tim, per fortuna, oggi ha valori degli attivi superiori al debito. Ha creditori che hanno ancora fiducia nel suo futuro. E ha un’offerta sulla rete che grosso modo coincide con il suo debito. Ma fino a quando l’operazione straordinaria non si sarà realizzata, purtroppo, temere che il futuro di Tim possa essere fallimentare, anche tecnicamente, è un tema vero che non si può non affrontare. Grazie della precisazione e in bocca al lupo.

   


   

Al direttore - Leggendo il gran pezzo di Salvatore Merlo (“la politica è la logica inesorabile di Marte, che per rivincere domani sa che non deve stravincere oggi né infierire sul soccombente”) mi è tornato in mente che la splendida Colonna Traiana celebra la conquista della Dacia riconoscendo agli sconfitti l’onore delle armi. Un modo, in fondo, di celebrare gli stessi vincitori che avevano trionfato su un popolo così fiero. Quel senso di rispetto (forse persino di pietas) nei confronti dei vinti è invece dimenticato dallo scultore della colonna di Marco Aurelio, sui cui rilievi c’è spazio solo per un racconto bellico crudo e beffardo. L’estate di San Martino degli Antonini, per dirla con Gibbon, era passata e si affacciavano tempi meno felici per quegli stessi vincitori. Oggi, il presidente del Consiglio può guardare, dai propri uffici, proprio la colonna di Marco Aurelio, ma farebbe meglio a rappresentarsi visivamente la Colonna Traiana. Memento mori.


Giuseppe Portonera

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