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Altre due citazioni di Manzoni che potrebbero tornare utili al governo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “Quel ramo sul Lago di Garda…”, come disse la conduttrice di un talk televisivo della Rai. Solidarietà ad Alessandro Manzoni.
Michele Magno

A proposito di Manzoni. Lunedì, Mattarella ha usato una frase magnifica per spiegare come i “Promessi Sposi” possono dire qualcosa anche all’Italia che oggi cerca di combattere il populismo. “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune” (capitolo XXXII). Accanto a questa frase, se ne potrebbero aggiungere altre due. La prima (capitolo XXXVII): “L’attività dell’uomo è limitata; e tutto il di più che c’era nel comandare, doveva tornare in tanto meno nell’eseguire. Quel che va nelle maniche, non può andar ne’ gheroni”. Dedicata, ovviamente, alla differenza che vi è tra il dire e il fare, tra il promettere e il realizzare, tra il  comandare e il governare. La seconda (capitolo XXIV) è la frase fatta dire da Manzoni a don Abbondio: “Del senno di poi ne sono piene le fosse”. Dedicata a chi, una volta arrivato al governo, grazie all’arte dell’incoerenza cerca di rimuovere tutte le scemenze dette nel passato. 


 

Al direttore - Ho letto nella Piccola Posta l’articolo sulla Somalia di Adriano Sofri, del quale conosco le qualità intellettuali e, anche per questo, vorrei esprimere un’osservazione critica. Sono stato in Somalia alla metà degli anni 80 e posso dire che la realtà del paese che conobbi, del suo rovinoso iter successivo, dei nostri rapporti con esso, è diversa da quella accennata nell’articolo della Piccola Posta. Nel 1998 ne feci una descrizione su Limes, in forma narrativa. Il declino della Somalia iniziò dopo la guerra con l’Etiopia. Essendo entrambi paesi di tendenze socialiste, in buoni rapporti con l’Unione sovietica, quest’ultima dovette scegliere con chi schierarsi e la scelta fu a favore dell’Etiopia. La Somalia cercò quindi l’appoggio degli Stati Uniti. Il governo americano, seguendo un canone che purtroppo si sarebbe poi ripetuto in altri ben noti paesi islamici (con esiti controproducenti e autolesionistici per gli Stati Uniti, per noi europei e per gli stessi  paesi islamici) dette mandato all’Arabia Saudita di “evangelizzare” e colonizzare culturalmente la Somalia. L’obiettivo,  era quello di radicare ivi un islam ortodosso (che i somali e le somale non avevano mai praticato) e quindi impedire che in futuro il paese potesse ritornare nell’orbita sovietica. L’operazione direttamente osservata dal sottoscritto fu quella dell’affidamento ai sauditi delle facoltà umanistiche e giuridiche dell’Università di Mogadiscio, mentre quelle scientifiche e tecnologiche rimanevano agli italiani. Ovviamente la politica progressista e modernizzatrice del governo di Siad Barre (che fra l’altro aveva promosso la sedentarizzazione dei nomadi e lo sviluppo produttivo), non ebbe seguito. La dissoluzione dello stato, il perdurante terrorismo di matrice islamista radicale, la penetrazione turca, la pirateria, il regresso civile ed economico della società somala scaturiscono da quell’ingenuo errore strategico degli Stati Uniti. Imputarne la responsabilità all’Italia e ai suoi politici è infondato e ingiusto. Al di là di questo, parlando di Somalia, non può non tornare alla memoria il triste episodio dell’assassinio di Alpi e Hrovatin, come pure quello di Li Causi. Da chi ha conosciuto la Somalia in quegli anni è stato osservato che, purtroppo, la grande dedizione di Ilaria Alpi al proprio lavoro di giornalista non si accompagnò, in quella vicenda, a un sufficiente grado di consapevolezza del pericolo che essa correva, in un paese ormai allo sbando, svolgendo un’inchiesta su un fenomeno intorno al quale ruotavano grandi interessi economici.

Gabriele Ciampi, geografo in pensione dell’Università di Firenze 

 

Risponde Adriano Sofri. Ringrazio, non ne so abbastanza, cerco fonti buone. Gli Stati Uniti (e il contingente italiano) si procurarono in Somalia, e procurarono all’Onu, un umiliante disastro, culminato nella battaglia di Mogadiscio e nella rotta di “Restore Hope”: ma eravamo già nel 1993-1995. La responsabilità dell’“Italia e dei suoi politici”, e purtroppo specialmente dei socialisti, era stata ingentissima, quanto la portata degli “aiuti” economici e militari, che ingrassarono le aziende italiane e la corruzione nei due paesi. La politica “progressista” di Siad Barre era durata poco, mutata in una sua dittatura “marxista” e famigliare feroce e grottesca, cui l’associazione italiana in affari loschi non mancò fino alla fine (gennaio 1991). Dei molto rimpianti Alpi e Hrovatin (e di Vincenzo Li Causi) osservo che è abitudine diffusa imputare a chi muore ammazzato facendo il proprio lavoro di non aver avuto un grado sufficiente di consapevolezza del rischio: argomento da Compagnia di Assicurazioni.
 

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