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Lettere

E se Salvini si occupasse meno di migranti e più di infrastrutture?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Leggo dalle agenzie: “Le ruote anteriori di un treno regionale vuoto che rientrava al termine del servizio commerciale in deposito, mentre viaggiava quindi a bassa velocità e senza passeggeri a bordo, sono uscite dalla sede ferroviaria provocando l’arresto del convoglio”. Soltanto poche settimane fa, se non ricordo male, nello stesso tratto un treno merci è uscito dai binari alla stazione di Castello, nei pressi di Sesto Fiorentino e ha bloccato per ore la circolazione da nord a sud del paese. Qualche altra settimana prima, sempre nell’area vicino a Firenze, vi è stato un tamponamento fra treni merci con il ferimento di due macchinisti. Caro Cerasa, una domanda: se l’attuale ministro delle Infrastrutture non fosse oggi il ministro delle Infrastrutture cosa avrebbe detto dell’attuale ministro delle Infrastrutture?
Maria Maroni

Se Salvini non fosse al governo, probabilmente, avrebbe già chiesto le dimissioni del ministro delle Infrastrutture. Più che chiedere dimissioni però qui vale la pena rivolgere un appello: sbloccare, senza perdere più tempo, il benedetto passante ferroviario di sette chilometri che dovrebbe immettersi in galleria all’altezza della stazione Campo di Marte per riuscire in superficie e ricollegarsi alla linea principale tra Rifredi e Castello, nella zona di viale XI Agosto, e smetterla, al governo, di giocare allo scaricabarile ogni volta che un treno si ritrova in difficoltà in una zona ferroviaria dove le difficoltà non sono casuali ma sono strutturali. Nella seconda metà di maggio, così risulta, dovrebbero partire i lavori per cominciare a scavare. Se Salvini si occupasse meno di migranti e più di scavi sarebbe un bene non solo per chi viaggia in treno ma per tutta l’Italia.

 


Al direttore - Mini recensione. “Ancora spero” di Marina Cicogna. Donna veramente notevole. Nipote di Giuseppe Volpi di Misurata, il principale finanziere italiano durante il fascismo, è stata una importante produttrice cinematografica, ha divorato la vita. A lei si deve l’ancora oggi maestoso “Anonimo Veneziano”, con Tony Musante (doveva essere Gian Maria Volonté, che sarebbe stato meno adatto) e Florinda Bolkan, di cui è stata per moltissimi anni fidanzata, in un legame omosessuale esibito anche quando non usava. Il fratello suicida e una dissipazione patrimoniale ragguardevole completano il quadro di una vita degna di essere vissuta!


Luca Garavoglia


 

Al direttore - Con grande piacere sto seguendo i tanti interventi sull’intelligenza artificiale che il suo giornale sta ospitando in queste ultime settimane, dando spazio a voci e opinioni diverse, con l’intento di creare un dibattito e un confronto – anche attraverso intelligenti provocazioni – intorno a una tecnologia destinata a incidere in modo crescente sulle nostre vite e sul nostro lavoro. In una fase storica in cui la curva di sviluppo tecnologico è sempre più esponenziale e ogni giorno vengono prodotti oltre 328 milioni di terabyte di dati, l’innovazione ha implicazioni sociali ed economiche mai viste in precedenza. Personalmente, ma anche come ceo di un’azienda tecnologica che ha l’ambizione di favorire e velocizzare la transizione digitale del paese, credo che le nuove tecnologie funzionino se disegnano un modello sociale più sostenibile e inclusivo e che la chiave sia partire dai bisogni delle persone e trovare soluzioni. Falliamo invece se cerchiamo di capire quali applicazioni può avere una tecnologia solo dopo averla sviluppata. Ogni innovazione generata dal digitale deve essere fortemente antropocentrica, così da mettere al centro l’uomo e i suoi valori, ponendosi come prima finalità quella di creare benefici concreti. Bisogna porsi le domande giuste, con le quali tracciare la strada che permetta al progresso di diventare equo, condiviso e compreso dai cittadini.  Per esempio, che ruolo può rivestire l’Italia nel digitale, il cui mercato – secondo Anitec-Assinform – nel 2025 supererà i 90 miliardi di euro? Quali opportunità possiamo cogliere per l’occupazione, anche per le discipline umanistiche? Entro il 2025, il 60 per cento dei lavori riguarderà attività che oggi non conosciamo, secondo il Fondo monetario internazionale. Come possiamo adattare l’offerta formativa? E garantire concretamente che la tecnologia sia inclusiva e accessibile e non divisiva? Possiamo pianificare un ciclo economico di crescita e benessere per il nostro paese?  Penso non ci sia bisogno di moratorie, ma piuttosto di arrivare alle risposte più appropriate attraverso la collaborazione di decisori politici, giuristi, filosofi, insieme alle aziende, ai ricercatori e ai tecnici. Credo anche che l’Italia abbia le competenze per proporre all’Europa un modello con cui elevare la tecnologia a primo fattore di sviluppo critico e sostenibile in chiave competitiva e geopolitica per il nostro continente.
Maximo Ibarra, ceo Engineering
 

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