Foto di Dakota Corbin, via Unsplash 

lettere

Io, madre single per scelta. Una scelta folle che confermo ogni giorno

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Quasi la metà degli italiani (il 49,15 per cento) nel 2021 non ha dichiarato redditi. Circa il 13 per cento dei contribuenti – quelli con redditi dai 35 mila euro in su – ha versato da solo il 60 per cento dell’Irpef. Negli ultimi quindici anni la spesa assistenziale a carico della fiscalità generale è balzata da 73 a 145 miliardi, mentre i poveri assoluti – anziché ridursi – sono passati da 2,1 milioni a 5,6 milioni (da 6 a 8,5 quelli in povertà relativa). C’è qualcosa che non torna. Ma forse è tutta colpa del neoliberismo.
Michele Magno

 

Aggiungerei qualche dato in più, ricordato ieri dall’ottimo direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini. Il peso fiscale che grava sui cittadini non è equamente distribuito. Oltre il 90 per cento del gettito Irpef proviene da dipendenti e pensionati. E il 57 per cento dei 41 milioni di contribuenti Irpef dichiara meno di 20 mila euro. Direi che è più o meno singolare pensare che solo lo 0,1 per cento dei contribuenti Irpef dichiari più di 300 mila euro. E direi che è più che singolare pensare che in Italia siano solo 3.000 le persone che dichiarano più di un milione di euro. Dipendenti e pensionati non possono tecnicamente evadere, è ovvio, e dunque chi rimane? Professionisti, commercianti, ditte individuali.

I quali, come ricorda spesso lo stesso Ruffini, sono per la stragrande, stragrandissima, maggioranza onesti. Ma tra i quali si notano costantemente problemi persistenti: la presenza di troppo poche realtà che dichiarano redditi medio-alti. Dunque, il tema dovrebbe essere chiaro, a proposito di caccia ai neoliberisti, e dovrebbe essere questo: non scommettere sul fatto che chi ha di più debba contribuire ancora di più. Ma scommettere sul fatto che tutti dovrebbero dichiarare il loro reddito effettivo per contribuire di conseguenza. Per risolvere i problemi dell’Italia, non serve punire di più i più ricchi. Servirebbe semplicemente far pagare a tutti quello quello che dovrebbero pagare. La differenza tra una classe dirigente politica che il problema dell’evasione fiscale lo vuole affrontare o lo vuole evitare è tutta qui. Fatti, non chiacchiere.


 

Al direttore - Una decisione folle o maturata con coscienza? La rabbia per la fine di un rapporto sul quale avevo investito o il desiderio inconscio ma fortissimo di una maternità a tutti i costi? Sono una madre single (per scelta) e mi sono molto ritrovata nell’articolo del Foglio “Volevo diventare mamma” di Berta Isla. Sottolineo “per scelta” perché non sono stata lasciata da un compagno una volta scoperto di essere incinta, domanda che mi viene ripetutamente posta quando viene fuori che mia figlia non ha un padre, ma perché ho deciso io di concepire una bambina, Letizia, con il seme di un donatore anonimo a Barcellona.

E mi ritrovo nella testimonianza sul tuo giornale del weekend perché ho deciso di intraprendere il mio percorso a 38 anni, proprio l’età di Berta. Col senno di poi, l’avrei dovuto fare anche prima. Ma certe scelte hanno bisogno di tempo per essere maturate e la mia è stata molto ponderata, come profonde sono le riflessioni che hai pubblicato. Per tanti versi una decisione folle ma non c’è giorno da quando l’ho presa che non ci ripensi e la confermi. Quando ero incinta, a ogni ecografia mi sembrava incredibile che tutto progredisse per il verso giusto e soprattutto che ogni pezzetto di quel corpicino si stesse formando dentro la mia pancia. Ancora oggi non mi sembra vero che tutto ciò sia accaduto senza complicanze. Rimanere incinte dopo una certa età non è facile, né naturalmente né con l’aiuto della tecnica. In questo senso la fecondazione assistita risolve tante situazioni, sicuramente, ma crea anche l’illusione che si possano avere figli fino a cinquant’anni e oltre.

Questa prospettiva alimenta la tendenza di tante di noi a rimandare. Invece chi ha tempo non aspetti tempo. L’età biologica della donna non è una leggenda metropolitana, esiste davvero e complica le cose. Io ho avuto la fortuna di rendermene conto in tempo grazie all’esperienza di amiche più grandi che mi hanno aperto gli occhi. Proprio per questo ho deciso fin da subito di rendere pubblica la mia storia: nel 2023 il tema della fertilità, femminile ma anche maschile, non può essere un tabù. Le giovani generazioni devono essere consapevoli delle difficoltà legate all’avere figli troppo tardi, così da poter anticipare i tempi. Se vogliono, ovvio. Diventare mamma non è un obbligo per le donne, non devono farlo per forza. Ma se sanno di avere quell’inclinazione, prima ci pensano meglio è. Il lavoro dei sogni, la casa perfetta, la stabilità economica possono arrivare anche dopo, la gravidanza no. Poi forse il mio caso è “estremo” perché mi sono rivolta a un donatore piuttosto che cercare un uomo con cui concepire naturalmente un figlio.

Ma avevo, appunto, 38 anni e quello giusto non era ancora arrivato quindi mi trovavo davanti due strade: cercare a ogni costo un compagno per mettere su famiglia, con il rischio di fare tutto in fretta e pentirmene dopo qualche anno, oppure fare un figlio da sola e poi l’uomo dei sogni quando arriva arriva. Ho scelto la seconda via. Conosco donne che si sono sposate per avere poi dei figli che non sono arrivati, magari per un problema del partner che è stato puntualmente ripudiato, oppure bambini che crescono in famiglie in cui madre e padre si detestano e litigano in continuazione, trasferendo sui figli i loro problemi. Ecco, Letizia vive in un ambiente sereno, allegro, senza urla (anche perché, con chi devo litigare?) ed è una bimba solare anche lei. Si addormenta con il sorriso e si sveglia con il sorriso. Questa è la mia soddisfazione più grande. E quanto sono felice quando ride a crepapelle, con quel suono così particolare che hanno le risate dei bambini. Ma c’è stato un altro elemento determinante in questa scelta: la mia famiglia, il vero welfare dell’Italia.

È vero che avrei messo al mondo una bambina da sola, ma non mi sentivo sola. Né lascerei da sola Letizia se mi succedesse qualcosa di brutto: ci sono i nonni, oggi mio padre purtroppo non più, le zie, che l’hanno accolta con amore immenso, mi aiutano e ci fanno da scudo, e la cuginetta di 13 anni che le fa da apripista nel gran premio della vita. Senza di loro probabilmente non avrei concepito questa bambina con la stessa tranquillità d’animo. Soprattutto confidavo su mia madre, che ha già fatto crescere bene tre figlie e una nipote ed ero convinta sarebbe stata impeccabile anche con la seconda. Non mi sbagliavo. Quando siamo state certe della gravidanza, il nome lo ha scelto lei: “Se sei così contenta devi chiamarla Letizia!”.

E così è andata. Il contesto in cui si vive è certamente un fattore determinante in una scelta come la mia. E tanti sono gli impedimenti pratici: bisogna essere davvero convinte perché la tentazione è di mollare alla prima difficoltà. Già solo il fatto di dover andare in un altro paese per poter concepire un bambino con un donatore è il primo ostacolo, logistico e di coscienza. Una barriera all’ingresso, per usare termini dell’economia aziendale, per chi intraprende il percorso di fecondazione eterologa. Ai limiti del discriminatorio, per cui finisce per partire solo chi ne ha le disponibilità economiche, e anche un po’ ipocrita, visto che non si può fare in Italia ma basta prendere un aereo per realizzare il sogno di diventare madri pur non avendo un partner.

Non avere un padre è sicuramente una mancanza per mia figlia, ma sono convinta che il dover superare questa condizione renderà Letizia una bambina forte, affidabile e determinata, forse anche più matura delle sue coetanee, proprio perché costretta a responsabilizzarsi, probabilmente anche a rendersi autonoma, prima. E non è detto che sia un disagio: in un mondo competitivo e in cui tutto va veloce, può diventare un punto di forza. La domanda più frequente è: “Come spiegherai a tua figlia che non ha un padre quando gli altri bambini cominceranno a chiederglielo?”. Al netto del fatto che gli altri bambini hanno già cominciato a chiederlo a me non vedendo mai un papà al mio fianco e la fede al mio dito, Letizia saprà da subito la verità e a quel punto sarò curiosa io di sentire come risponderà. Sono convinta che stupirà tutti e saprà difendersi dal pregiudizio.

Mentre l’accusa che più spesso mi viene rivolta è di egoismo. Ma cosa c’è di più generoso di mettere al mondo una vita? Caro direttore, fino a oggi sono stata molto fortunata. Nel frattempo ho compiuto quarant’anni e la domanda, più o meno come quella di Berta nell’articolo del weekend, è se oggi riuscirei a fare un altro figlio. Io sono la stessa però l’età è cambiata. Sono solo due anni di differenza, e forse qualche mese in più, ma superata una certa soglia pesano come macigni.
Paola Tommasi

 

Spunti su cui riflettere, Paola. Grazie di cuore della lettera.

Di più su questi argomenti: