Cinque Sì e cinque No per il Pd. E meglio badare al fare che all'essere

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - In una lettera di qualche giorno fa, Michele Magno ha avuto la bontà di ricordare una mia intervista a Leonardo Sciascia che è poi diventata il libro “La Sicilia come metafora”. Metafora di un mondo nel quale l’assenza di futuro dimostrava di essere il principio di base per rinunciare a cambiare il presente. Spero vivamente che il Pd non segua la stessa sorte. Anche se i segnali che arrivano dalla lunga e tortuosa fase congressuale non sono affatto incoraggianti. Con il suo dibattito concentrato su regole, alleanze e candidati, il Pd delude o sta deludendo le attese sia dei progressisti italiani che della sinistra europea. Dopo aver accarezzato ed esaltato per decenni un Pci “democratico”, “buon amministratore della cosa pubblica” e “convinto difensore dell’interesse nazionale”, la sinistra europea sognava e sogna ancora un Partito democratico motore numero uno del cambiamento nel Vecchio continente. Ma per diventarlo sarebbe stato, e sarebbe ancora, opportuno voltare pagina, e definire, non a tavolino ma nel confronto vivo con la società, quale Italia e quale Europa si vuole. Mescolando il coraggio dell’utopia e la concretezza delle riforme. E cercando di dare risposte realistiche e innovative ai problemi epocali del mondo di oggi. Mi sarebbe dunque piaciuto, e ancora mi piacerebbe, che il Pd rispondesse in maniera semplice ma per nulla semplicistica alla domanda tipica delle nuove generazioni su che cosa debba essere la sinistra oggi e sottolineasse che questa sinistra – come ai tempi dei fratelli Rosselli, il cui ricordo è ben vivo non solo in Italia ma anche in Francia dove vennero assassinati dai sicari del fascismo – è essenzialmente giustizia e libertà. Mi piacerebbe insomma che il Pd riprendesse l’ispirazione riformatrice di stampo mitterrandiano e l’europeismo illuminato di Jacques Delors. Ma non credo affatto che il destino del Pd sia segnato. Né che il maggior partito della sinistra sia condannato all’estinzione. Penso invece che un nuovo corso è possibile se il Pd ritroverà il gusto di studiare per capire e agire per riformare, mettendo da parte i superflui ideologismi, che, se fossero stati applicati alla fine degli anni Cinquanta dalla Spd tedesca avrebbero impedito la sua Bad Godesberg. Mi limiterò perciò, scusandomi per il mio inevitabile schematismo da osservatrice straniera anche se residente italiana da più di 40 anni,  a indicare i tratti salienti da mettere in atto nella società che potrebbero segnare l’avvio di un nuovo corso. Con cinque Sì  e cinque No.


I cinque Sì del nuovo Pd. Sì alla rifondazione dell’Europa nel segno di Jacques Delors e Romano Prodi. Sì al presidenzialismo (ma all’opposto del progetto Meloni, dato che salvaguarderebbe la figura di garanzia del presidente della Repubblica e rafforzerebbe i poteri del presidente del Consiglio). Sì a una politica economica tutta orientata alla crescita e allo sviluppo per contrastare le diseguaglianze sociali e di genere. Sì a una strategia delle riforme che ponga il lavoro, la scuola e la sanità in cima a tutte le priorità. Sì a una rinnovata lotta alle mafie, le quali cambiano pelle avendo spesso scelto la strada dell’inserimento “legale” nel tessuto economico italiano poi europeo, fino a riuscire a plasmarlo. E poi ecco i cinque No del nuovo Pd. No ai populismi, di destra e di sinistra, capaci entrambi di alimentare illusorie scelte di governo. No al giustizialismo perché irrispettoso dei diritti della persona e della significativa professionalità della magistratura. No alle diseguaglianze sociali e civili alimentate anche da discriminazioni di razza e di genere. No ai veti ideologici che bloccano una ragionevole politica dell’ambiente con i suoi eventuali rigassificatori e termovalorizzatori. No al rifiuto selettivo dei migranti perché la crisi demografica e quella della natalità obbligheranno sempre di più l’Italia a importare manodopera dall’estero.


Non credo, per concludere, che questi cinque Sì e cinque No siano princìpi programmatici stravaganti, irrealizzabili in una ricca, bella e ammirata democrazia avanzata come quella italiana e mi auguro che il Pd se ne faccia il promotore.
Marcelle Padovani

 

Grazie, cara Marcelle, della sua lettera appassionata. Condivido molti di questi punti ma credo che il Pd oggi, per ragionare un po’ più di futuro e un po’ meno di passato, avrebbe il dovere di occuparsi non di ciò che il Pd è, voce del verbo essere, ma di ciò che il Pd deve fare, di come può incidere, di come può acquisire una centralità, di come può riappropriarsi di una iniziativa politica, di come può trovare un modo per dettare l’agenda sui due veri punti deboli dell’agenda meloniana: lavoro e salari. Ragionare su una Bad Godesberg forse è un po’ troppo ambizioso. Per pensare al domani al Pd basterebbe non presentarsi sulla scena come una Bad Company del M5s o del Terzo polo, come succede oggi. In bocca al lupo a tutti.

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