Dalla parte della Nazionale di calcio iraniana, contro il regime

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Colpisce (e ferisce) il silenzio delle gerarchie ecclesiastiche, del governo, del Parlamento, dei partiti, dei sindacati, dei movimenti studenteschi come di quelli pacifisti e femministi, sulla brutale repressione di un popolo che sta lottando per la libertà contro un regime teocratico e reazionario. Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle, diceva Voltaire. E’ vero solo in parte. Per fortuna, le donne iraniane continuano a cantare e a protestare, a essere irriverenti e a disobbedire, anche nella sofferenza e nell’umiliazione.
Michele Magno

  

A proposito di Iran. Ieri, prima della scoppola ricevuta dall’Inghilterra, 6-2, la squadra di calcio dell’Iran ha fatto una scelta non scontata: non cantare l’inno nazionale della Repubblica islamica prima della partita. La scelta, come hanno notato in molti, lo ha scritto anche il Wall Street Journal ieri pomeriggio, sembra una dimostrazione di solidarietà verso il movimento per i diritti, in Iran, che dura da mesi e che si sta diffondendo in tutto il paese. E’ un atto di sfida, arrivato pochi giorni dopo il sostegno espresso dal capitano della squadra, Ehsan Hajsafi, verso coloro che avevano perso i propri cari, uccisi dal regime iraniano, durante le manifestazioni successive alla morte della 22enne Mahsa Amini. “Dobbiamo accettare che le condizioni nel nostro paese non sono giuste e la nostra gente non è felice. Noi siamo qui, ma ciò non significa che non dovremmo essere la loro voce o che non dovremmo rispettarli. Dovrebbero sapere che siamo con loro. E che noi li sosteniamo”, ha detto domenica il capitano dell’Iran. Parole che arrivano in ritardo, naturalmente, ma parole che, come ha notato ancora il Wsj, possono avere un effetto, perché “il sostegno aperto al movimento di protesta mette anche i giocatori a rischio di ritorsioni quando torneranno a Teheran”. Basta ricordare cosa è successo, a ottobre, dopo che l’arrampicatrice iraniana Elnaz Rekabi ha gareggiato in Corea del sud senza indossare il velo islamico: arresti domiciliari. Forza Hajsafi.


  
Al direttore - “Il Pd nasce come partito di centrosinistra e questo spazio adesso ce lo andiamo a riprendere noi”. Queste parole di Stefano Bonaccini rappresentano la sfida per riportare il Partito democratico al governo del paese. Per portarlo a governare vincendo le elezioni e non attraverso tatticismi contingenti. Ho già scritto da tempo in questo giornale che prima delle alleanze, necessarie, il Pd deve pensare a se stesso, definendo i propri valori, la propria identità, i propri programmi. E lo può fare certamente non nascondendo le radici culturali e politiche da cui proviene, ma nemmeno cristallizzandosi su alcune di esse. Se di “culture di origine” dobbiamo parlare, siano spese nella logica della “comunità di destino”, che guarda avanti. La tradizione cattolico democratica, quella socialdemocratica, quella liberaldemocratica, la cultura ambientalista: filoni politici culturali non solo da tenere insieme, ma da giocare in una nuova sintesi per il nuovo millennio. Alcuni vorrebbero invece ridurre il Pd a una sola cultura, peraltro cristallizzata sul passato. Bettini, per fare un esempio, immagina il ruolo del cattolicesimo democratico come sommatoria di forze sociali, del soccorso sociale, del volontariato e non invece come esperienza con identità politica propria. Altri pensano i temi ambientali come una sorta di “green washing politico” e non invece come la sfida planetaria che unisce salvaguardia del creato a crescita e benessere diffuso. E’ così, via. Errori grossolani di analisi e si prospettiva, dagli esiti nefasti, quali la subalternità nei confronti delle altre forze politiche le quali, tra l’altro legittimamente, fanno il loro gioco, anche contro il Partito democratico. Il Pd deve superare tanto una politica di affannosa rincorsa verso salvatori esterni (vedi i 5 stelle) tanto un atteggiamento vittimistico-recriminatorio (vedi Azione e Italia viva). Si impegni invece ad allargare il proprio consenso in base alla credibilità di ciò che propone al paese e in base all’autorevolezza, alla competenza e al radicamento territoriale delle persone che lo rappresentano. Allora e solo allora, il Pd sarà capace di costruire una seria politica di alleanze.
Andrea Ferrazzi