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Lettere

Israele, l'Ucraina e chi attacca i valori di democrazia e libertà

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il M5s è morto, il “campo largo” pure, e anche Travaglio e Letta non si sentono molto bene.
Michele Magno

A proposito di Enrico Letta. Un suo tweet di ieri merita una menzione speciale: “Non possiamo, nelle nostre decisioni, farci guidare dalla stanchezza nostra, della nostra opinione pubblica e dei talk-show. Gli ucraini non sono stanchi. Stanno morendo ancora. E noi continueremo a sostenere loro e i valori di democrazia e libertà che Putin vuole distruggere”. Ben detto. E applausi di cuore.

 


 

Al direttore - Superlativo l’articolo di Sofri su Puškin da Odessa. Ma se Puškin avesse potuto assistere alle parate militari dell’Unione sovietica sulla Piazza Rossa (come le attuali di Putin) e a quelle di Londra in omaggio ai 70 anni della Regina avrebbe scritto: “Mostrare la via d’uscita alla tristezza russa” e non viceversa.
Serafino Penazzi

 



Al direttore - Caro Cerasa, da lettrice del Foglio e studentessa di Relazioni internazionali, scrivo in risposta al suo pezzo apparso il 20 giugno. Credendo nel confronto e nella condivisione, vorrei ribattere al suo paragone tra la resistenza dell’Ucraina e quella di Israele. Pochi giorni fa ero nella West Bank, che ho potuto visitare essendo in uno scambio universitario nello stato di Israele. Con un gruppo di studenti volontari, che curiosamente ha deciso di oltrepassare la narrativa a cui siamo stati esposti per mesi, pochi giorni fa sono finita a Kyriat Arba, uno degli insediamenti più sionisti e radicali della West Bank. Kyriat Arba si trova vicino a Hebron, la più importante città palestinese nel sud, dove le persone si trovano quotidianamente a vivere tra controlli, checkpoint e avamposti, essendo la loro città divisa in due: una parte di città, H1, è sotto controllo militare palestinese, mentre H2, città sempre palestinese, è occupata dall’esercito israeliano e da famiglie di settler di estrema destra. H2 è stata posta sotto “sicurezza” dall’esercito per proteggere gli 800 settler che vivono in mezzo ai circa trentamila civili palestinesi. I trentamila civili vivono sotto legge marziale israeliana, possono essere detenuti, controllati e prevenuti dal raggiungere le loro case. La resistenza qui si respira nell’aria. Spostandoci più a nord-est, arriviamo nel punto più pericoloso di H2: un lembo di città che si trova tra due settlement, Kyriat Arba a est e Givat Haavot a ovest. Qui ci sono ancora una manciata di case palestinesi, soldati ovunque e settler che girano indisturbati con i mitra. Di questa parte di città porterò con me due storie, quella di Abdul Karim, un anziano palestinese, e quella di Daniel, un soldato di 19 anni di origine ucraine. Abdul Karim è un residente locale di 64 anni, sorride nonostante il giorno prima un settler sionista di estrema destra gli abbia aperto il cranio in due. E’ felice di essere vivo e di poter ancora proteggere la sua casa, è cosciente del pericolo che vive ma la sua forza è la volontà di preservare le proprie radici, la propria dignità e i suoi campi di ulivi. Ritrovo in questo qualche punto di contatto con i civili ucraini che costruivano le molotov in casa e si addestravano con pistole di legno. Il mio secondo incontro è Daniel, un ragazzo ucraino, trasferitosi qualche mese prima della guerra in Israele, svolge la leva obbligatoria per ottenere la cittadinanza israeliana. Daniel ha 19 anni e tiene in mano un mitra, si trova lì per proteggere una delle case espropriate ai palestinesi, proprio accanto alla proprietà di Abdul Karim. Sua madre si trova a Dnipro, è sopravvissuta alle bombe, e mentre lei resiste all’invasione della sua terra il figlio si trova a duemila chilometri di distanza a proteggere quei settler che occupano le case dei palestinesi, costringendoli ad abbandonare le loro terre. Alla fine dei conti, con storie diverse e sfumature diverse, i palestinesi che ho conosciuto e i miei amici e parenti in Ucraina mi sembrano condividere lo stesso spirito e la stessa forza d’animo, la stessa dignità, il senso di comunità e la volontà di riprendersi la propria libertà. Queste due storie, tra le altre, mi hanno fatto leggere il titolo del suo articolo alla rovescia, ciò che accade in Ucraina somiglia a quanto vive giornalmente e sistematicamente una parte del popolo palestinese. La democrazia liberale non è un’etichetta che si appende ovunque. La democrazia la si intende liberale quando è accompagnata dai valori che veicolano un sistema liberale, dove i diritti individuali, la proprietà, la libertà di parola e di espressione sono accettate. Israele e l’Ucraina sono due realtà distanti, e i nemici della democrazia li abbiamo nelle nostre case, non è necessario guardare fino a Israele.
Ilona Zabrytska

 

Le sue storie sono interessanti, gentile Ilona, ma credo che nel suo ragionamento ci siano alcune omissioni che meritano di essere messe in luce. Quando si parla di Israele occorre sempre allargare l’inquadratura e se si allarga l’inquadratura si avrà la consapevolezza che un paese assediato ai suoi confini, un paese che Hamas, Hezbollah, lo Stato islamico, l’Iran vogliono cancellare dalla carta geografica, è un paese che vive in uno stato di assedio quotidiano semplicemente micidiale, semplicemente letale, e ogni volta che Israele ha concesso ai suoi vicini alcuni territori, come si è visto a Gaza quando Sharon decise per il ritiro unilaterale di Israele da quelle terre, il risultato è stato quello di ritrovarsi con ulteriori nemici alle porte di casa. Quanto all’insediamento che lei descrive, quello di Hebron, la città di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, dove gli ebrei sono stati banditi dal pogrom del 1929 fino alla Guerra dei sei giorni del 1967, è l’unica città palestinese con una presenza ebraica ed è una città dove i palestinesi, dopo un controllo, possono entrare nella parte ebraica e israeliana, mentre gli ebrei non possono andare oltre il reticolato (Hebron è divisa nella zona H1, chiusa agli ebrei; la zona H2, su cui Israele ha il controllo della sicurezza; e la zona, corrispondente al tre per cento del territorio, aperta agli ebrei). In Israele, dettaglio forse da non omettere, vivono in pace un milione e 900 mila arabi, il venti per cento della popolazione, e come capita spesso nelle democrazie liberali le minoranze non vengono represse ma vengono protette, e per quanto la comunità internazionale tenti in tutti i modi di trasformare in un atto illegale ogni azione difensiva di Israele non posso non continuare a credere che Israele sia il fulcro di una cultura millenaria di resilienza alla sparizione e che per questo sia un modello di resistenza per tutti quei paesi che cercano di difendere i propri confini dai nuovi e vecchi nemici della democrazia liberale. Grazie per la sua lettera.

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