Foto: Ansa/MikhailMetzel/Sputnik/Kremlin Pool

Lettere

Cosa passa nella testa di chi parla di guerra e non cita Putin e la Russia

Redazione

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 24 febbraio 2022

Al direttore - “Quando nasciamo, piangiamo per essere arrivati su questo grande palcoscenico di pazzi” (William Shakespeare, Re Lear).
Michele Magno


 

Al direttore - Einstein, scrivendo a Freud, gli pone una domanda: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Egli stesso affronta il problema e tenta di dare una risposta. Propone la creazione di un’organizzazione sovrannazionale con un’autorità legislativa e giudiziaria capace di appianare i conflitti. E’ una strada per altro già tentata con la Società delle nazioni e con l’Onu, ma che nei paesi dell’Ue sembra aver funzionato. Tuttavia un’unione di tutti i paesi del mondo comporterebbe un periodo tanto lungo che nel frattempo, con le armi che si posseggono, la pace arriverebbe molto prima nella forma di “pace eterna”. D’altronde si arriverebbe a eliminare le guerre ma non i conflitti che sorgerebbero all’interno dei singoli paesi. Einstein si pone una seconda domanda relativa al facile coinvolgimento dei popoli in una guerra – dalla quale hanno tutto da perdere – voluta da pochi, i soli a trarne vantaggio. La risposta è semplice: i pochi hanno i mezzi di comunicazione per accendere le passioni, per spiegare le proprie verità, e per rendere le masse docili servitori delle proprie brame. Una terza domanda che Einstein pone è conseguente alla precedente, vale a dire come sia possibile che l’uomo abdichi totalmente a ogni riflessione e “si lasci infiammare” da una propaganda di guerra? Si ha un esempio nell’ultima guerra in cui un intero popolo, quello tedesco, tra i più civili e intellettivamente progrediti, sia giunto fino a un olocausto morale di sé. Einstein a questa domanda dà una sola risposta; è una risposta di coraggio, perché non politicamente corretta, che nessun uomo politico oggi potrebbe mai dare. Se qualcuno osasse suggerire tale risposta sarebbe tacciato di essere un fomentatore di odio, riconoscendo implicitamente una natura maligna dell’uomo. In ogni modo la risposta di Einstein alla sua stessa domanda è stata: “Perché l’uomo ha entro di sé il piacere di odiare e di distruggere”. Per la società odierna una simile spiegazione sarebbe inaccettabile, perché i giovani che si ritrovano nelle strade per farsi reciprocamente del male senza conoscersi e senza motivi sono pochi, sono eccezioni, sono casi particolari. Anche quei “tipi”, gli “innominabili” che uccidono gli “infedeli” sono pochissimi, sono sviati e, al più, sono casi psichiatrici. La spiegazione di Einstein non può essere accettata. Resta un’ultima domanda del grande fisico. Chiede a Freud se esiste un modo per educare l’uomo a “resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?”. Freud dà ragione a Einstein per quanto riguarda il piacere a odiare e a distruggere, e riconosce che uccidere soddisfa nell’essere umano un’inclinazione pulsionale. Anzi aggiunge che agli impulsi aggressivi si mescolerebbero altri impulsi e in particolare l’impulso erotico che renderebbe la violenza e la guerra grandemente appetibili. Come possiamo giustificare un tale pensiero, noi uomini moderni che crediamo al “selvaggio buono”? Nessun problema: Einstein e Freud sono figli di un tempo passato e con un pensiero non ancora “evoluto”. Ora però ci troviamo di fronte a qualcosa di inaspettato, il conflitto scoppiato nell’Europa dell’est che potrebbe trasformarsi in una guerra globale e definitiva. Forse Einstein e Freud potrebbero avere una qualche ragione; Freud in particolare è convinto che una pulsione aggressiva sia in ogni essere vivente e che pertanto “nessun uomo è buono”; inoltre è convinto che tale pulsione – chiamata di morte – aspira a distruggere l’uomo, anzi tutto ciò che vive, per “ricondurre la vita allo stato di materia inanimata”. In breve, per il padre della psicoanalisi non esiste alcuna speranza che le tendenze degli uomini alla morte possano essere soppresse. Questo scambio di lettere è avvenuto nel 1932, quando non c’erano ancora le armi che conosciamo, ed è paradossale che il padre della bomba atomica chiuda la sua lettera con l’impegno a “scoprire i mezzi e le maniere mediante i quali rendere impossibili tutti i conflitti armati”, mentre la lettera di Freud termina con l’auspicio che l’essere umano, in virtù del processo di “incivilimento” diventi per una qualche modificazione psichica un pacifista e diventi per costituzione intollerante alla guerra. La speranza sarebbe dunque nell’evoluzione civile, peccato che tale evoluzione incida poco o niente sull’evoluzione umana. Come dice il Poeta: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”.
Rocco Quaglia

A proposito. Non bisogna essere certo Einstein per capire che chi si rifiuta di indicare il nome dell’aggressore (Putin), chi si rifiuta di indicare il nome del paese che ha iniziato la guerra (la Russia) e chi si rifiuta di usare la stessa espressione usata ieri da Boris Johnson per definire Putin “Russian dictator”, avrebbe bisogno di farsi un giro dagli allievi di Freud per capire cosa non torna nel suo cervello politico.


 

Al direttore - Marco Travaglio ha scritto mercoledì che l’attacco russo all’Ucraina è una “fake news” dei media e degli Usa. Insomma degli stessi incappucciati già responsabili del conticidio. L’ha detto anche Dibba: “La Russia non sta invadendo l'Ucraina”. D’altra parte la sera prima erano tutti insieme in osteria. C’era anche Conte. Lui versava il vino, e loro bevevano?
Mauro Bottone

Scuola Dibba!

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